Il voltafaccia di Trump..e dei suoi seguaci
Tre anni fa il presidente Biden non rispose alle richieste d’incontro di Putin sull’aggravarsi della situazione del Donbass e delle minoraze russofone. Gli Usa scelsero un’altra strategia alla via diplomatica proposta nelle lettere di Putin, con boze di accordi, agli Usa e alla Nato. – vedi articolo di Lorenzo Vita del 18-12-2021 https://it.insideover.com/politica/le-richieste-di-putin-alloccidente.html – Due mesi dopo, 24-2-22, iniziò l’invasione-aggressione russa violando il primo principio del diritto internaionale e della convivenza mondiale: il rispetto dei confini e della sovranità territoriale degli stati. La sacrosanta difesa – e il sostegno – dell’Ucraiana venne associata nelle motivazioni dei principali paesi occidentali come uno “scontro di civiltà” a difesa di principi e valori imperituri di libertà e di modelli economici.
I voltafaccia clamorosi di queste ultime settimane, dopo l’insediamento del presidente Donald Trump hanno conseguenze drammatiche per l’Ucraina e per l’Europa, sono state lucidamente sintetizzati in tre questioni nell’articolo “C’era una volta l’Occidente” di Lucio Caracciolo, pubblicato su La Repubblica del 18 febbraio, che fanno scrivere a penne libere “Non c’è stato, nella storia del dopoguerra da ottant’anni a questa parte, niente di simile quanto a cinismo e viltà…” come ad esempio pubblica Adriano Sofri su Il Foglio del 22 febbraio. Molti sono gli articoli che in tal senso vanno raccolti e fatti circolare per risvegliare quell’autonomia di pensiero e voglia partecipazione politica che sappia contrapporsi ai nazionalismi suprematisti sia all’Oveste sia all’Est, che fanno esclamare a Putin “Dio è con noi” quando lancia 267 droni su Kiev e a Trump “Dio mi protegge e mi ha salvato” in occasione del fallito attentato in campagna elettorale.

C’era una volta l’Occidente di Lucio Caracciolo
Non abbiamo più certezze. A nemmeno un mese dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, queste quattro parole condensano il senso dello sconvolgimento in corso sotto i nostri occhi. Al netto degli annunci di propaganda, la rivoluzione geopolitica già segnala la crisi esistenziale della famiglia atlantica, il riavvicinamento fra Stati Uniti e Russia, la congiunzione delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, da interpretare entro una medesima equazione.
Tutto sullo sfondo della vera sfida strategica globale, quella che oppone Stati Uniti e Cina. In tutte queste partite noi europei siamo al meglio attori secondari. Soprattutto, senza più bussola. Il vertice improvvisato fra otto Paesi atlantici convocato a Parigi da Macron è insieme sintomo di disperazione e primo pallido segnale di un tentativo di riscossa dei vedovi della vecchia Nato, depotenziata da Trump e Putin. A partire dalla tardiva consapevolezza che quando il gioco si fa durissimo le strutture dell’Unione Europea non reggono la competizione.
L’incontro fra sette Paesi Ue più il Regno Unito ormai nel mirino del “fraterno” alleato a stelle e strisce per affrontare l’emergenza sicurezza in Europa sancisce il superamento di schemi consolidati da tre quarti di secolo. Il formato Ue scade insieme a quello Nato. A conferma che la costruzione europeista era figlia della scelta atlantica americana, sicché non funziona più quando l’Atlantico si allarga al punto di imporre ai soci europei di cercare alternative al cosiddetto “ombrello nucleare” Usa. Il tentativo di formare un nucleo di Stati europei decisi a rifondare insieme le basi della nostra sicurezza continentale è presa d’atto di una drammatica realtà per troppo tempo mascherata dalla retorica atlantista ed europeista.
Ma da dove si riparte? Se si vuole tracciare un percorso comune fra i «principali Paesi europei» (definizione di Macron), senza pretendere che il formato parigino sia esclusivo – può essere allargato ma anche ridotto – occorre prendere atto di tre spiacevoli realtà.
Prima, e principale. Negli Stati Uniti è in corso un cambio di regime che ne scuote identità, fondamenta e istituzioni. Le élite americane sono divise su tutto meno che sulla priorità di impedire il sorpasso cinese. Più precisamente, non è accettabile che Pechino scavalchi Washington nelle nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale e dallo spazio. Tutto il resto è funzione di tale imperativo. A cominciare dal tentativo di scardinare la strana coppia Russia-Cina, due nemici storici paradossalmente uniti dagli Stati Uniti nella crisi ucraina. In questo rovesciamento di campo gli europei sono marginali e divisi fra chi vorrebbe riprendere a dialogare e commerciare con la Federazione Russa (i vecchi europeioccidentali) e chi si augura sparisca dalla faccia della terra (scandinavi, polacchi e altri baltici). Quanto a Putin, il suo interesse è normalizzare le relazioni con gli Usa per non finire la sua carriera di autocrate come junior partner di Xi Jinping.
