IL VENTO DELL’ASTENSIONISMO DELL’OVEST – da Micro Mega – globalmondo 21-3-10

Pubblichiamo l’articolo di Emilio Carnevali, scritto per Micro Mega, a “caldo” il giorno dopo, il 16 marzo, del clamoroso risultato elettorale negativo per  il Pesidente Sarkozy. L’eccezionale dato di astensionismo ( il 53,5%) rimarca la crisi “delle urne”, la volubilità del cosiddetto voto di opinione, l’instabilità del sistema politico. Il voto negativo per chi governa è certamente un sintomo del malessere sociale che serpeggia in Francia a seguito della crisi economica. Domenica 21 marzo si rivota per il secondo turno. In quasi tutte le regioni i socialisti e gli ecologisti, con i pcf partner minoritari, convergono con lo stesso voto o sono state fatte liste unitarie. La vittoria della sinistra, annunciata dal primo turno, è stata confermata nel secondo turno di Domenica 21 marzo. L’astensionismo si è ridotto di quattro punti percentuali. Gli exit poll attribuivano verso la mezzanotte di domenica oltre il 54% alla sinistra unita, il 36% al partito del presidente, l’upm; e l’8% all’estrema destra di Le Pen.

Il vento dell’Ovest arriverà anche in Italia?

La crisi nelle urne: la lezione che viene dalla Francia

Il vento della crisi ha cominciato a soffiare anche dentro le urne francesi. Le elezioni regionali di ieri hanno sancito una sonora sconfitta per il presidente Nicolas Sarkozy. Il suo partito, l’Ump (Unione per un movimento popolare), si è fermato al 26,3% ed è stato superato dal Partito socialista. Questo ultimo, con il 29,5%, è tornato ad essere il primo partito, lasciandosi alle spalle l’incubo delle europee dello scorso anno, quando aveva toccato il suo minimo storico con il 16%. Al 12,5% i verdi di Daniel Cohn-Bendit, mentre a sinistra dei socialisti c’è il 6,1% del Front de Gauche (che mette insieme il Partito comunista francese con il gruppo di fuoriusciti dal Ps guidati da Jean-Luc Mélenchon) e il 3,4% del Nouveau parti anticapitaliste di Olivier Besancenot.

Il Fronte Nazionale (l’estrema destra guidata dall’intramontabile Jean-Marie Le Pen) porta a casa un risultato importante (e preoccupante): l’11,6% (alle europee del 2009 aveva preso il 6,8%). Il Fn non solo ha incassato il dividendo politico del dibattito sull’identità nazionale lanciato dal presidente Sarkozy, ma ha anche intercettato una certa quota di disagio sociale, come testimonia ad esempio il dato di Nord-Pas-de-Calais, regione operaia e storica roccaforte della sinistra, interessata negli ultimi mesi da chiusure di fabbriche e massicci licenziamenti. Lì il partito di Le Pen ha raccolto il 18,30% dei consensi.

La prossima settimana ( il 21 marzo) ci sarà il secondo turno, nel quale a questo punto le sinistre puntano al cappotto: conquistare tutte le regioni, comprese le due attualmente in mano alla destra (Alsazia e Corsica).

Il premier François Fillon ha dichiarato che “l’elevato livello di astensione [al 53,5% , il 14% in più rispetto al primo turno delle regionali del 2004, ndr] non permette di arrivare a conclusioni sul piano nazionale”. Ma alle europee del 2009, quelle che avevano fatto brindare Sarkò alla morte del Partito socialista, l’astensionismo era stato addirittura maggiore, arrivando a sfiorare il 60%. Si conferma la dura legge che in politica gli astensionisti hanno sempre torto, perché gli unici numeri che contano alla fine sono le percentuali di chi sta dentro la mischia.

Difficile trarre dalle elezioni francesi indicazioni utili anche per guardare alle imminenti elezioni regionali in Italia. Una considerazione comunque la possiamo fare. Nei paesi Ocse i dati sull’occupazione sono cominciati a migliorare, dopo la grande emorragia di posti di lavoro registratasi nel 2009. Fanno eccezione proprio Italia e Francia, dove il trend continua a mantenersi in crescita: nel nostro Paese siamo passati dall’8,5% di dicembre all’8,6% di gennaio, in Francia dal 10% di dicembre al 10,1% di gennaio.

Quanto ai dati relativi all’annus horribilis 2009 è ormai assodato che l’Italia se la sia cavata peggio della media dei paesi europei. Il nostro Pil è sceso del 5%, contro il -4,2% della media dei 27 paesi Ue e il -2,2% dei cugini francesi, che hanno appena castigato il governo in carica con una sonora sconfitta elettorale. C’è da dire che la Francia è stata interessata da un conflitto sociale molto più aspro rispetto al nostro, ma del resto oltralpe non devono scontrarsi con la coltre impenetrabile di un sistema mediatico per cui “la crisi non esiste”, oppure è legata a “fattori psicologici” oppure “esiste ma stiamo rispondendo meglio degli altri paesi europei” (per riprendere alcuni degli slogan ripetuti come un mantra in questi mesi dalla propaganda berlusconiana).

Fra i segnali incoraggianti della manifestazione delle opposizioni di sabato scorso c’è stata la rinnovata centralità del lavoro e della questione sociale nei discorsi pronunciati dai leader sul palco (Vendola, Ferrero, ma anche Bersani: in 12 minuti di intervento il leader del Pd ha ripetuto la parola “lavoro” ben 20 volte). La direzione è quella giusta. Speriamo che non la si smarrisca strada facendo, come tante volte è stato fatto in passato.

Emilio Carnevali – Micro Mega 
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