DON TONI REVELLI – prete operaio e uomo libero – alcuni ricordi per l’ultimo saluto –

Toni Revelli ci ha lasciato. Aveva 82 anni. L'ultimo saluto nella parrocchia San Luigi D'orta in Via Cadore a Torino, mercoledì 21 dicembre ore 10. Il suo ricordo è un po’ l’immagine della sua anima. Abbiamo conosciuto Toni quando eravamo ragazzi a metà degli anni ’50, nella parrocchia di  San Martino a Rivoli. E poi abbiamo poi continuato ad avere rapporti con lui in questi decenni. E’ stato tra i pionieri, con Don Carlo Carlevalis, della grande esperienza dei preti operai a Torino; è stato un  paladino e testimone della chiesa degli ultimi. Ha  certamente dato più di quanto ha ricevuto. Abbiamo pensato di ricordarlo con tre scritti. Il suo intervento “Un invito a ricordare” dell’ aprile 2011, a Rivoli, in occasione della presentazione della storia de “Il Tamburino” un piccolo periodico edito da un gruppo di giovani che si costituì all'ombra del campanile di San Martino. Poi altri  due articoli (un botta e risposta) pubblicati, nel 1961- 62, su quel periodico rivolese allora ciclostilato: “Prete dove sei?” e la risposta  di Don Toni “Laico sono qui.”

Un invito a ricordare di Toni Revelli.

“Prete, dove sei? – “Laico, sono qui!”  Due titoli 'forti' che esprimevano, sui primi numeri de IL TAMBURINO, la volontà di continuare un dialogo di cui si era sperimentata la positività e si aveva timore che potesse troncarsi.

Il dialogo, almeno per quanto riguarda me, era cominciato tra il 1955 e il 1957, quando, seminarista in Rivoli, le domeniche pomeriggio scendevo alla Parrocchia di S. Martino, per qualche ora di attività nell’Oratorio. Conobbi ragazzi vivaci che cominciavano ad allargare lo sguardo oltre i confini di quei muri. Oltre la scuola, oltre la parrocchia, oltre la famiglia stessa, oltre le piccole e autentiche amicizie adolescenziali. Un “oltre” che non era rifiuto o negazione ma volontà di conoscere di più, di vedere le realtà in cui la vita li avrebbe chiamati ad immergersi e a compromettersi.

Già negli anni dell’Oratorio si era cominciato ad imparare quanto il mondo (e per chi continuava una ricerca di fede la stessa Chiesa) fossero qualcosa di ben più grande  di quel “piccolo mondo” e di quella “piccola chiesa” in cui si era cresciuti. In fondo, fu molto simile la mia esperienza quando nel 1957 fui chiamato a proiettarmi al di là del piccolo mondo da cui venivo: l’oratorio e l’appartenenza all’Azione Cattolica nell’adolescenza, la vita di Seminario in preparazione al servizio dell’essere prete e fui inviato a vivere e testimoniare in mezzo alla gente: credenti o non credenti, praticanti o no, cattolici o no…

I due articoli servirono a riannodare un po’ i rapporti che si erano allentati, quando il servizio presbiterale mi portò prima a Coazze, poi nel 1960 al Centro Cappellani del Lavoro. Non ero ancora, a quel tempo “prete operaio”. La mia presenza in fabbrica era condizionata a una concessione della direzione aziendale all’ingresso negli stabilimenti per cercare contatti il più possibile diretti verso le persone che vi erano impegnate: operai, impiegati, dirigenti, con lo scopo  di portare un annuncio evangelico. Presenza che ancora ritengo valida, anche se non priva di ambiguità.

Fu in questi anni che ricevetti i primi numeri de “IL TAMBURINO”. Fu insieme un risveglio di ricordi, un ritrovare amicizie autentiche, un condividere sentimenti e desideri comuni; soprattutto quel “non sentirsi soli” che traspariva dalla domanda del primo articolo. Rileggendo ora la domanda e la risposta, al di là, ancora una volta, della retorica o dell’entusiasmo giovanilistico, mi ritrovo a riconoscere una “identità” di situazione: eravamo giovani che scoprivano lentamente un mondo complesso; soprattutto un mondo che poneva loro degli interrogativi e li obbligava a prenderli sul serio, assumendo le proprie responsabilità. Compagni di uno stesso cammino, pure se a distanza e nella diversità delle collocazioni.   

