NOI VOGLIAMO UGUAGLIANZA – M.Dellacqua – dibattito e sinistra –

Noi vogliamo l'uguaglianza, ci han chiamato malfattori. Sabato 11 marzo, alla sala didattica del Polo del Novecento, ho partecipato al seminario torinese organizzato dall'Associazione per il rinnovamento della sinistra (Ars) e dal Centro per la Riforma dello Stato alla sala didattica del Polo del Novecento. Tema: la lotta contro le disuguaglianze. Tra i relatori Mario Dogliani, Chiara Acciarini, Andrea Giorgis, Maurizio Acerbo, Vincenzo Vita, Giorgio Airaudo, Eleonora Artesio. Una bella rappresentativa delle sinistre piemontesi e non solo, collocate dentro e fuori il Pd.

La sinistra ha sempre cercato di combattere le disuguaglianze senza mai riuscirci. Ora la necessità di un progetto economico e sociale per ridurle diventa vitale perchè non c'è altra radice che spieghi la crisi e altra strada per uscirne. Lo ha ricordato Aldo Tortorella, nel suo appassionato messaggio di 93enne, evocando la “passione intelligente e il rigore morale” che la migliore tradizione del pensiero socialista e comunista ha espresso nella storia dell'Italia repubblicana.

Ad essa può ancora attingere con profitto chi non accetta una modernizzazione neutra dell'economia segnata da una “socializzazione delle perdite che lascia i soldi in mano a chi queste perdite ha provocato”. L'economista Alfonso Gianni non è tra quanti hanno archiviato gli insegnamenti di Norberto Bobbio che faceva risalire il persistente antagonismo fra destra e sinistra alla coppia oppositiva eguaglianza-diseguaglianza.

Ma,“dopo la procurata serenità” al suo predecessore a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha “rottamato” quel contrasto e quel conflitto sociale come un residuato bellico del Novecento. Lo ha sostituito con il duello tra innovazione e conservazione. Archiviata anche la deprimente “uguaglianza degli esiti” a favore di una meno impegnativa e più competitiva “uguaglianza delle opportunità”. Peccato, però. Essa non tiene conto della brutta fine di quell'ascensore sociale che negli anni settanta consentiva all'operaio di poter puntare alla casa in proprietà, all'automobile, alle vacanze, ai figli all'Università.

 Lo ha osservato Enrica Valfrè (segretaria della Cgil torinese). Quell'ascensore non si muove più e non promuove più nessuno verso una condizione sociale progredita. Non permette più all'operaio di avere il figlio dottore, ma funziona un appiattimento verso il basso che coincide con il ripristino di una trasmissione ereditaria del privilegio e ognuno torna al suo posto. Operaio o lavoratore precario il figlio dell'operaio o dell'artigiano. Avvocato, medico o commercialista il figlio del professionista.

Verticale, poi, la svalorizzazione del lavoro che, anche con l'esplosione del lavoro volontario, veicola sempre più l'idea che il lavoro può essere gratuito o vicino alla gratuità quando lo chiamano stage o con il voucher. Se lo trovi pagato, devi ringraziare. La cultura della gratitudine per un lavoro pagato diventa così l'altra faccia di un lavoro sottoposto a ricatti quotidiani sempre più incisivi.

Già, ma la sinistra? “Muta e introversa a causa delle sue divisioni cristallizzate”, ha detto Mario Dogliani (professore di Diritto costituzionale all'Università di Torino), la sinistra è stretta nella tenaglia di un debito enorme che impedisce di finanziare gli auspicati interventi per la piena occupazione. A meno che non si imbocchi decisamente la via di una forzosa redistribuzione del reddito. Qui sono riaffiorate le tematiche della patrimoniale, della successione, dell'aggressione alla giungla retributiva, fiscale e pensionistica. Aggressione difficile perchè ci troviamo imprigionati in questa giungla anche a causa di responsabilità della sinistra e dei sindacati.

E quali sono le responsabilità della sinistra? A mio avviso, una parte ha creduto di poter guidare la modernizzazione democratica dell'economia e dello Stato puntando sulle energie innovatrici della competizione, del mercato e della globalizzazione dal volto umano. Molti sommersi e alcuni finiti a fiancheggiare l'avversario. Altri hanno sempre rivendicato l'intervento dello Stato nell'economia e facevano (fanno) bene. Purtroppo, esaurita alla fine degli anni settanta la spinta propulsiva del cooperativismo (rosso e bianco) e del buon governo nelle amministrazioni locali del Centro Nord, la sinistra arrivata a dirigere gli apparati pubblici non si è rivelata immune da fenomeni di corruzione e ha dato pessima prova di sè. Nella vita democratica delle sue formazioni politiche e persino nel sindacato, chi denuncia i privilegi e i superstipendi viene espulso. Molti sommersi e pochi salvati. Vedasi il libro "Alla mia sinistra" di Federico Rampini del 2011, dove la motosega affondava nella ferita.

La discontinuità che si chiede ai governi si avvicina se cominciamo a praticare altrettanto coraggiose discontinuità anche dalle nostre parti.  “Nulla al ver detraendo” direbbe il recanatese. Non credo sia tempo di vagare soli e pensosi fra i più deserti campi.

Mario Dellacqua

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