ROSA BIANCA E ANTIFASCISMO TRICOLORE – M.Dellacqua – storia 8/01/012
La rosa bianca e l’antifascismo tricolore. Verso il giorno della memoria. Nel film “La Rosa bianca” la scena più appassionante riprende l’aula del processo stipata di ufficiali con il braccio teso nel saluto al Fuhrer, mentre i tre imputati con ostentata indifferenza sfidano la corte tenendo basse le loro mani in atteggiamento di studiata passività. La vicenda del gruppo di studenti che nella Monaco del 1943 diffondeva clandestinamente all’università volantini antinazisti, mi ha impressionato per tante ragioni.
Se si esclude la sequenza finale dell’esecuzione, il film del 2005 non cede alla rappresentazione monumentale della violenza, anche se la verità storica consentirebbe di registrare le torture subite da Sophie Scholl durante la sua breve detenzione. Piuttosto, la riprovazione del nazismo è suggerita grazie all’accento posto sulla pervasiva violenza morale che abbrutisce gli uomini e rende la codardia degli umili ancora più odiosa dell’aggressività degli aguzzini e dei gerarchi. Inoltre, la fierezza morale a cui pervengono i tre giovani condannati alla pena capitale, passa attraverso il riconoscimento della loro fragilità. Senza quei sacrifici, nella seconda metà del Novecento la dignità umana e la civiltà europea sarebbero state meno libere e ancora più ingiuste.
Devo poi avere qualche rotella che non funziona, visto che sono attratto quasi morbosamente da queste storie di eroismo che ammiro con devozione religiosa. Dopo tutto, qualche milione di italiani come me ha respirato fin da bambino l’odio per la guerra. Non solo a me è capitato di avere un padre che è tornato silenzioso e squinternato dalla prigionia in America. Non solo a me è capitato di avere una madre che non ha mai saputo perdonare ai nazifascisti la morte in guerra di due suoi fratelli, uno in Germania e l’altro in Russia (21 e 22 anni). E li ha pianti fino all’ultimo.
Mi chiedo perchè l’antifascismo italiano, nella sua veste ufficiale e nelle sue mille forme di coltivazione popolare della memoria, abbia sempre lasciato in ombra questi fulgidi esempi tedeschi di martirio consapevole per la libertà. Mi chiedo perchè, per salvaguardare l’efficacia persuasiva della sua propaganda tricolore, il nostro antifascismo abbia accettato di veicolare un’ingiusta e semplificata identificazione del popolo tedesco con il nazismo. Mi chiedo se sia un caso che il regista (Marc Rothemund) sia tedesco. Mi chiedo se sia questa la ragione per cui la nostra copiosa toponomastica risorgimentale, prima guerra mondiale e resistenziale abbia ignorato Sophie Scholl e la sua Rosa bianca, come se l’antifascismo fosse un fenomeno patriottico gloriosamente italiano e non europeo. E quando apprendo che si chiede al Comune di None di dedicare una via al motociclista scomparso in un incidente di gara, so di non dover condannare, ma il raffronto mi fa ugualmente correre lungo la schiena un brivido di umiliazione.
Resta poi la domanda cruciale puntualmente rivoltami da un amico: ma chi glielo ha fatto fare, di rischiare la vita e di perderla così? Gli studenti della Rosa Bianca potevano continuare a studiare a spese del Reich. E i giovani italiani, dopo l’otto settembre, potevano aspettare. Dopo tutto, gli americani erano in arrivo. Il generale Alexander aveva suggerito di sospendere i combattimenti. Si sarebbero evitate molte rappresaglie con troppi morti innocenti sulla coscienza. A intestardirsi nella lotta ci avrebbe rimesso solo la popolazione civile.
Infatti, ancora oggi, ad ogni Giorgio Bocca che ci lascia, i detrattori della Resistenza salgono in cattedra per dire che essa fu non il riscatto dalle vergogne di un ventennio, ma il sostanziale tradimento di un popolo di voltagabbana. Ed esibiscono come un trofeo le mille certificazioni della festosa appartenenza giovanile dei futuri capi dell’Italia repubblicana ai gruppi sportivi, letterari, cinematografici, studenteschi, giornalistici della galassia fascista. Dunque, coerenza imponeva ai giovani di continuare a “fare il proprio dovere”, cioè ad obbedire combattendo alle dipendenze dei nazisti. In subordine, erano caldamente consigliati di stare a casa e la guerra sarebbe finita da sola. Sarebbero stati gli alleati a liberarci, non una minoranza di duecentomila sbandati e inaffidabili oppositori dell’ultima ora.
Oggi i nemici giurati della Resistenza non si accontentano di chiacchiere. Non vogliono una società di cittadini liberi perchè consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri. Vogliono una caserma di sergenti ringhiosi, di caporali entusiasti per il diritto di prendersela con reclute servili e di boriosi culi di pietra, pronti a consegnare ai famigliari delle vittime una medaglia al valor militare.
“La Rosa Bianca”, un film di Marc Rothemund con Julia Jents, Gerald Alexander Eld, Johanna Gastdorf, Fabian Hinrchs, André Hennicke. Titolo originale “Sophie Scholl” (2005).
Nota – Il Giorno della Memoria – Istituito dieci anni fa, si celebra il 27 gennaio a ricordo della data della liberazione di Auschwitz da parte delle Forze Alleate (russe). Al di là di quel cancello, oltre la scritta «Arbeit macht frei» (Il lavoro rende liberi), apparve l’infernale scenario dello sterminio. Il Giorno della Memoria è un atto di riconoscimento di quella storia: per affacciarsi ai cancelli di Auschwitz riconoscendo il germe del male che è stato, che ancora vaga nel mondo.
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