IL DISCRIME TRA TESTIMONIANZA E AZIONE POLITICA – A.Pomatto – politiche & democrazia – 5/2/10

Pensando alle elezioni regionali, a quale sia il discrimine tra la testimonianza e l’azione politica, rifletto sull’articolo di Mario Dell’acqua che a conclusione del suo scritto afferma: “Non pretenderei di cambiare il mondo, ma vorrei poter collaborare a qualcosa di concreto: istruzione, cooperazione internazionale, stranieri, salute, disabili, rifiuti, mutuo soccorso. Non tutto e subito, ma qualcosa nella direzione giusta. E’ questo e non altro a sostenermi nel pensiero e nell’azione. E tutte le volte un’emergenza ci impedisce di discuterne.”

1. Sono quasi quaranta anni che voto a sinistra: avevo cominciato con il Movimento Politico dei Lavoratori di Livio Labor.

2. La penosa conclusione del secondo governo Prodi mi ha confermato nell’idea che la politica significa “gestione del potere” in base a programmi, progetti ed ideali che sostengono l’azione e l’amministrazione della cosa pubblica. Molti rappresentanti della sinistra nel suo governo avevano scarsa chiarezza su questa finalità della politica (es.Turigliatto e Ferrero che votano e marciano contro il governo…! ).

3. Altra cosa è la testimonianza: su progetti ed ideali ( “ideologie” se più piace) ci si può dividere, distinguere, confrontarci e …al momento in cui la testimonianza la si trasporta nel “ fare politica” lì si ferma il confronto. Non si trasforma nello scannarci di cui fa fede anche l’articolo di Mario. Molti militanti della sinistra ( cosiddetta radicale …) confondono la predicazione, la diffusione d’ una idea “ testimoniante” una società diversa, con l’azione, la mediazione, la possibilità concreta – in un dato contesto storico e politico culturale – di trasformare queste visioni del mondo in realizzazioni concrete, se pur graduali.

Direi che al filosofo, al monaco, al poeta, spetta la testimonianza; al politico, all’amministratore del bene comune spetta l’azione di mediazione e ricerca costante delle possibili realizzazioni di quell’idea alta di cui si è strenui, convinti, portatori.

4. Infatti, occorre chiedersi anche come raggiungere questo traguardo. Non possiamo continuare a promettere la luna senza curarci come ottenerla! O peggio, sapendo di non poterla ottenere nei termini con cui la promettiamo. Altrimenti i concetti di giustizia, democrazia, uguaglianza, diventano concetti astratti, intraducibili. Valori senza rapporti – effettivi ed efficaci – con la realtà.

Invece l’attenzione all’uomo concreto, ci pone di fronte al senso del limite, ci richiede una paziente opera di mediazione. Rifarci continuamente ai “valori”, senza applicarli alla situazione concreta di chi li deve vivere, o godere, mi richiama la figura del manzoniano dottor Azzeccagarbugli: a forza di studiare la connessione degli astri divenne egli stesso vittima delle sue ricerche. Morì a causa delle peste che voleva debellare a partire dall’etere…

I valori sono più “predicabili”, accettabili delle leggi, delle regole, del Decalogo, è vero.

La regola imbriglia, il valore “libera”. I valori essenzialmente permettono, le leggi essenzialmente vincolano.

Questa distinzione, nell’agire sociale e politico non è di poco conto. Farne un’analisi più attenta ci aiuterebbe a tenere i piedi per terra…

La lotta alla povertà parte anche da questo presupposto: regole e comportamenti che non possono valere solo per alcuni e per altri no. In questa denuncia dobbiamo essere lucidi ed inflessibili. Almeno in questo ci possiamo trovare d’accordo.

Ma nel modo come realizzarla, dobbiamo avere la pazienza del confronto, del negoziato, della mediazione.

Federico Caffè, maestro riconosciuto di generazioni di valenti economisti, scriveva “Il riformista è ben consapevole di essere costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi, soprattutto per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono, generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il pregio di un magico effetto di richiamo. (…) E’ agevole contrapporgli che sin quando non cambia il “sistema”, le sue innovazioni miglioratrici non fanno che tappare buchi e puntellare un edificio (…). Egli tuttavia preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il graduale delle trasformazioni ad una sempre rinviata trasformazione radicale del sistema”.

(Dal Manifesto, 29 gennaio 1982, in “La solitudine del riformista”).

 

Mi auguro che le discussioni sulle future alleanze con la Bresso non siano inquinate da sottili e malefici equivoci.
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