Subito una prima azione sul fisco. All’indomani dell’avvertimento di Moody’s sul debito pubblico, l’ultimatum lanciato da Cisl e Uil sulla riforma fiscale – subito raccolto ed enfatizzato da due ministri della Lega, alla vigilia del raduno di Pontida – rappresenta probabilmente l’ultimo e decisivo segnale per il governo. Non è più tempo di equilibrismi: entro la verifica di mercoledì, il presidente del Consiglio dovrà infatti essere in grado di tracciare un percorso di riforme credibili per il Paese.
Le fibrillazioni politiche che squassano ormai da un anno la maggioranza in queste ore stanno toccando l’apice. Le sconfitte elettorali e la sfiducia emersa dall’esito dei referendum hanno contribuito non poco a disegnare all’estero l’immagine di un Paese senza più una guida certa. Le difficoltà ad uscire dalla crisi economica, il peso enorme del nostro debito pubblico, l’indecisione che paralizza il Parlamento hanno offerto l’occasione alle agenzie di valutazione per mettere sotto osservazione (con qualche malizia) il nostro grado di affidabilità come debitori. Non è questione da enfatizzare oltre misura, non si tratta di un’ordalia, del "giudizio di Dio". È pur vero, però, che un’eventuale declassamento del nostro rating si tradurrebbe quasi certamente in un aumento dei tassi di interesse sui titoli di Stato. E se anche ciò non arrivasse a spingerci verso scenari da tragedia greca, renderebbe comunque tutto estremamente più complicato. A cominciare da come reperire quei 40 miliardi di euro che servono all’Italia per rispettare l’impegno di pareggio del bilancio preso con l’Unione Europea e che sarebbe esiziale disattendere.
Occorre dunque muoversi su un crinale strettissimo. Da un lato tenendo conto dei vincoli di finanza pubblica: non possiamo permetterci alcuno sforamento e vanno anzi individuati tagli tanto consistenti quanto selettivi della spesa improduttiva (altro che spostare ministeri…). Dall’altro, dando gambe e respiro alla crescita economica attraverso scelte che siano altrettanti stimoli positivi a un corpo sociale in preda ai crampi della crisi, anchilosato da troppi anni di indecisione. È per questo che la riforma del fisco appare quanto mai necessaria e urgente, dopo anni di promesse non mantenute.
La via d’uscita per il governo Berlusconi appare allora obbligata e in fondo unica. Presentarsi alle Camere con una lista precisa delle priorità di governo che si intendono perseguire e un’agenda dei tempi di realizzazione della manovra e della riforma fiscale collegata. Abbiamo tre mesi prima che le agenzie di valutazione del credito formalizzino il loro giudizio e le "locuste" puntino su un’altra delle vulnerabili Penisole d’Europa. In questo lasso di tempo può – deve – essere realizzato un primo passaggio che si muova concretamente lungo due direttrici fondamentali: l’alleggerimento delle imposte dirette su lavoratori e imprese, compensato dall’aggravio del prelievo sulle rendite e sui consumi non primari; l’introduzione di un fattore che differenzi la tassazione in base al numero dei componenti la famiglia. Un primo modulo – anche a saldo finale zero per le casse dello Stato – che avviasse questo fondamentale riequilibrio rappresenterebbe non un fattore negativo sui conti, ma una carta decisiva per lo sviluppo.
L’impegno a mettere in atto con scadenze biennali altri moduli di riforma, fornirebbe la riprova che possiamo ritrovare un futuro condiviso.
La partita politica rimane ancora in gran parte da giocare, ma dev’essere chiaro a tutte le forze che "nessuno si salva da solo" e che pure i tempi delle elezioni vanno calcolati avendo cura di non gettare il Paese in pasto alla speculazione, essendo certi di poter mettere in campo un’alternativa solida. È tempo di esercitare la massima responsabilità, anche avendo la capacità di fare assieme ciò che è indispensabile all’Italia – come ha auspicato venerdì il presidente Napolitano – e di farlo con umiltà e disponibilità. Due merci ormai rare sull’attuale mercato della politica, ma da scovare con urgenza. L’alternativa, infatti, potrebbe essere quella di finire eterodiretti, in balia di chi muove le leve dei mercati o di sovraistituzioni che decidono per noi.
Francesco Riccardi
L’Avvenire del 19-6-11
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