IN MORTE DI ERMANNO OLMI – G.Graziani – fummo in tanti ad “essere fulminati” da quel film –

Giovanni Graziani – redattore de Il9Marzo,it – onora la memoria di Ermanno Olmi e ricorda il significato che l’opera di questo regista ha avuto per molti nel sindacato.  Avevamo fra i quindici e i vent’anni, e fummo in tanti ad essere fulminati da un film lungo lungo, con dialoghi in bergamasco stretto accompagnati dai sottotitoli in italiano, ambientato quasi per intero nello spazio di una cascina alla fine dell’Ottocento, e con un organo che accompagnava questa fissità con musica sacra. Un film che aveva tutto ciò che un film non dovrebbe avere per colpire dei giovani, se essere giovani volessere dire corrispondere allo steretipo costruito dalla società dei consumi, come dicevamo allora.

Se c’è una dimostrazione che col cinema si può fare la rivoluzione, questa fu data in quel 1978 da Ermanno Olmi con L’albero degli zoccoli. Anche perché il messaggio di quel film era sì rivoluzionario, perché parlava del conflitto fra la proprietà privata e l’emancipazione sociale, ma prima del messaggio era rivoluzionario il modo in cui quel messaggio ci arrivava, raccontandoci un passato lontano in anni in cui per molti fare la rivoluzione voleva dire sparare, distruggere il mondo vecchio per costruirne uno totalmente nuovo.

La civiltà contadina, questo mondo rimasto immobile per secoli e raffigurato da Olmi in un punto della storia in cui si percepiva il confine fra l’immobilità secolare e l’inizio di un’altra storia, era l’oggetto di quel film. E della civiltà contadina fummo in tanti ad essere affascinati. Ma non in termini letterari o romantici, come se fosse da idealizzare o peggio da assumere come programma politico per il presente; affascinati perché percepimmo di avere delle radici, sentimmo la profondità della nostra storia.

Una storia anche nazionale, perché l’Albero degli zoccoli è un film tanto bergamasco quanto nazionale, allo stesso modo in cui il Gattopardo parla della Sicilia o i Promessi Sposi parlano della Lombardia sotto il dominio spagnolo eppure ci parlano dell’Italia di ieri e di oggi.

E una storia non solo italiana, perché quel mondo non conosceva la sacralità dei confini per i quali, non molto tempo dopo, quei contadini bergamaschi assieme ad altri dal sud e da ogni parte d’Italia sarebbero stati mandati a morire e ad ammazzare altri contadini nelle trincee della guerra mondiale.

Quando poi anni dopo le circostanze della vita mi hanno portato alla Fisba, quel film mi è tornato tante volte in mente. E non solo perché alcune persone che ho conosciuto sembravano uscite direttamente da quel mondo. Ma anche perché il sindacato agricolo della Cisl, meno famoso di quello industriale e con una fama di “destra” che non lo rendeva la prima scelta per un giovane in quegli anni, nel frequentarlo mi apparve un po’ come la prosecuzione di quella storia.

La famiglia che alla fine del film viene mandata via dalla cascina con quattro cose sul carrettino, accompagnata solo dalla recita del rosario dei vicini, cacciata “per giusta causa” avendo violato il padre la proprietà privata allo scopo di permettere al figlio di andare a scuola, ora viveva un’altra storia.

Ora i ragazzi andavano a scuola, le case erano quelle della legge Zanibelli, le guerre mondiali erano lontane, e nessuna giusta causa bastava più a giustificare l’ingiustizia. E tutto questo era successo anche perché c’era stato e c’era un sindacato come la Fisba. Che magari avrà avuto una fama di “destra” per la sua opposizione all’unità sindacale ma che aveva fatto tanto per l’emancipazione di chi lavorava nei campi. E tramandava questa storia anche con alcuni libri, dovuti in gran parte alla passione di Aldo Carera, e con la formazione affidata al professor Costantini.

L’emancipazione è un programma ancora attuale. E aspetta solo sindacalisti capaci di prenderlo sul serio, senza scimmiottare le pulsioni rivoluzionarie di altri, e senza accettare gli accomodamenti post-rivoluzionari tipici del cinismo sopravvenuto nel rivoluzionario disilluso. Perché la rivoluzione si può fare, come la fece Olmi con un film che legava in unità di senso un racconto del passato con lo sguardo sul presente di noi che avevamo allora fra quindici e vent’anni e volevamo cambiare il mondo. Noi che poi, avvicinandoci ai trenta, abbiamo dato il nostro impegno ed un po’ di residuo entusiasmo giovanile per cambiare il mondo attraverso un sindacato che percepivamo come la prosecuzione di quella storia.

Una prosecuzione che oggi, forse a causa dell’età, si fa fatica a riconoscere.

http://www.il9marzo.it/?p=11282

Vedi anche in allegato il dossier di Famiglia Cristiana

Allegato:
famiglia_cristiana_dossier_olmi.doc

1 commento
  1. redazione-d84
    redazione-d84 dice:

    Semplicemente un commento splendido!!! Oltre ad onorare Olmi, penso che queste parole siano anche efficaci per scuotere quell’apatia e quell’afasia che largamente serpeggiano nel nostro sindacato, sempre più in difficoltà a “vedere” le ingiustizie e quindi impreparato a schierarsi con chi – ai gradini più bassi della scala sociale – cerca disperatamente riscatto e emancipazione. Un numero crescente in ogni tipo di società. Adriano Serafino

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