Oligarchie e paracadutati
“Come può essere democratico lo Stato, se non lo sono i partiti, principale strumento di democratizzazione dello Stato?”. Sabino Cassese, Sergio Fabbrini e Giuseppe De Rita – vedi articoli allegati – riflettono su come si compongono le liste elettorali, sui tanti paracaduti per decisioni romane che hanno baypassato i territori. S’interrogano sulle cause e sulle scelte che hanno trasformato, in questi decenni, i partiti tanto da renderli evanescenti – chi dice fragili, chi liquidi, chi signori di pacchetti di tessere – nel territorio, nel contempo trasformandoli in lobby, oligarchie che decido a Roma come correnti o leader di partito. Rare le eccezioni.
L’editoriale di Sabino Cassese “I partiti fragili” (Corriere della Sera del 22 Agosto) così inizia. < C’erano una volta i partiti. Erano associazioni e si erano sviluppate con la conquista del suffragio universale, che aveva portato alla cittadinanza attiva milioni di persone. Nel secondo dopoguerra, quasi il 9 per cento della popolazione italiana con più di 14 anni era iscritto a un partito. Avevano poderose articolazioni territoriali, organizzazioni laterali giovanili e organizzazioni collaterali. Riunivano ogni due o tre anni i rappresentanti degli iscritti in congressi dove si scontravano correnti, si presentavano mozioni contrapposte, si votava sui programmi e sulle persone.
La Democrazia cristiana ha avuto per molti anni fino a due milioni di iscritti (anche se talvolta i tesseramenti erano «gonfiati»), distribuiti in più di un migliaio di sezioni; un congresso, che si riuniva ogni due o tre anni, composto di rappresentanti degli iscritti e di rappresentanti dei parlamentari; un consiglio nazionale di circa duecento componenti, che si riuniva tre o quattro volte per anno; una direzione di una trentina di membri, che si riuniva ogni mese; numerose organizzazioni collaterali.
Il Partito comunista aveva dimensioni e articolazione simili. Ha avuto in qualche anno fino a due milioni e mezzo di iscritti, un numero di cellule oscillante tra 30 e 60 mila e di sezioni tra 7 e 16 mila, e i suoi organi collegiali erano altrettanto, se non più attivi, di quelli democristiani. Il Partito socialista, pur se di dimensioni più ridotte quanto a iscritti, aveva una vita interna altrettanto democratica. Insomma, per quasi cinquanta anni della storia repubblicana, i partiti hanno rispecchiato la frase pronunciata da Piero Calamandrei alla Assemblea costituente il 4 marzo 1947: «una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti».> (…) per proseguire aprire l’allegato
Sergio Fabbrini, nell’intervista rilasciata a Umberto De Giovannangeli (Il Riformista, 25 Agosto) con il titolo di forte richiamo «Giornalisti, imprenditori, sindacati, la colpa è vostra» per quanto riguarda la politica degenerata chiama in causa i soggetti sociali, detti anche corpi intermedi, che danno “anima e corpo” alla vita dei partiti. Si legge < ..Gli eletti rispondono solamente a se stessi se non hanno il fiato sul collo, che dovrebbe essere quello dei giornalisti, dei leader sindacali e imprenditoriali. Siamo di fronte ad una dequalificazione di questa rete intermedia. 1 vari rappresentanti degli interessi pensano ad entrare nel mondo degli eletti, la stampa è suscettibile alle correnti predominanti….Questa mancanza di rigore intellettuale della classe dirigente diffusa il grande problema del Paese.. L’ autoriforma è impensabile. Toccherebbe alla classe dirigente intermedia intervenire, ma le manca la sapienza e il coraggio.. >. Così anche per la mancata riforma della legge elettorale e delle istituzioni si è creato un regime di oligarchia che ha dato un gran brutto spettacolo nella recente vicenda dei tanti paracadutati da Roma nei vari collegi elettorali.
Quella che segue è la prima domanda posta da Umberto De Giovannangeli a Sergio Fabbrini . < Il modo in cui si sono formate le liste è un’ulteriore dimostrazione del carattere oligarchico del nostro sistema politico. Scarsa democraticità, debolissimo radicamento sociale, verticalizzazione del potere, concentrato nelle mani dei segretari, imposizione ai votanti non solo di liste nelle quali non si può scegliere, ma anche di candidati con deboli relazioni con i collegi, possibilità di presentare la propria candidatura in più collegi, dando così la possibilità di scelte individuali dei vincitori, perché la sorte dei numeri due dipenderà dalle scelte fatte dai numeri uno”. Cosi Sabino Cassese in una intervista a questo giornale. Lei come la vede?
Sicuramente è così. Concordo con Sabino Cassese: i partiti sono una oligarchia autoreferenziale. Dato che tutti sembrano essere consapevoli di questa degenerazione del sistema partitico italiano, c’è da chiedersi perché non si riesce a cambiare innanzitutto il sistema elettorale e, assieme ad esso, il sistema istituzionale. La domanda cruciale a questo punto è perché i partiti sono abbarbicati a delle regole elettorali ed istituzionali che porteranno alla loro ulteriore degenerazione. > (…) per proseguire aprire l’allegato
Giuseppe De Rita, il più anziano dei sociologhi, nell’intervista rilasciata a Stafano Capellini, La Repubblica 28 Agosto, sostiene che i “Politici sono prigionieri dei social e non mobilitano più”. (…) Queste alcune delle domande.
< Altra questione irrisolta: è il discredito della politica a creare l’antipolitica o è l’antipolitica che corrode la democrazia? «Io sono abbastanza vecchio per ricordarmi quando nella Prima Repubblica c’è chi diceva basta con le ideologie, basta con i grandi partiti, servono i partiti d’opinione. La Malfa fu il primo. Era una proposta intrisa di cultura azionista, che puntava alla gestione dell’opinione pubblica. Purtroppo ci siamo arrivati eccome, alla cultura d’opinione, in una forma degradata. Guardi i social, i politici sono prigionieri dell’opinione, non la gestiscono. L’opinione infiamma, crea grandi scontri, pensi solo alla diatriba sui vaccini o sulla guerra, ma alla fine non mobilita. Perchél’opinione basta a sé stessa: mi leggo il giornale, mi guardo il talk, litigo su Twitter, e mi fermo là».
L’Italia è anche l’unico Paese dove il sistema dei partiti è stato picconato dall’alto, anche da un pezzo di establishment: i politici come “casta”. «Sì, è vero, c’è stata anche una campagna dall’alto. Ma anche in questo caso ha pesato la dittatura del pari merito nella quale diventa più facile attribuire la definizione di casta in pari misura al presidente del Consiglio, a quello della Camera come al consigliere comunale del paesello. Poi, quando nella politica arriva un uomo di casta, casta vera, come Mario Draghi, viene rifiutato. Perché è troppo fuori pari merito».
Quanto pesano le nostre sciagurate leggi elettorali sul non voto? «Tantissimo. Hanno fatto leggi che espropriano l’elettore della possibilità di scegliere i parlamentari. Qui c’è di mezzo un imbroglio, quello della governabilità. Quante volte ci siamo sentiti dire che serviva una legge elettorale che stabilisse la sera stessa delle elezioni chi doveva governare? La governabilità è stata una parola d’ordine generale e non mi stupisce perché è una tematica tipicamente d’opinione». (…) > In allegato il testo completo.
In alllegato due altri articoli correlati: della filosofa Giorgia Serughetti “Le ragioni del non voto” su Domani del 28 Agosto, di Enzo Risso, ricercatore “Il governo avrà la fiducia del parlamento ma non quella degli italiani” su Domani 28 Agosto
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