Seconda, e connessa. Americani e russi sono interessati a estrarre Israele dalla trappola strategica in cui è finito e costruire un equilibrio mediorientale nel quale saranno coinvolti anche turchi e sauditi oggi, iraniani forse domani. Il fatto che i primi negoziati fra Stati Uniti e Russia sull’Ucraina si svolgano a Riad simboleggia il parallelismo fra i conflitti ucraino e mediorientale. Ovvero la necessità di allargare il campo negoziale attraverso un meccanismo di concessioni e intese bilanciate.
Terza, e strutturale. Gli ex protettori americani chiedono ai non più protetti europei sacrifici che non siamo in grado di sostenere. Non è solo questione di spese per la difesa. È l’incompatibilità fra le nostre emergenze di sicurezza e la mentalità di popolazioni che da tre generazioni hanno introiettato la certezza che la guerra in Europa fosse stata abolita per sempre. Per tacere della nostra età mediana, destinata a presto toccare il mezzo secolo, che esclude la disponibilità delle maggiori collettività continentali a impegnarsi in qualsivoglia campagna bellica.
Le principali vittime sono e saranno gli ucraini, che dopo tre anni di resistenza all’invasione russa paiono allo stremo. E si scoprono abbandonati dagli americani.
Voltafaccia che certo non può essere compensato dagli europei. Si ripete per l’ennesima volta uno scenario già visto, previsto e incredibilmente rimosso, con gli americani indifferenti alla sorte di Kiev perché impegnati in superiori partite e gli europei che non possono o non vogliono far seguire fatti alle parole. Fra vaghezze e ipocrisie. C’era una volta l’Occidente.>>
Adriano Sofri sulla rubrica Piccola posta, su Il Fatto, scrive << Tre anni fa, Putin mosse un mastodonte militare, dalla frontiera russa e da quella bielorussa, alla volta di Kyiv, completa delle uniformi da parata, al fine di occupare l’Ucraina, destituire Volodymyr Zelensky (il verbo sta per esautorare o, alla bisogna, assassinare) e sostituirlo con un fantoccio del Cremlino, un rianimato Janukovy o l’oligarca di corte Medvedchuk. L’impresa gli è costata finora – non a lui, lui è quello che non paga, ma ai popoli della Federazione russa – una cifra incerta di morti e feriti che può avvicinarsi agli 865 mila numerati a ieri dalle fonti ucraine.
Ora Trump, nel ruolo di volonteroso proxy del collega del Cremlino, promette di liberare l’ucraina dall’impostore Zelensky e sostituirlo con un uomo suo, senza colpo ferire. Tuttavia Trump e la sua banda non agiscono all’esclusivo servizio di Putin, e si riservano l’estorsione, da briganti di passo, delle “terre rare”, come un’armata M23 all’assalto di Goma e di Bukavu e delle miniere congolesi. Alla valutazione generosa di 500 miliardi di rimborso degli aiuti americani, così arrotondata rispetto agli effettivi 114 miliardi versati. “Quanti siete, cosa portate, un fiorino!”.
Qualcuno fa il nome del già generale Valeri Zaluzhny, promosso perché rimosso all’ambasciata londinese da uno Zelensky ingelosito. La popolarità di Zaluzhny resta altissima, e intanto quella di Zelensky ha conosciuto un balzo in avanti grazie all’infamia di Trump. Ma il prestigio di Zaluzhny crollerebbe se accettasse di tornare in patria sugli scudi degli americani traditori, e lui non è uomo da simile bassezza, credo. Per giunta, il vero dissenso di Zaluzhny da Zelensky riguardò a suo tempo l’intenzione del primo di ricorrere alla mobilitazione generale superando il limite di età, misura che Zelensky considerò troppo impopolare, e contro la quale ha continuato a resistere, accettando in ritardo la sola riduzione dell’età del reclutamento dai 27 ai 25 anni. Gli Stati Uniti possono vedere di buon occhio la misura, che sarebbe fumo negli occhi dell’ucraina civile di oggi.
Per ora, gli Stati Uniti di Trump stanno facendo il palo all’avanzata russa, che mentre a Riad si discute mira a espugnare la Sagunto del Donetsk e delle città bombardate. Il palo americano al capobanda russo.
Non c’è stato, nella storia del dopoguerra da ottant’anni a questa parte, niente di simile quanto a cinismo e viltà. E ottusità, anche: perché una volta che i commensali si siano accordati sul bottino, l’Ucraina metterà in campo le più imprevedibili e intrattabili obiezioni di coscienza e di corpi. Un’Ucraina umiliata sarà una santabarbara di irredentismo ottocentesco quanto allo spirito, ultramoderno quanto alle risorse materiali. Guai ai vincitori.>>
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