DOMANDA DI LAVORO NEL MONDO: 600 MILIONI – A.Tridente – globalmondo

Entro il 2020 dovrebbero essere creati nel mondo oltre 600 milioni di posti di lavoro, indica l’ultimo rapporto della OIT (Organizzazione Internazionale del Lavoro). E questo per poter far fronte alla domanda di lavoro di giovani disoccupati e precari. Al quarto anno di crisi economica la situazione nel mondo è peggiorata. Dal 2007 a oggi 27 milioni hanno perso il lavoro raggiungendo la cifra di 197 milioni nel mondo, e cioè l’aumento del 13% in pochi anni. Non meno grave la situazione nella parte ricca del pianeta dove 2 milioni di lavoratori sono stati licenziati e la disoccupazione è passata dal 5,5% al 6,2%. Per non parlare dell’America Latina dove 3 milioni di lavoratori sono stati dimessi nei primi anni della crisi.

Le prospettive non sono migliori per il 2012, continua rapporto OIT. L’Europa, con 45% milioni e l’8,8% di disoccupati, con un terzo che cerca lavoro da un anno, prevede di dover purtroppo contribuire con altri 3 milioni di disoccupati ai 6 milioni(5 nel 2013) che si prevede perderanno il lavoro nel mondo.

Il fatto preoccupante è che a pagare il prezzo di un futuro senza impiego e reddito e, si può ben dire, di speranza, sono i 74 milioni di giovani che si affacciano al mondo del lavoro, 4 milioni in più dall’inizio della crisi!

Juan Somavia, direttore della OIT, è convinto che i governi non stiano predisponendo politiche atte a generare impiego. E negli stessi ambienti si parla esplicitamente di “ dècada perduta”.

Gli stessi provvedimenti di austerità, quelli dell’UE per esempio, non accompagnati da politiche di sviluppo capaci di creare occupazione, appaiono insufficienti e ulteriormente penalizzanti le possibilità di espansione economica e occupazionale a breve.

Vi è poi la crescente partecipazione all’economia mondiale dei paesi emergenti, i quali investiti dal maggiore incremento demografico farà si che nei prossimi anni l’offerta di manodopera sarà di 400 milioni, aggravando pesantemente la già critica situazione, rincara ancora l’OIT.

Senza risposte da parte dei governi il rischio di proteste, esplosione sociale e violenza è reale. Non saranno certo le sole politiche solo miranti al pareggio del bilancio che produrranno investimenti espansivi, posti di lavoro e il consenso dei senza lavoro.

Quanto succede in Grecia è sotto gli occhi di tutti. Il governo di destra che ha preceduto l’attuale ha occultato il problema del deficit scaricandolo su presunti costi salariali troppo alti, dimenticando che anche in Grecia la polarizzazione dei redditi si è accentuata a vantaggio dei già ricchi, con il conseguente fenomeno dell’evasione fiscale divenuto da tempo il problema numero uno del paese.

C’è bisogno di più Europa e di comuni strategie che siano capaci di mantenere certo la disciplina di bilancio dei membri dell’Unione, ma anche eque, coordinate e dosate politiche fiscali capaci di colpire i cospicui redditi alti combattendo senza tregua la generale evasione, da parte dei redditi delle classi alte, essendo salari e pensioni già ai minimi.

La non Europapolitica può annullare quel gigantesco passo compiuto con l’introduzione dell’euro dieci anni fa; a quel passo debbono seguirne altri, quelli politici dell’Europa dei 27 (e dei 28 dal 2013). L’accoppiata Berlino Parigi non è sufficiente, e illude di una grandezza che non ha senso data  l’interdipendenza politica ed economica dell’Europa. Insistere solamente sui sacrifici è accanirsi in una terapia che non porta risultati se non si cercano le risorse laddove ci sono per impiegarle al rilancio dell’economia.

Gli esempi di consolidate realtà statuali federate nel mondo ci sono, non vanno copiati, ma neppure rifiutarne il fatto che queste unioni hanno mutato a fondo la storia di certi paesi. Non è necessario citare molti esempi: gli Usa nel Nord America e il Brasile nel Sud America sono lì a dimostrarlo.

L’Europa è già sulla strada; basta andare avanti con più coraggio e decisioni, altrimenti la febbre nazionalista potrebbe prendere il sopravvento come già si avverte in alcuni paesi come l’Ungheria e nel nord scandinavo.

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