E’ stato un protagonista e testimone dell’unità sindacale. Nei suoi "settant’anni di lotta", Alberto Tridente ha fatto molte cose. Partendo dal suo impegno sindacale in fabbrica, è arrivato via via ad occuparsi di questioni internazionali, nel sindacato e non solo. Ma, per chi ha vissuto a Torino gli anni entusiasmanti dell’unità sindacale – non solo quelli dell’unità sindacale, ma il decennio in cui questa è stata preparata e costruita in mezzo a mille difficoltà – Alberto Tridente è anzitutto uno degli artefici di quel processo; insieme a tanti altri, naturalmente.
Ricordo ancora i nomi di alcuni militanti e quadri che consentirono alla “nuova Fim” di vincere il Congresso Torinese del 1961 (tra essi con Alberto, i fratelli Gheddo, Braghini, Davico, Geromin, Romagnolli, Spiccia, Chiriotti), dopo quella svolta la Fim si organizzò in Leghe territoriali con giovani operatori sindacali che provenivano, in prevalenza, dall’area cattolica più vicina alle spinte del Concilio Vaticano II e dal dissenso cattolico di quel tempo, tra questi Aloia e Serafino. Dopo poco tempo Cesare Delpiano e Giovanni Avonto portarono quel “vento innovativo” nell’Unione Cisl Torinese. E’ grazie a compagni come questi che la Fim-Cisl è stata un elemento propulsivo dell’unità sindacale, all’interno della Cisl, e nei metalmeccanici dando un apporto decisivo per la creazione della FLM
E allora uno va a cercare, nella sua autobiografia, quegli anni – e, soprattutto, come ci è arrivato: perché di come Alberto ha agito in quegli anni ho ancor vivo il ricordo diretto, ma come ci sia arrivato non lo sapevo. Le pagine che Alberto dedica alla sua infanzia e adolescenza, e alle sue prime esperienze di lavoro, sindacali e politiche, sono di straordinario interesse.
Non solo come "storia in sé", piena di imprevisti, contraddizioni, vicende di tutti i tipi. Ma perché mostrano come l’unità sindacale fosse un punto di arrivo dei percorsi più diversi. Non era, certo, la "costruzione di vertice" di pochi dirigenti sindacali (come sappiamo, molti, al "top", la temevano); ma non era neanche l’effetto diretto di una spinta spontanea dei lavoratori che travolgeva le strutture sindacali.
Era il frutto di una costruzione paziente e testarda di centinaia di quadri sindacali. Ma questi quadri erano tra loro diversissimi: tra il quadro comunista, altrettanto tenace nel perseguire l’unità, e un quadro come Alberto Tridente c’erano differenze profonde di percorso, di esperienza, di cultura, di riferimenti politici. E così vale per quei delegati, arrivati direttamente dalla lotta, che facevano magari riferimento alla sinistra extra-parlamentare.
Di queste diversità che portavano all’unità, l’autobiografia di Tridente offre una testimonianza vivissima e concreta. Che potrebbe essere utile ancora adesso: per insegnare che l’unità sindacale non può nascere da un accordo di vertice, e neanche direttamente dalla "spinta delle masse", ma è un processo consapevolmente costruito da chi è impegnato giorno per giorno nella difesa sindacale dei diritti dei lavoratori.
L’unità, poi, può avere contenuti politico-sindacali diversi, più radicali o più moderati, a seconda delle fasi storiche e delle esperienze di lotta: ma resta condizione indispensabile per un sindacato che abbia la forza necessaria per difendere i lavoratori (e di questo i lavoratori, che da soli non hanno la forza per costruire l’unità, sono ben coscienti!).
Chissà che il libro di Tridente non aiuti qualcuno a riflettere su queste cose. Per cui, anche se sono tanti i motivi di interesse del libro, che speriamo spingano numerosi compagni a venire alla sua presentazione (e a leggere il libro!), vorrei rivolgere un invito particolare a quelli che pensano che l’unità sindacale non sia un orpello ideologico del passato ma che, forse, non sarebbe male provare a ricostruirla: venite il 19 gennaio a discuterne con Alberto!
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