A PROPOSITO DI…. – V.Rieser – sindacato & democrazia 18/10/10

Con il precedente samizbar sulla CGIL sono pervenute a Vittorio numerose mail di osservazioni che, unitamente agli ultimi sviluppi sindacali, lo hanno sollecitato a scrivere alcune “postill-bar” a proposito del premio di risultato e della contrattazione articolata dove si misura la debolezza profonda del sindacato ben più determinante dei vincoli nazionali di concertazione. Di grande utilità per i nostri giorni sono le acute riflessioni a proposito di sciopero generale, citando una casistica di scioperi generali che sono stati efficaci ed altri puramente simbolici. A proposito di CISL e di unità sindacale è la terza postilla. Sottolinea che “dal punto di vista dei lavoratori” e nella coscienza della gran massa dei lavoratori, il sindacato deve essere unito, se no non si va da nessuna parte. Non si può liquidare la questione dell’unità sindacale sostenendo di credere di essere nel giusto. Osserva che Bonanni propone una vera e propria “mutazione genetica” nella natura del sindacato e si domanda come sia possibile che nei milioni di lavoratori che seguono la CISL non si sviluppi nessun “antidoto”. Sottolinea di prestare la dovuta attenzione a due aspetti: 1 – è importante valorizzare tutti gli elementi di dibattito interno alla CISL che si richiamano agli aspetti di autonomia contrattuale che l’hanno caratterizzata in passato; 2 – è importante analizzare le esperienze, che persistono numerosissime, di lotte e accordi unitari. Analizzarle, cioè esaminarne criticamente i contenuti; non serve esaltarle o demonizzarle indiscriminatamente (come a volte si tende a fare da diverse parti in CGIL), serve invece valorizzare e consolidare quelle che difendono l’autonomia contrattuale del sindacato e il suo rapporto democratico con i lavoratori, e invece battersi contro quelle che (magari per un malinteso spirito unitario, o semplicemente per opportunismo) “aprono delle brecce” alla contro-riforma delle relazioni industriali propugnata da Sacconi-Bonanni-Marchionne.

Leggi e diffondi l’allegato     Postill – bar di Vittorio Rieser

Allegato:
postill-bar_Vittorio Rieser.doc

1 commento
  1. antonio-ferigo-d74
    antonio-ferigo-d74 dice:

     

    Vittorio ha il dono di Linneo ( il fondatore della botanica sistematica ) e dei filosofi scolastici del medio evo.  Mette in fila, in bell’ordine le questioni. In modo sistematico per l’appunto. Questo gli guadagna  lettori un pò stanchi del "tutto è complesso " che caratterizza certo linguaggio sindacale odierno e anche di tante analisi di sociologhi che vanno per la maggiore ( tutto è liquido, il lavoro è scomparso … e via discorrendo). Lettori che, riuscendo a capire quello che si legge , non solo perchè il linguaggio è chiaro ma anche per i riferimenti a esperienze, possono essere  spinti dalla voglia di commentare vincendo pigrizia o pessimismo. Questo è successo a me. Vittorio si assuma, pertanto, la responsabilità dell’eventuale dibattito con cadute alla Moretti.

    Mi soffermo sul 1° punto delle sue postille : il premio di risultato. Lo faccio perchè , appunto,mi rimanda a esperienze personali quando con care persone come Ceccotti, Angelo Dina, Luciano Pero  si lavorava in armonia con ‘lufficio sindacale nazionale dei metalmeccanici.

    Poco dopo la firma del contratto dei metalmeccanici che seguì  di un anno l’accordo del 23/7/93 sul premio di risultato ,uscì un manuale  scritto a più mani  (le nostre ) e attribuito ai segretari , sul tema. Doveva servire non solo a " spiegare " l’accordo ma offrire strumenti per una gestione del premio nella contrattazione articolata. Non perdiamo l’occasione, si diceva ,per rilanciare l’attenzione sull’organizzazione d’impresa e del processo produttivo.  L’accordo aveva il pregio , come sottolinea la postilla vittoriana, di essere generico nell’indicazione dei possibili parametri di performance aziendale e anche sul loro livello di applicazione ( impresa,stabilimento,reparto etc…). Inoltre non esauriva l’intera politica salariale.

    Vittorio , a ragione,richiama il fatto che alla fine sono rimasti in prevalenza due parametri: quelli generali riferiti a prestazioni economico-finanziarie dell’impresa ( redditività, soddisfazione dell’acquirente del prodotto , MOL,..).e quello diffusissimo della presenza ( più individuale che collettiva ).

    Rispetto alle ambizioni iniziali il risultato è misero. Perchè ? Le risposte sia di destra che di sinistra ,  attribuibili in casa CGIL alla critica della concertazione da parte della  "sinistra" e ai limiti del contratto dalla "destra" ( G. Camusso) ,non solo non sono giuste, ma evitano il problema di fondo: la debole cultura contrattuale. Forse non fu chiaro fin dall’inizio quale obiettivo si voleva perseguire. Adattare la contrattazione articolata ai nuovi scenari aziendali ? Fissare regole alla politica salariale ? Rinnovare le relazioni industriali ? Intervenire nell’organizzazione d’impresa ? Allargare la contrattazione di secondo livello ?

