L’amministratore delegato della FIAT ha colto l’occasione offertagli dalla trasmissione di Fazio per lanciare il suo messaggio al paese. Raffaele Bonanni commenta “ ha colto nel segno” e giunge a definirlo monito. Espressione solitamente usata in ambito ecclesiastico per richiamare gli smarriti alla retta via altrimenti…Nelle cose dette alla Tv non vi sono grandi novità rispetto a quanto già noto.. Il massimo dirigente FIAT ha ribadito analisi e proposte enunciate più volte in passato, in particolare in occasione del “caso Pomigliano “.
E’ il contesto comunicativo che è cambiato. Questa volta il mezzo era la TV e il destinatario un vastissimo pubblico fatto prevalentemente da persone non “addette ai lavori “, che della FIAT , dei suoi problemi e storia hanno una conoscenza approssimata se non nulla. Forse per questo ( la TV e la sua audience ) il discorso di Marchionne ha occupato e occuperà le pagine e i media : commenti, articoli, prese di posizione.. e poi dibattiti, considerazioni di ordine politico, sociologico, culturale persino filosofico , dal momento che Marchionne, ha sottolineato la necessità per essere buoni manager di una formazione filosofica.
Non manca chi già la butta nel populismo tradizionale tirando fuori i “ poteri forti” contrapposti al popolo minuto dei piccoli senza potere, della grande industria ingrata che si dimentica dei tanti aiuti avuti dallo Stato, dell’ingiustizia di chiamare indirettamente in causa il sistema Italia e le sue manchevolezze e ritardi. Insomma pur non dicendo quasi niente di nuovo le risposte date a Fazio sono diventate un caso nazionale.
Sentiamo il rischio che anche il sindacato nel suo insieme sia intrappolato nella rete dei commenti a battuta “ se ne vuole andare” di Epifani ad es., nel cercare di utilizzare l’intervista a proprio fine ( vedi appunto il segretario CISL ) o a denunciarne il contenuto reazionario.
Non che non si debba discuter del contenuto culturale-politico dell’analisi e delle proposte ma sarebbe bene farlo dopo essere andati un pò in profondità dei diversi punti che sostengono il messaggio centrale di Marchionni. Cercheremo di farlo con interventi specifici sia raccogliendo il numeroso materiale che viene prodotto: articoli, analisi, saggi,interviste.
Qui in modo sintetico ne rileviamo alcuni.
La tesi. Marchionne sostiene che la FIAT nella competizione internazionale è svantaggiata dai ritardi del sistema Italia sino a porre in modo retorico la questione se sia pensabile, conveniente e perciò razionale continuare a produrre auto nel nostro paese.. Se ne vuole andare ? Lancia un monito : se non fate come dico io ? Utilizza un argomento facile ( la globalizzazione, la concorrenza ) per annullare diritti, aver mano libera, sconfiggere il sindacalismo contrattualista e conflittuale ? …Tutte osservazioni che cominciano a circolare e ad allargarsi.
Il nostro parere è che la tesi delle difficoltà FIAT sia corretta, pertinente ma gli argomenti portati a sostegno da Marchionne sono in parte strumentali e riduttivi, mezze verità che tutte insieme possono fare una grande bugia, proprio sul tema scelto come centrale della produttività e della governabilità. Vengano ignorate altre cause che investirebbero la responsabilità FIAT.. Prima fra tutte l’incapacità di uscire dal suo posizionamento competitivo, per usare un’espressione degli analisti industriali. L’impotenza ai “ salire di gamma”, uscire dalla specializzazione in cui è brava come produttore di vetture di fascia bassa e media, per aumentare la propria presenza nelle fasce alte. Dove vi è forte valore aggiunto, si fanno i profitti, si ricercano teconologie di punta, si costruisce la propria immagine di attore mondiale.
Perché, questo antico problema di FIAT che tutti gli analisti industriali sottolineano da tempo non viene analizzato nelle sue cause ? Da che cosa dipende ? Cosa bisognerebbe fare in termini di ricerca, innovazione di prodotto e processo, politiche industriali, per affrontare questo problema strutturale e strategico. Tutte questioni che Marchionne evita nelle esternazioni pubbliche per spiegare le ragioni di debolezza invece con ben altri e insufficenti argomenti e soprattutto con proposte perlomeno sproporzionate: la montagna non si sposta e si da la colpa al topolino.
La dimostrazione della tesi. L’argomento forte e sicuramente efficace a livello emozionale è la denuncia della bassa produttività, magari con la precisazione che non è colpa dei lavoratori, ma sollevando volutamente un gran fumo per non far comprendere e confrontare la produttività oraria di un lavoratore di questo stabilimento con quell’altro. Anche sui media disinvoltamente si scambia la produttività con la produzione. Che senso può avere, se non quello di una elevata produttività ( sic!) di un gran fumo, confrontare il numero di vetture prodotte a Tichy con gli stabilimenti italiani quando là si è a pieno regime degli impianti per tutto l’anno e qui e’ più il tempo che si passa in Cig di quello in produzione? Buona o mala fede? Eppure fioccano i numeri: siamo indietro in tutto.
