La politica senza visione
Il potere, i valori, la politica senza visione. Non aver paura del futuro, la politica abbia coraggio. Walter Veltroni nell’editoriale del 23 Agosto, su Il Corriere della Sera, vola alto – come spesso sa fare con le parole e l’immaginario – pone precise domande che riguardano l’alternativa, tra le quali “Può vivere un Paese, in tempi così carichi di minacce, senza i grandi progetti, senza una visione che accenda i cuori e la mente delle persone, che restituisca fiducia nel futuro individuale e collettivo? Prosegue. Non sono tempi per furbi, questi. Alla fine toma impietoso un interrogativo, un interrogativo fondamentale: cosa è il potere? È un fine o un mezzo? Si governa solamente per continuare a farlo o per prendere quelle decisioni, popolari o no, che corrispondono all’interesse della nazione?
Savino Pezzotta, dal suo blog, replica e per un verso alza la posta, in particolare per chi si richiama al messaggio cristiano, con una prima premessa “ La domanda è chiara, ma mi chiedo come si declina nel contesto sociale del nostro tempo. E come può rispondere un cristiano che registra il formarsi negli ordinamenti politici esistenti profonde contraddizioni con il messaggio cristiano e di come sia possibile sviscerare con la ragione critica come si deve declinare o formulare il messaggio escatologico del cristianesimo nei termini della società attuale, in una situazione e in una condizione che fede la sfera pubblica mutarsi radicalmente: diventa ogni giorno più evidente che i paradigmi che abbiamo utilizzato nel corso del nostro impegno sociale e politico sono diventati obsoleti e non ci aiutano a decifrare e interpretare i cambiamenti in corso (…)
Nella replica agli interrogativi posti da Veltroni, più volte Pezzotta ritorna partendo sul tema cruciale del lavoro, citiamo queste. (…) Il lavoro è certo oggi più che un problema un insieme di interrogazioni, sicuramente è un diritto fondamentale della persona, ma ora, anche innanzi all’avanzata e alla pervasività del digitale, ha bisogno di un approccio critico che destrutturi l’ideologia lavorista nella quale l’abbiamo vissuto e che ci ha spiegato che il lavoro nobilitava e rendeva autonomi. (…)
- L’emergere tra noi di lavoratori poveri (persone che lavorano ma che non hanno un reddito sufficiente per far fronte ai bisogni) non può essere considerato solo un dato sociologico, ma come la messa in discussione di tanti principi su cui avevamo fondato il nostro impegno. (…)
- E’ chiaro che a questo punto dovremmo la capacità di riproporre la questione generale del lavoro superando le visioni classiste, corporative, elitarie, all’interno del rapporto dialettico tra necessità e libertà. La sfida sta creare le condizioni del vivere nella libertà in un contesto storico , sociale ed economico nel quale tutto appare determinato, privo di alternative, in un “destino” fatto di tecnica e di automatismi. (…)
Savino Pezzotta
Savino Pezzotta, in “La carità è una conquista” – intervista su L’Eco di Bergamo, 30 agosto, affronta temi decisivi per un cambiamento radicale della società, esprime le convinzioni di un credente che certamente interessano o sono condivise anche da chi non è credente ma opera e lotta per cambiamenti radicali nella società e tra le persone. Parla della carità come metà da raggiungere, della sua diversità profonda dalla solidarietà come è praticata dal sindacato, che spesso ricade nel corporativismo, la sua malattia più insidiosa. (v.allegato)
Per saperne di più sulle riflessioni e sulle domande poste da Veltroni e sulle risposte date da Pezzotta, per sollecitarvi a esprimere le vostre valutazioni, aprite i testi allegati. Per chi ama i concetti e le tante belle frasi di Valter Veltroni, che hanno avuto purtroppo scarso seguito o successo quando è stato leader politico, alleghiamo 59 frasi tratte dal web. Segnaliamo infine, e alleghiamo, l’articolo “La politica al tempo del coronavirus. Ipotesi per un’uscita diversa dalla crisi” di Guido Caldiron, su Il Manifesto” che recensisce l’ultimo numero di “Alternative per il socialismo” con saggi e interventi che indagano su come la pandemia stia ponendo il mondo di fronte a un bivio.
