Lo chiamano “Striketober”

In Usa aumentano gli scioperi in ogni settore. L’articolo del Foglio, sotto riprodotto, è una sintesi di quanto pubblicato sul NYT. Il lungo articolo in allegato è a cura di due ricercatori, Jonah Furman e Gabriel Winant, pubblicato su https://portside.org/2021-10-18/john-deere-strike-shows-tight-labor-market-ready-pop con dettagli sullo sciopero alla John Deere e sul mercato del lavoro in crescente tensione e “surriscaldamento”. La fine della mobilitazione nazionale intorno al Covid-19 sta liberando le pressioni accumulate nei luoghi di lavoro a livello nazionale.

In America si sciopera moltissimo. Ci sono almeno due ragioni. Luciana Grosso racconta su Il Foglio, racconta l’ondata di scioperi negli Stati Uniti da east a ovest. Lo chiamano “Striketober”, è il nome coniato da Alexandria Ocasio-Cortez per definire l’ondata di scioperi che, nelle ultime settimane, sta spazzando da est a ovest gli Stati Uniti – migliaia di lavoratori, di decine di categorie diverse, sono in sciopero. Anche se cambiano i settori, le ragioni della protesta sono comuni: tutti chie­dono salari più alti, orari meno strin­genti, migliori piani pensione e soprat­tutto sistemi di assicurazione sanita­ria più generosi.

Per questo, solo nelle ultime setti­mane, hanno scioperato i 1.400 lavora­tori degli stabilimenti americani di Kellogg’s; i 10 mila di John Deer (la ca­sa produttrice di trattori e macchine agricole che è il più grande datore di lavoro in Iowa e i cui dipendenti non scioperavano dal 1935); centinaia di in­fermiere e lavoratori del gigante della sanità Kaiser Permanente e migliaia di lavoratori di piccole e medie attività sparsi per tutti gli stati (il database della Cornell University ha contato 169 scioperi di varie dimensioni dall’inizio del 2021). Un lungo elenco a cui presto potrebbero aggiungersi an­che le circa 60 mila maestranze di Hol­lywood o, tra gli altri, i lavoratori dei campus della Columbia University e di Harvard.

Così, visto che scioperi e proteste negli Stati Uniti non sono frequenti e visto che, solo sei mesi fa, la proposta di far entrare il sindacato in uno stabi­limento di Amazon dell’Alabama è sta­ta sonoramente bocciata da un refe­rendum tra i lavoratori, viene naturale chiedersi cosa stia succedendo nel mondo del lavoro americano, e come sia possibile che, in un paese decisa­mente poco sindacalizzato (circa il 10 per cento dei lavoratori è iscritto a una Union) e avvezzo alla estrema flessibi­lità del lavoro, si stia verificando que­sta ondata di scioperi.

Le possibilità sono due: o sono peg­giorate le condizioni di lavoro o è au­mentata la consapevolezza che i lavo­ratori hanno di sé, del proprio lavoro e del proprio tempo.

Siccome la prima ipotesi è vera solo in rari casi (anzi è vero il contrario e i salari sono legger­mente aumentati negli ultimi mesi), è vera la seconda. I mesi del Covid han­no reso palese quanto ogni lavoro sia inserito in un sistema più ampio che funziona solo se ogni ingranaggio fun­ziona. Questa consapevolezza della propria non rinunciabilità ha dato ai lavoratori un potere contrattuale nuo­vo, cui si è aggiunta la valorizzazione del tempo e della salute la cui non ne­goziabilità è stata resa quasi tridimen­sionale dalla pandemia. Non solo: ora che la pandemia sembra (quasi) finita, la ripresa si è presentata sotto forma di crescita dei consumi; consumi per sod­disfare i quali, a oggi, non c’è manodo­pera sufficiente. E dunque, visto che la legge base del mercato dice che è la domanda a fare il prezzo, ora i lavora­tori sanno che c’è in giro molta doman­da e di conseguenza hanno alzato il prezzo.

Un’altra spiegazione possibile per lo striketober ha a che fare con la poli­tica e con il clima, singolarmente sini­strorso, che si respira a Washington. Non solo, e non tanto, perché Joe Biden ha più volte detto di avere a cuore le istanze di sindacati e sindacalisti (“Sarete sempre i benvenuti nella mia Casa Bianca”, ha detto alle Unioni sin­dacali lo scorso 8 ottobre), o perché l’attuale segretario al Lavoro, Marty Walsh, è stato in passato un sindacali­sta, ma soprattutto perché a sostenere i sindacalisti c’è l’ala più sinistrorsa del partito democratico (quella di Ber­me Sanders e Ocasio-Cortez, per in­tenderci) dei cui voti e del cui sostegno Biden ha bisogno per portare avanti la sua agenda.

Le condizioni di oggi so­no le migliori che potessimo desidera­re”, ha dichiarato Liz Shuler, presi­dente dell’Afl-Cio, la principale sigla americana, in un discorso al National Press Club: “L’Amministrazione e il Congresso sono a favore dei lavorato­ri”. Lo è anche l’opinione pubblica americana, in genere piuttosto neghit­tosa dinanzi alle richieste sindacali: un sondaggio Gallup pubblicato all’inizio di luglio ha mostrato che il 68 per cento degli americani approva i sindacati, il valore più alto registrato da anni, di molto superiore al 48 per cento del 2009 durante gli spasimi del­la grande recessione. Inoltre, tra un anno circa si vota per le elezioni di mid-term e le campagne per le presi­denziali non si fermano praticamente mai. Joe Biden ha visto, sia nel 2016 sia nel 2020, quanto il voto operaio possa fare la differenza. E vuole che lo faccia anche nel 2022 e nel 2024.

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