Quanti morti ancora?
«Cosa deve accadere ancora? Quanti morti bisognerà attendere prima che le contrapposizioni cedano il passo al dialogo per il bene della gente, dei popoli e dell’umanità?». Dal Kazakhstan papa Francesco guarda con preoccupazione ai «tanti luoghi martoriati dalla guerra, soprattutto alla cara Ucraina».
< La ricetta, dice, è una: «L’unica via di uscita è la pace, e la sola strada per arrivarci è il dialogo ». Bergoglio è stretto tra istanze difficilmente conciliabili, la profezia della pace e la dura realtà della geopolitica. Vorrebbe incidere sulla fine del conflitto, scongiurare una nuova guerra fredda, non fare passi indietro né sulla strada della Ostpolitik vaticana né su quella dell’accidentato percorso dei rapporti ecumenici..> Iacopo Scaramuzzi, su La Repubblica del 15 settembre, inizia così il suo reportage: (vedi allegato)
Gli interrogativi di papa Francesco e di tutti coloro che auspicano e sollecitano iniziative diplomatiche per concordare una tregua per avviare negoziati, trovano un grande ostacolo nei crescenti seguaci (negli opposti schieramenti belligeranti) della teoria del generale prussiano Karl von Clausewitz (1780-1831) che afferma: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi“.
Con quel “realismo politico” il secolo successivo è stato teatro di due tremende e sanguinosissime guerre mondiali (armi moderne, distruzioni a tappetto e molte decine di milioni di morti). In questi anni, oggi, si riprova con una terza guerra mondiale “strisciante”?
La controffensiva degli ucraini che in parti importanti del loro paese sono riusciti a ricacciare gli invasori russi oltre la loro frontiera apre a diverse prospettive. Per sollecitare la riflessione alleghiamo alcuni articoli.
Il mondo dopo la guerra – Dall’Europa alla Cina, sette analisti spiegano, su Il Foglio del 12 settembre, come il conflitto in Ucraina cambierà la politica estera di Washington. Niente sarà più come prima: l’UE si è dimostrata all’altezza; anziché negoziare accordi di libero scambio, si è assunta la responsabilità di combattere una guerra economica; l’’Europa deve emanciparsi dalla protezione americana, per consentire a Washington di concentrarsi sulla minaccia cinese. Questi i sette capitoli della traduzione di Gregorio Sorgi per leggerli aprire l’allegato
- Ritorno al futuro per la Grande Strategia americana
- L’Europa riduca la dipendenza da Washington
- La svolta asiatica di Biden era giusta
- Un nuovo patto con l’Europa
- Sta nascendo un fronte atlantico-pacifico
- Il successo americano dipende dalla vittoria dell’Ucraina
- Andiamoci piano con la guerra economica
Adriano Sofri in “Il gioco delle parti nella Proxy War e la differenza fra gli umani dei due fronti” su Il Foglio del 15 settembre, con un’acuta analisi degli ultimi fatti rovescia il ruolo dei protagonisti della “guerra per procura” < La nozione di Proxy War, guerra per procura, ha trovato molti adepti, un po’ perché a volte ha qualcosa di attendibile, soprattutto perché esaudisce il desiderio di trattare tutto ciò che avviene come manovrato da lontano. E permette a ciascuno di collocare il suo “da lontano” dove preferisce. Nel caso dell’Ucraina, negli Stati Uniti (o nella Nato, intesa come sinonimo degli Stati Uniti). Effetto piuttosto ovvio, dal momento che la guerra di Putin non può chiamarsi per delega, mossa com’è direttamente e brutalmente da lui. (A parte il lapsus lessicale dell’operazione speciale).
Gli Stati Uniti di Biden hanno senz’altro mostrato di avere un forte interesse alla resistenza ucraina, inimmaginabile certo per gli Stati Uniti di Trump. Questo deve intanto far riconoscere come esistano almeno due Stati Uniti, due Case Bianche, capaci di comportamenti opposti su questioni decisamente grosse. Non è detto che le due versioni coincidano con la differenza fra repubblicani e democratici. E’ stato Obama a regalare la Siria a Putin, fornendo peraltro così una forte motivazione alla sua sicumera aggressiva. E’ stato Biden a sbrigare il vergognoso ritiro dall’Afghanistan, che ha peraltro fornito un’altra golosa motivazione alla sicumera aggressiva di Putin.
Dunque sembrerebbe rimanere solo la versione della “guerra per procura” degli Usa di Biden e della Nato loro sinonimo. Dall’altro lato, per attribuire a Putin la guerra per procura bisognerebbe indicare come suoi “delegati” i soldati russi mandati a combattere in Ucraina, interpretazione che forzerebbe il concetto di guerra per procura, ma andrebbe vicinissima alla realtà. (…) Termina con questa inedita considerazione etichettando di “guerra per procura” i soldati russi (…)Siamo al nocciolo della guerra per procura: la differenza fra gli umani dei due fronti. Gli ucraini, la loro avanzata. I russi, la loro fuga.
