La politica internazione registra rilevanti novità, si delineano nuovi fatti e nuovi assetti nella geopolitica. Anche l’irruzione a “Cannes 2010” della valente e simpatica Juliette Binoche, che ha pianto per il regista iraniano Panahi in carcere, ha suscitato viva emozione e poi gesti politici. Ora è giunta la notizia che non solo il regista è stato liberato, ma che ben altro si muove nell’area Medio orientale, dopo l’accordo sul nucleare tra Lula, Erdogan e Ahmanadijad, ed è la lunga e importante intervista del presidente siriano Assad a “Repubblica” di lunedì 24 maggio, che ci dice del nuovo Medio Oriente che sta nascendo in quell’area.
Assad pone naturalmente l’accetto su ciò che sta più a cuore il suo paese, ancora mutilato per la perdita di territorio nella guerra del 1967, la “guerra dei Sei Giorni”: le alture del Golan, che sovrastano il Lago di Tiberiade e l’Alta Galilea israeliane, la cui restituzione da parte di Israele che le occupa, potrebbero avviare il definitivo processo di pace fra i due paesi, non tralasciando però di includere nell’accordo globale anche il problema palestinese.
Va ricordato, per verità, che da quelle alture si sparavano cannonate sui coloni della pianura dell’alta Galilea, e che ciò ha sempre favorito, giustificandole, gli eccessi di reazione delle forze militari di Israele, spingendo sempre più a destra i governi di quel paese. Infatti, dopo lo sgombero da Gaza sono immediatamente incominciati a cadere sugli insediamenti dei coloni colpi di mortaio, con vittime civili, ma provocando violente e indiscriminate reazioni e grande numero di vittime fra la popolazione civile palestinese. Per chi ha visitato quei luoghi non può che essere d’accordo che la smilitarizzazione della zona è la pre condizione per ogni credibile e possibile accordo di restituzione.
Dura, ma equilibrata la osservazione di Assad sull’impotenza americana ed europea. L’incapacità degli europei e degli americani(dopo tante promesse) per la soluzione dei problemi e garantire una pace duratura, hanno obbligano i paesi emergenti a non più attendere nulla da costoro. I recenti tentativi di Obama per la riapertura del un negoziato che bloccasse nel contempo gli insediamenti in Cisgiordania, si è subito scontrato con l’intransigenza del governo israeliano, sordo ad ogni apertura e a interrompere la costruzione di nuovi insediamenti.
Le dichiarazioni di Assad avranno forse smosso le acque stagnanti delle cancellerie occidentali spingendole a vedere che nel Medio Oriente si stanno muovendo primi passi di affrancamento al dominio delle grandi potenze. Anche il ritorno della Russia, pur d’accordo con la Clinton su progetti sanzionatori nei confronti dell’Iran, sembra muoversi in autonomia, favorendo ipotesi di cooperazione politica più stretta anche con avversari storici come la Turchia. La Turchia, tutt’ora membro della Nato, e forse definitivamente esclusa quale membro a pieno titolo dall’Unione Europea.
L’impotenza del nanismo europeo, e i molti fronti aperti da Obama, interni ed esterni al paese, primo fra tutti le difficoltà a far ragionare Israele nei progetti di pace, in quell’area vitale per gli interessi economici e strategici, hanno spinto i paesi emergenti all’iniziativa di ci ricorda il presidente siriano, da cui emerge il ritorno della Russia nell’area. Indicano inoltre altri ambiziosi obiettivi di cooperazione politica ed economica, e sinergie favorevoli allo sviluppo dell’insieme dei paesi dei cinque mari, dal Mediterraneo al Mar Caspio, dal Mar Nero al Golfo Arabo e Mar Rosso, che potrebbero rappresentare le novità più rilevanti in quell’area nel prossimo decennio.
Non è un mistero e ormai, e quasi tutti i commentatori internazionali lo sottolineano che l’attivismo guarda al Medio Oriente, come pure ai paesi vicini. Il presidente russo Medvedev è stato in visita a Kiev, ha ricevuto Lula, è stato nella Siria di Assad, con Erdogan ha stabilito rapporti di collaborazione e a posto sotto controllo la situazione kirkisa, oltre a migliorare la situazione con la Polonia, in un misto di diplomazia a interessi energetici anche con l’Ucraina.
Pace a Cuba con la Chiesa cattolica. Buona notizia l’accordo tra governo e la chiesa che pone fine a burrascosi trascorsi e avvia una fase densa di prospettive di collaborazione, che non mancherà di avere positivi riflessi politici, premessa per altre aperture democratiche. Profondi cambiamenti si prevedono in futuro, anche perché, dopo Raul Castro non vi sono altri famigliari a poterne ereditare il potere.
E Cuba non è infatti la Corea del Nord, tornata alle cronache per le minacce di guerra a quella del Sud, che ha già subito l’affondamento di una propria nave da parte della marina di Pyongyang. La Clinton, in recenti dichiarazioni non sembra voler drammatizzare la situazione, ma è certo che la crisi economica e la carestia possono sempre spingere ad esasperare le situazioni per distogliere l’attenzione dalle gravi situazioni interne – carestia e disastro economico – che affliggono la Corea del Nord. La Cina, da sempre suo protettore, potrebbe non essere disposta ad appoggiare questa politica aggressiva, mantenendo una prudente distanza.
Non è facile del resto gestire un buon vicinato con un dittatore, il monarca comunista Kim Jong, al potere dal 1994, che aveva ricevuto in eredità dal padre Kim il Sung, la carica presidenziale. Secondo recenti dichiarazioni di Kim Jong, la carica presidenziale dovrebbe ora passare al figlio. Forse è troppo per i cinesi e decisamente anche per i cubani, e in parte per quanti come Bush, Fernandez in Argentina e la stessa Clinton, hanno esperimentano discutibili continuità di governo famigliari nei propri paesi.
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