Potrei sintetizzare con due parole le preoccupazioni principali che ci facevano sentire vicini: libertà e fedeltà. A qualcuno le due cose potrebbero sembrare distanti tra loro e quasi contraddittorie: fedeltà significa “legarsi” a problemi, situazioni, condizioni di vita, ecc… mentre la libertà mi porta a cercar di “fare quello che voglio”. Scoprimmo invece che eravamo profondamente liberi solo se riuscivamo a essere pienamente fedeli alle nostre solidarietà e alle nostre convinzioni, sempre aperti al confronto e al rinnovamento. Scoprimmo che potevamo essere liberi solo se  fedeli; scoprimmo che la fedeltà ci rendeva liberi, capaci di non svendere le nostre aspirazioni e la nostra voglia di crescere intellettualmente e moralmente; capaci di resistenze e di proposte innovative; capaci di trovare qualcosa che desse più senso alla nostra vita, qualcosa per cui valesse la pena di impegnarsi e di pagare di persona.

Chiaramente, con il tempo molti rapporti si allentarono, altri rimangono impressi nella memoria. L’unico cammino si differenziava in “molti cammini”. Di qualcuno si continuava a “sentir parlare”, altri, più o meno sporadicamente (e spesso imprevedibilmente) si rincontravano personalmente. Ognuno ha certamente storie più o meno ricche da raccontare…

L’invito che ho ricevuto da Serafino dimostra che la dispersione non fu una perdita. Piuttosto un’occasione di arricchimento.

Da quella “dispersione” e dalla convinzione di potersi ancora “ritrovare” nasce anche questa piccola pubblicazione senza pretese. Non vuole e non deve essere un semplice “guardare indietro”: sarebbe andare contro la nostra stessa storia, i nostri punti di partenza, la ricchezza di esperienza che abbiamo accumulato. 

Certo, non abbiamo più 20 anni. Tutti siamo ormai pensionati o sulla soglia del pensionamento. Ma “pensionato” non significa “disoccupato”. Tanto o pochi che siano, i giorni che ci verranno incontro ci faranno incontrare nuovi stimoli per cercare ancora di realizzare quei valori di solidarietà, di giustizia, di costruzione di rapporti di amicizia e di pace ad ogni livello cui abbiamo creduto “fin da giovani”.

Grazie per l’invito a scrivere queste poche righe. A tutti i migliori auguri per il cammino che ci resta ancora da fare. 

Don Toni Revelli

In allegato i due articoli “Prete dove sei?” e “Laico sono qui” pubblicati su Il Tamburino n. 8 del dicembre 1961 e n. 1 di gennaio del 1962.

Allegato:
prete_dove_sei_tamburino_12-1961.pdf
laico_sono_qui_toni_revelli_01-1962.pdf

2 commenti
  1. Vincenzo Elafro
    Vincenzo Elafro dice:

    Nel 1970 o 71 con Don Toni iniziammo a costruire un gruppo della Gioc a Chieri. Avevamo coinvolto un gruppetto di ragazzi la maggior parte apprendisti nelle aziende tessili. Ospitati dai gesuiti e seduti attorno ad un grande tavolo, e fedeli al metodo Gioc di partire dalle persone, incominciammo a presentarci, ognuno dicendo il proprio nome, l’età, il lavoro svolto, gli interessi, le aspirazioni, le difficoltà ecc.
    Quando fu il turno di Don Toni, la sua presentazione fu assolutamente essenziale. ” Antoni Revelli, 40 anni, prete”
    Di se sembrò non dire nulla, ma in realtà aveva detto tutto.
    Ciao Toni, salutami Gianni. Vincenzo Elafro vincelafro@gmail.com

    Rispondi
    • Gianfranco Ghignone
      Gianfranco Ghignone dice:

      Ciao Vincenzo, in quel gruppo Gioc di Chieri c’ero anch’io, unico studente. Poi i campi estivi a Bel Crest. Ho bei ricordi di quei tempi. Ho saputo solo adesso della scomparsa di don Toni. Mi spiace, una parte della nostra gioventù se ne va…Gianfranco Ghignone

      Rispondi

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