Non sono coraggiosi i primi e codardi i secondi. Sanno per che cosa e per chi combattono i primi – per ciò che hanno di più caro, per sé – e sentono per che cosa dovrebbero combattere i secondi – per perdere ciò che hanno di più caro, e sé. I secondi stanno combattendo una guerra d’altri – per procura. Quando ho cominciato a scrivere questa piccola posta da panchina non sapevo dove sarei arrivato, ma ho avuto fortuna. Sono arrivato a dimostrare, fosse pur solo a me stesso, che la guerra d’Ucraina è una Proxy War: una Guerra per procura. (…) Il testo completo in allegato
“E’ la guerra indiretta tra Usa e Russia” – Salvatore Cannavò, su Il Fatto Quotidiano del 15-9, intervista Lucio Caracciolo che usa il termine “guerra indiretta” e non più “guerra per procura” sottolineando che “La controffensiva è un successo, dimostra che Usa e Gran Bretagna hanno messo in piedi una forza armata simile a una potenza vera”.Così inizia < Raggiungiamo Lucio Caracciolo quando ha appena chiuso il nuovo numero di Limes, la rivista di cui è fondatore e direttore, e che avrà come titolo Il mare italiano e la guerra. Il volume uscirà sabato prossimo e il 18 e 19 settembre sarà presentato in un convegno internazionale a Trieste. L’occasione è dunque propizia per fare un giro di orizzonte sulla guerra, alla luce della controffensiva ucraina e per capire come, attorno a questo dato nuovo, si stanno posizionando gli attori globali, Stati Uniti in testa. Ma anche come interpretare l’evento su cui si accenderanno i riflettori a partire da oggi: a Samarcanda, infatti, prende il via il vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco) che racchiude la maggior parte dei Paesi asiatici e dell’est del mondo e a cui proprio ieri l’Iran ha proposto di stringere un nuovo accordo multilaterale. (…) per proseguire aprire l’allegato
«Per fermare la Russia non basta essere atlantisti come Meloni. Oggi ci serve anche più Europa». Molte sono le domande che Stefano Feltri, su Domani del 13 settembre, pone al professor Filippo Andreatta, professore di relazioni internazionali all’università di Bologna. (vedi allegato) < Attenzione a sottovalutare la democrazia in guerra: hanno risorse insospettabili di cui le autocrazie non dispongono. La riscossa dell’esercito ucraino che riconquista l’area intorno a Kharkiv, con l’esercito di Mosca costretto alla fuga, sembra confermare l’analisi di Filippo Andreatta, che alle ultime due domande così risponde .
In Italia usciremo da una fase di unità nazionale e ci avviamo verso un governo di centrodestra. La politica estera diventerà un terreno di scontro? Non è scontato quale linea prenderà la destra di governo, dipende molto anche dai rapporti di forza tra i vari partiti. Abbiamo due punti interrogativi: il fatto che, a livello di coalizione, il centrodestra include due partiti non solidamente filo occidentali e filo ucraini. Bisogna vedere se e quanto Giorgia Meloni saprà dettare la linea. Anche perché, e questo è il secondo punto interrogativo, la base di Fratelli d’Italia su Russia e Ucraina sembra essere molto più in sintonia con Lega e Forza Italia che con Meloni. Non basta l’atlantismo: se ci aspettano anni di tensioni con la Russia, ci sarà bisogno anche di più Europa. E bisogna vedere che posizioni prenderà Meloni, una svolta europeista sarebbe ancora più sorprendente e rilevante di quella atlantista.
Cosa dovrebbe fare il nuovo presidente del Consiglio, appena insediato, per essere rilevante su questi dossier? Ci vorrebbe una mossa netta e riconoscibile come il viaggio in treno di Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz in Ucraina.
Nell’incontro tra i paesi asiatici a Samarcanda, il premier inndiano Modi prende le distanza da Putin. Francesca Sforza nell’articolo «L’avvertimento di Modi a Putin “Troppe crisi, stop alla guerra”», su La Stampa, così inizia < È stato il gigante indiano a prendersi ieri la scena di Samarcanda, quando con le parole del premier Narendra Modi ha detto, rivolto a Vladimir Putin, che «non è questa l’epoca della guerra». Ci sono emergenze alimentari, climatiche, di fabbisogno energetico, di transizioni industriali da compiere, «oggi dobbiamo cogliere l’opportunità di parlare su come portare avanti un patto di pace», più che affrontare le conseguenze delle devastazioni. «Mio caro amico – gli ha risposto il presidente russo dopo avergli fatto gli auguri per il suo compleanno e averlo invitato a Mosca per una prossima visita – conosco le tue preoccupazioni sulla guerra in Ucraina, noi tutti vogliamo mettere fine a questa guerra, ma gli ucraini ci impediscono di fermare i combattimenti ».(…) per proseguire aprire l’allegato
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