Non è un modo intellettualmente corretto di enunciare il problema. Chiunque si occupi di politiche d’impresa sa quanto sia arduo fare confronti. La famosa ricerca del MIT sul futuro dell’auto negli anni 80, la prima di una serie, che sfociò con le proposte di nuovi paradigmi organizzativi ( le giapponeserie si diceva ) dedica non poco spazio ai criteri di confronto tra stabilimenti differenti, aziende, linee di prodotto, ed altri settori, richiamando sempre la necessità di paragonare le pere con le pere e non con i limoni !
Di non confondere produttività del lavoro ( del lavoratore) con quella d’impresa – meglio definibile come efficienza ed efficacia di un progetto industriale – perchè oltre al lavoro diretto e indiretto entrano in gioco altri fattori: il modello produttivo, la logistica, i rapporti con i fornitori, il territorio e le sue infrastrutture, accanto, certo, alla produttività del lavoro, i tempi di esecuzione, gli orari.
Nel suo intervento su La Repubblica lo ricorda con chiarezza Luciano Gallino. L’immagine di operai polacchi ultra produttivi, ultra veloci e disponibili, a cui si contrappongono italiani lenti, rigidi e perché no troppo garantiti da contratti e leggi non regge. E’ una caricatura che si scioglierebbe come neve al sole se il metodo non fosse quello esibito nello studio televisivo di Fabio Fazio. Tanto per essere concreti: misurare l’impegno lavorativo e la resa di un lavoratore per lo stesso numero di ore lavorate nel giorno con una prima semplice divisione, al numeratore la sommatoria dei pezzi prodotti nel giorno espressa in ore, al denominatore la quantità di ore lavorate nel giorno. Ricordiamo che ogni pezzo, ogni parte dell’auto ha un suo tempo espresso in minuti o frazione per le operazioni più veloci.
Sulle linee della Volkswaghen, della Opel , della FIAT polacca i tempi di lavoro sono determinati da sistemi che fanno riferimento a criteri internazionali come ad esempio il Word class manifacturing (Wcm). La Fiat sta adottando quel modello di organizzazione del lavoro – che si propone di ridurre i costi e aumentare efficienza e qualità dei prodotti – integrandolo con la metodologia (ErgoUas) che associa gli aspetti ergonomici con la definizione dei tempi e dei ritmi di una postazione di lavoro. (Vedi allegato Fiom nazionale)
Questo nuovo metodo di organizzare il lavoro e la prestazione del lavoratore è già in parte introdotto a Mirafiori, a Melfi, ed è quello definito per Pomigliano. Questo metodo è lo stesso che viene applicato a Wolfsburg, a Pamplona e altrove. Per lo stesso prodotto la velocità delle linee e le mansioni dovrebbero essere le stesse. Potrebbero essere diversi i rapporti con il sindacato, i sistemi di incentivazione, di valutazione della professionalità, la mobilità di carriera, le procedure.
Potrebbe essere diverso il rapporto lavoro diretto/indiretto ?
Sono diverse le questioni da approfondire in tema di produttività del lavoro del singolo o del processo produttivo. E’ davvero strano e singolare che Sergio Marchionne, anziché misurarsi sui punti prima citati, indichi la priorità di discutere di assentesimo, di straordinari ( che incidono certamente sulla produzione) quando in Italia gli impianti non sono utilizzati ( quantità eneorme di Cig) non certo per responsabilità dei lavoratori e dei sindacati.
Sono così differenti le situazioni sulla produttività del singolo lavoratore tra le diverse case automobilistiche? Stando alle ricerche e alle analisi di casi condotte da esperti non si direbbe. Si ripete lo slogan di “fare come il modello tedesco”, quasi che quei lavoratori disponessero di quattro mani: sono meglio considerati non solo per l’aspetto salariale ma dispongono anche di più settimane di ferie dei lavoratori italiani.
Se si parla di produttività dell’azienda intesa come efficienza complessiva si devono allora prendere in considerazione anche altri fattori sistemici e organizzativi.
Perché la FIAT consegna le vetture con margini di tempo ben superiori (mesi) a quelle della concorrenza ? Per scelta o ritardi organizzativi ? Perché paga i fornitori con ritardi addirittura maggiori di quelli della pubblica amministrazione ? Perché ha un sistema di relazioni industriali assurdo, centralizzato a differenza dei suoi concorrenti ? Perché non fa quasi più formazione ? Perché pochi modelli competitivi! E si potrebbe continuare.
