ORARIO, ATTREZZO VECCHIO O NUOVO? – N.Cacace – Osce 2015 –
Orario, attrezzo vecchio o nuovo? considerazioni di Nicola Cacace sulla tabella Ocse (2015), annual hours worked per worker , employment rates (Orari annuali di lavoro per lavoratore, Tassi di occupazione, cioè quota % di occupati sulla popolazione in età da lavoro)
Orari annuali di lavoro per lavoratore
2000 2014 tassi di occupazione %, 2014
Germania 1452 1371 74
Francia 1535 1473 65
Olanda 1462 1425 73
Austria 1807 1629 71
Svezia 1642 1609 76
Norvegia 1455 1427 75
OCSE,media 1843 1770 65
Italia 1851 1734 56
Spagna 1753 1689 65
Turkia 1937 1832 49
Grecia 2108 2042 49
OCSE. Average annual hours worked per worker. Employment rates, (Nov.2015)
Secondo il Ministro del Lavoro Poletti l’orario è un “vecchio attrezzo- superato”, secondo I paesi scandinavi e del Nord Europa, l’orario è un “attrezzo nuovo” per difendere la piena occupazione. Come si vede, i paesi con orari annui di lavoro (dei lavoratori a pieno tempo) del 20%-30% più corti dei paesi del Sud Europa, hanno tassi di occupazione di 10-20 punti più alti. Per avere un’idea, all’Italia mancano 4 milioni di occupati per essere come la Francia (10 punti di differenza nel tasso di occupazione su una popolazione in età da lavoro) e addirittura 8milioni di occupati per essere come Germania e paesi scandinavi (20 punti di differenza su una popolazione in età da lavoro di 40 milioni). Sic rebus stantibus.
Non c’è che da ringraziare Nicola Cacace per i dati che ha riportato e che, a parte rilevare il primato della Germania anche in questa classifica, rende evidente un tema che da noi non solo la politica e le istituzioni, in primis il Governo, ma anche CGIL, CISL e UIL volutamente ignorano preferendo rivolgere le loro attenzioni a coloro che hanno un lavoro. Mi riferisco all’orario di lavoro settimanale definito negli anni ’70 del secolo scorso in 40 ore settimanali e che non ha subito nei 45 anni che sono passati sostanziali modifiche. Eppure nel frattempo non solo è cambiato il mondo ma l’evoluzione tecnologica ha radicalmente cambiato prodotti e modo di produrre, con il risultato che in Italia la disoccupazione generale si attesta oggi attorno al 11,8% mentre quella dei giovani dai 15 ai 24 anni sta oltre il 44%. Indubbiamente la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008 e non ancora finita ha contribuito a determinare questa, per molti drammatica, situazione che ben quattro governi non sono riusciti a modificare. Anzi, mentre per il Fondo Monetario Internazionale all’Italia occorreranno ben 20 anni di sviluppo per ritornare ai livelli occupazionali precedenti alla crisi, nessuno dice cosa accadrà, nel frattempo, ai milioni di disoccupati che cercano un lavoro e non lo trovano.
Si discute di misure di aiuto per i disoccupati, ad esempio della introduzione del salario minimo, che pur se richiede la revisione di tutto quanto è già in essere per queste finalità, indennità di disoccupazione, cassaintegrazione, ecc., comporterà costi maggiori di quelli oggi sostenuti dal bilancio pubblico. Sia chiaro, non sto affermando che per ragioni di costo non si debbano introdurre misure universali di tutela sociale, ma solo che sarebbe opportuno che queste risorse, puramente ed esclusivamente assistenziali, fossero destinate al finanziamento di misure che consentano la ripartizione del lavoro che c’è tra quanti un lavoro lo chiedono e lo cercano. Non c’è nessuno in grado di evidenziare l’entità delle risorse già oggi destinate al sostegno economico dei lavoratori disoccupati, di stimare quelle necessarie per garantire il salario sociale e comparare questi costi con quelli conseguenti alla riduzione dell’orario di lavoro per stabilire a quale entità di riduzione dell’orario di lavoro si trova il punto di equilibrio? Secondo il mio modesto parere ben al di sotto delle 35 ore settimanali.
Che politica occupazionale è mai quella, praticata anche da CGIL, CISL e UIL, che si limita, nella migliore delle ipotesi, a proporre e praticare i contratti di solidarietà? E’ una politica miope perché riguarda solo lavoratori occupati e, al di là delle parole e delle rivendicazioni verso altri perché facciano (Governo, Istituzioni, imprenditori, ecc.), non si produce alcuna prospettiva concreta e praticabile per chi non ha un lavoro.
Mi auguro che il tema della riduzione dell’orario di lavoro diventi, assieme all’obiettivo del sindacato unitario, la principale priorità dell’iniziativa sindacale altrimenti troverebbe ulteriore conferma la preoccupante affermazione di Romano Prodi sulla impressionante debolezza del sindacato oggi.
Rodolfo Vialba