    Non sono in grado di valutare appieno la contrattazione articolata che si è svolta negli ultimi anni (ero impegnato in altre questioni ). A  lume di naso non mi pare che la situazione  sia molto differente da quella di quindici anni fa. Anzi stando alle inchieste sudiffusione e contenuti del secondo livello si può dedurre, addirittura , un arretramento di quantità e qualità indipendentemente dalle risposte possibili alle domande sopra accennate.

    La debolezza sembra essere diventata cronica. Non sarebbe male ,e forse utile al presente,chiedersi il perchè ? Una discussione, da qui, le annotazioni che seguono , che tentammo di impostare a suo tempo senza grandi risultati . Mi ricordo le incazzature di Angelo Dina  quando scopriva accordi con parametri assolutamente incoerenti o la frase che mi fu detta nel corso di una riunione di un tavolo paritetico per la gestione di un accordo sulla qualità ; " non sei mica venuto per crearci problemi ? ". Stessa sorte toccò ad un amico esperto di bilanci aziendali.

    Comunque il gruppo ristretto di affezzionati della materia, quelli che ritenevano che l’intervento sull’organizzazione d’impresa e del lavoro fosse centrale nella strategia sindacale, arrivò a trovarsi in sintonia su alcuni punti che, seguendo la metodologia scolastica di Vittorio, tento con meno efficacia di elencare:

    1. L’obiettivo  di fare del premio di risultato il "grimaldello " per affrontare l’organizzazione del lavoro e le politiche d’impresa era troppo ambizioso perchè sproporzionato rispetto alle risorse in conoscenza e capacità presenti nel sindacato sia a livello di base , sia a livello di gruppo dirigente. Se in termini oggettivi era una necessità di fronte ai cambiamenti organizzativi . Se in termini politici era una pregevole proposta su cui rinnovare le relazioni sindacali.  In termini soggettivi o non era percepito come tale ,e probabilmente era l’opinione prevalente anche se non dichiarata, oppure necessitava di un cambiamento "culturale" che fu tentato in piccola parte. E quando avvenne incontrò  non poche resistenze, ( valga ad es. il caso della FIOM Rivalta, o l’applicazione mancata dell’accordo Zanussi ). Inoltre non mancarono vere e proprie derive magari battezzate ( sputtanandolo ) con il termine partecipazione.

    2. A tale sproporzione si reagì non con una analisi delle sue cause ed individuazione di possibili rimedi ma " buttandola in politica ". Per i partecipazionisti era la moltiplicazione di riconoscimenti del sindacato. " Partecipo, sono riconosciuto quindi esisto".:  Mi ricordo la battuta di un dirigente nazionale , " io con la FIAT firmo anche per fare un comitato sulle previsioni del tempo ". Peccato che per discutere del tempo occorre perlomeno sapere la differenza tra un temporale e un tornado, usare strumenti analitici o  saper distinguere tra nuvole e nebbia. Avere cioè qualche competenza. Per i non partecipazionisti, magari riferendosi con tanta approssimazione alla codecisione tedesca, era la riaffermazione dell’antagonismo quasi che la fase anni 70 dovesse durare in eterno, non ci fossero stati cambiamenti epocali negli scenari economici e nei modelli produttivi ( crisi del modello fordista, azienda-rete, lean production , ..).. 

    3. Il buttarla in politica evitò di assumere come problema centrale la necessità di innovazione nella cultura e pratica contrattuale. Che cosa bisogna sapere per contrattare e gestire un premio di risultato ? Che cosa bisogna saper fare ? Come entrare in possesso delle capacità necessarie ? valorizzare le conoscenze che già si possiedono ? Evitare che il premio sia solo il vecchio rivestito con nome nuovo ? Etc…Certamente si rendevano necessari strumenti di analisi f dei cambiamenti ( Marchetto direbbe un aggiornamento delle mappe grezze ), delle politiche d’impresa  per scegliere i parametri giusti. Che senso ha ad esempio escludere a priori la redditività per un’impresa che produce merci ad alto valore aggiunto , con alti profitti ? Oppure escludere parametri diversi entro la stessa impresa per valutare qualità in relazione al lavoro concreto richiesto da fasi diverse del ciclo di lavoro ? Come trattare il tema professionalità di fronte ai cambiamenti effettuati o richiesti ? Si potrebbe continuare.

    Sono partito per altri lidi lasciandomi dietro questi quesiti. Quando sono tornato non erano stati per nulla risolti ma nemmeno affrontati.

    4.Rispondere a queste questioni avrebbe voluto dire esaminare le diverse attività sindacali ( formazione a vari livelli, ricerca, rapporti internazionali, consulenze esterne,…) in funzione dell’obiettivo di una gestione efficace ,politicamente ,del premio. Non si trattava di rispolverare antiche teorizzazioni sul controllo operaio ma più prosaicamente fare in modo che nelle trasformazioni in corso il lavoro, la sua tutela , riconoscimento ,promozione e rimunerazione trovasse nel sindacato il suo tutore e promotore. Tutte cose che non si improvvisano , che non possono essere risolte dall’impegno di un manipolo di addetti ai lavori e soprattutto che non bisogna fare finta di fare. Che poi se si fanno davvero questo rimandi ad altre questioni , non ultima ma prima e dirimente ,il livello di unità, è forse la spiegazione del perchè non si son fatte. ma questo è un altro, attuale, discorso.

    Toni Ferigo

     

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