non mi convince l’introduzione di una distinzione terminologica fra carità e solldarietà, la prima universale e l’altra malata di potenziale corporativismo. pezzotta inoltre non prende in considerazione l’idea che la carità verso il prossimo è nella tradizione cristiana una risorsa per la salvezza dell’anima, mentre il movimento operaio ha elaborato nella solidarietà una forma di egoismo maturo e più vantaggioso per il futuro dell’umanità. lasciamo perdere poi il cristianesimo di cui sarebbe imbevuto il bergamasco: come sappiamo in quel cristianesimo c’è di tutto e il rosario convive con la richiesta del blocco navale e clandestini alla casa di boldrini. ciao mario dellacqua
Adriano Serafino – Ho letto e riletto con attenzione le risposte date da Savino Pezzotta nell’intervista pubblicata sull’Eco di Bergamo. In particolare quelle riguardanti la carità e la solidarietà. Quando ero un giovanissimo praticante cattolico la parola “carità” mi dava un certo fastidio perché la riconducevo a quanto sentivo al catechismo, dalle prediche dal pulpito. Il significato ondeggiava sempre su quanto ricorda Savino “…appare espulsa o evulsa dal dibattito pubblico perché limitata alla sola elemosina, al gesto benevolo, alla filantropia….”. Questa pratica, largamente diffusa in chi andava in chiesa, mi appariva molto lontana dal messaggio di quei cattolici che richiamandosi alla solidarietà animavano le lotte della classe lavoratrice. Allora mi era ben chiaro che la solidarietà che sollecitava un nuovo sindacato, nel caso la Fim-Cisl Torinese degli anni ’60, avesse una caratura ben superiore alla carità ben organizzata della stessaSan Vincenzo, o quella delle “damine” della parrocchia.
Le chiare risposte di Savino connotano ben diversamente la carità, facendone una sorta di molla per orientare l’agire volontario, per migliorare sé stessi e il mondo che ci circonda. Come dire che cambiare il mondo bisogna e cambiare se stessi fa parte dello stesso orizzonte, con un percorso contrassegnato dalla spontaneità, e quindi della libertà. Un percorso opposto, quindi, a quanto è stato sperimentato nella storia da regimi totalitari, sia di sinistra con vocazione universalista sia di destra nazionalista, per costruire l’uomo nuovo per decreto e con sottrazione delle libertà fondamentali.
Per questa ragione quanto esprime il credente cristiano Savino, per un uomo nuovo, interroga e interessa nel profondo anche chi, come me, non si considera più un credente cristiano avendo abbandonato, dopo i vent’anni i dogmi che tengono unita la Chiesa. Anche perché il messaggio di quel Cristo, realmente vissuto ancorché inviato da un Dio, illumina il pensiero di miliardi di persone nel mondo, da duemila anni, credenti e non.
Mi convince anche la riflessione sulla solidarietà, in particolare come è stata interpretata nel sociale sindacale, che spesso è finita come una bandiera per coprire logiche corporative che non hanno incluso chi non era un proletario ( nel secolo scorso) e non includono oggi chi è “invisibile” pur lavorando con contratti evanescenti e precari o privi di permesso di soggiorno.
Sulla cultura bergamasca, sulla quale poco conosco, ho letto con attenzione e avendo fiducia in Savino colgo come novità, per me, le sue parole ben diverse da altri stereotipi diffusi, in particolare negli ultimi tempi.
Armando Pomatto – Credo che Carità e Solidarietà non siano sinonimi ,abbiano due storie diverse ma camminino sulla stessa strada: la prima è attenzione all’uomo e alla sua fragilità, preoccupazione questa propria delle culture e delle religioni che noi conosciamo; assunta dal cristianesimo come forma esemplare dell’impegno del discepolo a imitazione del Maestro ; la seconda è frutto della necessità di organizzare e dare stabilità a questo imperativo “umano”. Il Cristianesimo ha fatto della prima la testimonianza di un amore gratuito che per il battezzato assume significato e senso, nonostante gli sbandamenti della storia di chi ha voluto gestire il “marchio”. La Chiesa ha imparato faticosamente ( soprattutto in questo ultimo secolo) che era lo stesso Vangelo a far uscire dall’intimità e dall’esperienza personale la spinta “caritatevole” per farne impegno solidale verso il prossimo. Bonhoeffer significativa testimonianza di un cristianesimo “ non bigotto” , ha maturato prima nelle chiese dei neri degli Stati Uniti negli anni ’30, poi tra i disoccupati di Berlino, infine nel carcere di Tegel : “Un’attesa inerte e un ottuso stare a guardare non sono comportamenti cristiani. I cristiani non vengono mossi ad agire e a compatire dalle esperienze fatte sulla propria pelle, ma da quelle sul corpo dei fratelli, per amore dei quali Cristo ha sofferto” ( in Resistenza e resa, cit., p. 71). Papa Francesco con le Chiese dell’America Latina continua a ricordarne le urgenze sia nella gestione dell’economia globale, sia per l’assunzione di una “ecologia integrale” da parte di tutti i governi.
Bergamo, la Torino di Padre Pellegrino, l’Amazzonia, la saggezza orientale fanno memoria e invitano a tenere unite le due prospettive.
Non sostituirti a nessuno. Esigi che ciascuno assuma le proprie responsabilità nella comunità. Non mettere nessuno in attesa dei doni della tua generosità o della tua compassione privandolo di una decisione autonoma. Questa è la mia solidarietà.
La seconda consiste nel farti bastone di chi ha le gambe rotte e ancora tanta strada da percorrere. Però è meglio rimuovere le cause che spezzano le gambe. ( Lokwainkwai, saggio buddista )
Dora Marucco – La staffilata di Mario è stimolante, come dimostra la riflessione di Armando che mi pare assai ben impostata. Non andrei oltre per quanto riguarda le radici e i frutti dell’esperienza religiosa nel Bergamasco. Doretta