In quanto al rapporto con il sistema Italia. Perché non chiamare le cose con il loro nome. La mancanza di una seria politica industriale da parte del Governo, una selettiva ma coraggiosa politica dei crediti per investimenti da parte delle banche. L’amministratore delegato della Fiat non segua il cattivo esempio del Segretario CISL che attacca genericamente e populisticamente la politica senza mai fare nomi di chi ha la responsabilità di operare le scelte politiche e della finanza. Dichiarasi al di sopra delle parti, ripetere richiami ecumenici, non è certamente un lessico sindacale sinonimo di autonomia ed indipendenza. Al di sopra delle parti? Si finisce di essere neutrali. Anche Don Abbondio, nei Promessi Sposi, era neutrale a modo suo. Per un sindacalista è un fatto ben preoccupante, diventa strabico nel suo “mestiere” scambiando il maggior salario ottenuto con le indennità per il lavoro notturno e per gli straordinari e per la monetizzazione delle pause come salario di produttività. Anche in sindacalese rimane un’eresia definire in tale modo la produttività al mero scopo di detassare una parte del salario. Oppure si finisce di smarrire il confine tra la centralità dell’azienda, come logica d’impresa, e l’aziendalismo che consiste nel collaborare e sostenere le scelte che il “padrone” o manager ha già deciso nella sua autonomia. Altrochè sindacato moderno!
Infine un ultima considerazione. La sproporzione citata tra dimensione del problema ( la debolezza FIAT nella competizione internazionale ) e le proposte, i famosi moniti.
Affermare che uno stabilimento diventa competitivo perché si riducono i minuti di pausa da 40 a 30 motivandolo con argomenti ergonomici, che si può saltare a comando della Direzione la pausa per il pasto per dedicarla alla produzione è come dire che una squadra di calcio di bassa classifica può vincere il campionato se …si mette a corre un pò di più pur mancando di un registra e di un centroavanti.
Il rispetto degli accordi e la responsabilità per obiettivi condivisi sono fattori decisivi per la governabilità di un’azienda e per la realizzazione di un progetto industriale. Non è certo il metodo, la forma e la sostanza scelta con il protocollo Pomigliano. Un protocollo è un testo definito da una sola parte da recepire o no! Un accordo è un atto di partecipazione, discusso e definito congiuntamente, quindi sottoscritto. Anche sul problema che è diventato l’argomento ad effetto, quello dell’assenteismo, perché per l’anomalia di Pomigliano non seguire l’esempio di Betim in Brasile per superare i momenti di assenteismo anomalo? Là è prevalso il lavoro culturale e sindacale.
A Pomigliano si è ripetuta la metafora della montagna e il topolino.
Per concludere. Un’osservazione ed un impegno.
L’osservazione per Pomigliano. Ha un bel dire Sergio Marchionne di non aver chiesto un euro allo Stato, intanto la Cassa Integrazione a Pomigliano – stante il fatto che il programma per l’avvio della produzione della nuova Panda è stato spostato per la seconda volta in avanti nel tempo, ora al 2012 – da metà ottobre è una Cassa Integrazione in deroga, quindi erogata dai contributi pubblici che hanno eroso i fondi europei e delle regioni per lo sviluppo. O no?
L’impegno. Pubblicheremo approfondimenti e chi intende dire la sua è benvenuto. Ci interessa che la discussione sul caso diventato nazionale non rimanga impagliata nella rete che si sta sviluppando in questi giorni. Per usare un linguaggio desuetò che si vada invece alla concretezza del reale, alle cose così come sono, evitando retorica, sofismi e immagini di propaganda. Marchionne non ha fatto in questo senso onore alla sua laurea di filosofo presentando al pubblico TV l’immagine di stabilimenti ove l’assenteismo aumenta quando c’è la partita ( a proposito capita anche in Germania per non parlare del Brasile ) e giustificare, come affermato in passato che il proprio lauto stipendio dicendo che “non fa le ferie , si alza presto al mattino e viaggiare stanca”. Davvero mal messa la FIAT se deve fare tutto il suo amministratore delegato ! Roba da rotocalco altro che filosofia. E le ferie oltre che un diritto costituzionale sono da sempre elogiate dai filosofi .
Alleghiamo 5 articoli con punti di vista diversi per sviluppare il senso critico e quindi aumentare la capacità di proposta:
- La falsa scorciatoia della delocalizzazione L.Gallino su La Repubblica
- Per la Fiat l’Italia si assolve M.Deaglio su La Stampa
- Il sistema Wcm e ErgoUas Fiom Nazionale
- La sfida di Marchionne:produttività e salari F.Pellis – Ares
- Le tesi di Marchetto – da dibattito in Fiom e Cgil nel 2005
Allegato:
La falsa scorciatoia della delocalizzazione_Gallino.doc
Su Fiat l’Italia si assolve_Deaglio.doc
La sfida di Marchionne_ARES.doc
Le tesi di Marchetto.doc
Wcm-ErgoUas_Fiom Nazionale.pdf
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