Corsi e ricorsi sindacali

Poche ore di sciopero per dividere. Quanto tempo per riunire? Hanno certamente più ragione Landini e Bombardieri – la Cgil e la Uil – e non Sbarra, la Cisl, nel valutare negativamente e “a occhi aperti” il merito delle risposte ricevute dal governo delle tre destre. Luigi Sbarra con le dichiarazioni rilasciate al termine dell’infruttuoso incontro (due ore) del 7 dicembre tra la premier Giorgia Meloni e i tre segretari confederali, offre l’immagine di un “mastino”, determinato nel difendere le buone ragioni sindacali, ma ben sospettabile di essere “il peggior sordo è chi non vuole sentire” essendo ben chiaro dalle cronache e dalle dichiarazioni ripetute della premier Meloni quanti siano stati i NO e i “non possumum” verso le più importanti richieste sindacali, con in cima il cuneo fiscale e il lavoro per i giovani. In allegato intervista di Enrico Marro a Maurizio Landini, 9 dicembre, su Corsera.

“Il peggior sordo è chi vuole non sentire” è tanto più grave se ripetuto da organismi nazionali Cisl. Nel contempo sono ben validi gli argomenti di Sbarra – della Cisl –  nel ritenere oggi un rischioso errore quello di Landini e di Bombardieri, di ricorrere a mobilitazioni con scioperi regionali, sostenendo che “Uno sciopero generale oggi, non sarebbe compreso da tanti lavoratori e farebbe un danno al sistema produttivo in un momento già caratterizzato da una forte fibrillazione delle filiere..”.

Guadagni per il capitale!

Il governo ha sentenziato tanti No per le richieste sindacali, nel contempo ha dato via libera alla riduzione delle tasse ( al 14% !) per i guadagni da capitale. Una dilatazione delle disuguaglianze in materia fiscale, un colpo al criterio della progressività indicato in Costituzione. Eppure servono più soldi (entrate) pubblici per finanziare ( e non tagliare) i servizi sociali universali, in primis la salute e l’istruzione. Chissà se i tre segretari generali Cgil,Cisl,Uil hanno letto con la dovuta attenzione gli articoli 26 e 27 del ddl della legge di bilancio? Su quanto informa Federico Fubini in “Pochi, maledetti e subito – Giù le tasse sui patrimoni per fare cassa nel 2023, su Corsera, (vedi allegato) non è forse sufficiente, per il significato che assume, per rimanere uniti con una grande manifestazione anche se senza sciopero?

Massimo Mascini su Il Diario del Lavoro, alla vigilia dell’incontro del 7 dicembre,  in “Corsi e ricorsi” così inizia «Corsi e ricorsi storici. Un anno fa Cgil e Uil scendevano in piazza contro il governo Draghi, reo di aver portato in Parlamento una legge di bilancio che a loro avviso non affrontava e risolveva i problemi del paese. Adesso si sta per ripresentare la stessa situazione, con le stesse due confederazioni che minacciano uno sciopero generale, e la terza, la Cisl, che non crede opportuno seguire su questa strada le organizzazioni sorelle. In realtà la situazione non è proprio identica, innanzitutto perché non è identico il giudizio sui provvedimenti. A Draghi Cgil e Uil rimproveravano di non aver dato sufficiente respiro riformistico alla legge di bilancio e se la prendevano soprattutto con i partiti di maggioranza che non avevano accettato alcuni correttivi che il premier voleva dare alla sua manovra. Stavolta il giudizio sulle decisioni prese è molto più duro. Per la Cgil la manovra “è sbagliata e va cambiata perché non risponde alle esigenze del paese”. Per la Uil questa legge “non dà risposte significative alle richieste del sindacato e contiene molte scelte sbagliate”. Il giudizio è preciso, una stroncatura molto più netta di quanto non fosse il giudizio duro dato alla manovra di Draghi.

Ma, come l’anno scorso, Cgil e Uil non trovano accanto a loro la Cisl. Anche il giudizio di Luigi Sbarra è molto critico verso il governo Meloni, ma è più articolato. Alcune scelte vengono apprezzate, altre vengono criticate duramente. Su pensioni, flat tax, politica dei redditi non fa sconti al governo in carica, al quale però riconosce il merito di aver cercato e di cercare ancora un chiarimento con le forze sociali. Ed è per questo che le decisioni delle tre confederazioni divergono su quanto occorre fare adesso.(…)  per proseguire aprire l’allegato.

Si impara troppo poco dalla storia. Le divisioni sindacali sono meno difficili da ricucire se di mezzo non s’includono scioperi separati, perche con essi si va oltre il confine dell’espressione del pluralismo di idee e di proposte. Lo sciopero – anche se meno del passato – crea una linea di demarcazione, oltre la quale l’immaginario di chi indice lo sciopero e vi partecipa colloca chi non vi partecipa come collaboratori o collaborazionisti (termine peggiorativo) della controparte, del  governo o dei padroni , come “calabraghe” e via discorrendo. Si creano solchi, rotture tra dirigenti sindacali e  Rsu, tra lavoratori,  per il quali ci vuole tempo a ricoprirli.

Per come vanno le cose, per come opera il “mastino” della Cisl, nelle relazioni interne all’organizzazione, in quelle verso partiti delle destre, l’organizzazione sconta un pesante deficit di autonomia sindacale (nel senso di quella teorizzata e praticata nel secolo della sua nascita) che di fatto colloca la strategia confederale nel solco della “rivendicazione e conquista di tavoli governativi” con una vocazione filogovernativa che degrada spesso al profilo di ruolo da sottogoverno, vanificando nel nulla la stessa proposta dei suoi organismi di “fare pressing su istituzioni, partiti, opinione pubblica, per correggere la manovra” in alternativa agli scioperi.

Ricercare sempre l’unità sindacale

Fare pressing sul governo con una grande manifestazione nazionale unitaria, al sabato, oppure con due ore di assemblee pubbliche nelle più grandi stazioni ferroviarie con diffusione di volantini mettendo al centro dell’attenzione pubblica due punti: la prima, una riduzione del 5% del cuneo fiscale; la seconda, un perentorio No alla riduzione al 14% della tassazione per i guadagni da capitale. Un segnale per una svolta alla linea governativa sulla legge di bilancio, che probabilmente sarebbe sostenuto da larga parte delle associazioni datoriali. Possibile? Serve una scelta per l’unità dei tre segretari generali e un passo indietro rispetto le identità che si vogliono “ricucire” per le rispettive confederazioni.

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