IL MITO FUNESTO DEL SOVRANISMO – M.Dellacqua – il “Populismo sovrano” di S.Feltri –
FRA PEPSI E COCA COLA, IL MITO FUNESTO DEL SOVRANISMO – Se non riprenderai quella sovranità sulla moneta che salvaguardava la competitività dei prodotti mediante la svalutazione, puoi sperare di esportare le tue merci solo se abbassi i salari e riduci le spese per le prestazioni sociali in pensioni, sanità, istruzione e Comuni. Nelle attuali condizioni, i vincoli comunitari imposti dall’Europa obbligano i partiti ad uniformare i loro programmi.
La competizione fra Pepsi e Coca Cola non impedisce che si scateni il festival delle promesse irrealizzabili in attesa di frustrazioni e rancori dell’elettore tradito (e traditore degli schieramenti tradizionali), ma avviene sul palcoscenico di una democrazia svuotata ed espropriata. Ai leader in gara non resta che offrire al peggior offerente la simpatia volubile del proprio carisma. I loro sostenitori vanno preferibilmente scelti in un paesaggio composto da disonesti e incompetenti. Meglio ancora se sprovvisti di pensiero critico e autonomo, perché più proclivi alla coerenza intesa come obbedienza, refrattarietà al tradimento e fedeltà al capocordata.
Puoi essere di sinistra e puntare alle tutele del welfare per via redistributiva. Puoi essere di destra per “uno Stato ridotto al minimo, tasse basse e libertà di scelta tra i servizi offerti dal mercato”. Ma è così importante? Nella competizione puoi anche decidere di astenerti se pensi che “lo sforzo di partecipare al processo democratico sia più elevato dei benefici attesi” dalla vittoria del tuo partito (p.62).
L’uniformità totalitaria dei messaggi è più ampia del previsto. In nome di un “popolo” immaginato come incontaminato dalla corruzione onnivora delle élite, o in nome della neutralità dei tecnici delle grandi istituzioni internazionali, chiunque dissente è nemico della collettività.
Se questi sono i chiari di luna che oscurano gli orizzonti delle nuove generazioni, l’economia è condannata al declino, mentre la partita della democrazia è persa a tavolino. Stefano Feltri è, però, tra quanti non si danno per vinti. La via d’uscita che sembra indicare però smentisce e demolisce troppe verità di comodo poste a presidio di troppe strategie del rinvio e della rimozione.
E’ vero che il vincolo esterno è un macigno che schiaccia la nostra libertà di decidere le dinamiche dell’economia, ma un conto è assumerlo come un dogma inamovibile, un altro è illudersi di poterlo scavalcare prendendo la scorciatoia di un pronunciamento referendario. Il recupero della sovranità monetaria – dice lo studioso della Bocconi – è un’illusione, è una promessa che non si può mantenere perché le leve del potere resterebbero saldamente e inesorabilmente nelle mani delle multinazionali.
Anzi, di fronte a una globalizzazione governata dalle concorrenti ambizioni egemoniche di Usa, Cina e Russia, l’Unione Europea è in realtà “un argine” contro quei poteri. Tassare grandi concentrazioni come Amazon, Google, Face Booke, Apple, Mc Donald’s è possibile solo a livello europeo o di paesi OCSE (p.42 e 89). E il ricorso alla leva fiscale per combattere le disuguaglianze e redistribuire le ricchezze è la via maestra da seguire assieme a una riforma concordata (e combattuta, non certo in alleanza con Visegrad) di trattati europei ormai vetusti, inefficaci o dannosi.
“Togliere a chi ha di più – scrive Feltri – per dare a chi ha meno non è utile soltanto a perseguire una certa giustizia sociale, ma è benefico anche per la crescita dell’economia nel suo complesso. Eppure la politica è andata nella direzione opposta” (p. 60). Per esempio, ha inseguito i fantasmi della meritocrazia, ormai considerata a destra come a sinistra “la premessa non dichiarata che certe disuguaglianze sono necessarie per il sano sviluppo della società”: a giudizio di Feltri, invece, “il principio della meritocrazia serve a legittimare le disuguaglianze, non a ridurle”(p. 80). Giudizi non dissimili da quelli di Violaine Mourin, cui ho avuto modo di accennare discutendo i “Troppi diritti” di Alessandro Barbano.
La via referendaria è un’altra trappola da evitare. La propongono i sovranisti in tutte le salse (ultima trovata, dopo il sorteggio dei “cittadini” da mandare in Parlamento, la riforma costituzionale con referendum propositivo senza quorum), ma “non è un mezzo per avviare un processo decisionale”(p. 100). Serve, piuttosto, a trasformarsi in “diritto di veto” (p.109) esercitato da minoranze che pretendono di condizionare il destino di milioni di altri europei. Serve a “consolidare ciò che il leader populista ha già riconosciuto come l’autentico interesse popolare”. Lo dimostrano, secondo Feltri, i casi olandese, ungherese e catalano ove i capi di Stato si sono rivelati vittime del “populismo sovrano” perché hanno perduto il coraggio di riconoscere che le nazioni devono cooperare e preferiscono invece “promettere ai propri elettori soluzioni nazionali a problemi globali: muri, fili spinati…”(p.130).
La torre di Babele è crollata ma sarà ricostruita non dall’orgoglio legato al “mito funesto” della sovranità assoluta degli Stati, come diceva Einaudi, ma dalle ambizioni dei tessitori di cooperazione: quelli convinti, come ha detto Mattarella, che “nessun paese europeo può garantire, da solo, la effettiva indipendenza delle proprie scelte”. (p.112).
Mario Dellacqua
STEFANO FELTRI, Populismo sovrano, Einaudi 2018, p. 140, euro 12
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