Certo, non era facile convincere i lavoratori occupati in questi grandi gruppi multinazionali a scioperare per sostenere la rivendicazione che estendeva questi diritti.
L’esperienza concreta del lavoro dei metalmeccanici, molti anni fa con la Flm unitaria, dimostrò che si poteva essere convincenti lavorando sulla principale, comune identità che derivava dall’essere dipendenti della stessa impresa.
A partire da questi concreti diritti nascono le condizioni per conquiste contrattuali, il riconoscimento del sindacato in fabbrica là dove non esiste, la libertà dell’informazione, il diritto di parlare nei luoghi di lavoro dei propri problemi.
Queste libertà, politiche e sindacali, conquistate dalla Resistenza al nazi fascismo, sessantacinque anni fa – ricorrenza che quest’anno ha avuto particolare enfasi nell’intervento del Presidente Napolitano alla Scala di Milano con il ricordo di alcune eroiche figure della nostra storia (Pertini, i fratelli Cervi, e altri)- si legano strettamente non solo alla memoria di quel tempo, ma anche alla lotta di coloro che non godono ancora pienamente di questo elementare diritto.
Dice bene Niki Vendola, il presidente della Regione Puglia: “Resistenza vuol dire essere contro tutte le violenze!”
Ed è violenza il non diritto al lavoro dignitoso dei molti precari, per esempio, oppure dei lavoratori immigrati, spesso tollerati, guardati con paura e sospetto, spesso angariati da trattamenti che neppure agli animali vengono riservati, come accaduto a Rosarno pochi mesi fa.
Del 25 Aprile del 1945, degli uomini che combatterono sulle montagne per venti mesi per la liberazione e riscatto dell’Italia, ho molti ricordi vivissimi, emozionanti : mio fratello, il maggiore, orfano di padre ad un anno di età (il suo papà, primo marito di mia madre, era caduto sul fronte dell’Isonzo nell’autunno del 1917, durante la Prima Guerra Mondiale); mio cognato appena diciottenne, con le gambe spezzate da una raffica di mitra, che ha sfilato in carrozzina in Piazza Vittorio a Torino. Ricordo anche alcuni soldati dell’Ottava Armata inglese, anche loro liberatori dell’Italia: i gonnellini degli scozzesi ed i turbanti degli indiani. Questi erano uomini che provenivano da lontano, come gli immigrati di oggi.
Fra loro ci saranno i nipoti di quei nonni che erano stati i nostri liberatori e che disseminarono il nostro paese – dalla Sicilia a Bolzano – di cimiteri di caduti per la nostra libertà!
Questi uomini e donne di paesi lontani hanno fatto la loro parte perché fossimo liberi ed oggi impediscono con il loro lavoro il declino economico e demografico dell’Italia.
Dunque, non si cambi per loro il passo evangelico del “bussate e vi sarà aperto…” con la versione leghista del “bussate e vi sarà sparato a cannonate appena i vostri barconi si avvicineranno alle coste italiane”…
La ricorrenza della Festa del Lavoro dovrà essere memoria, emozione e impegno per estendere diritti al lavoro , dignità e eguaglianza.
Il Primo Maggio è un giorno di festa, ma anche giorno di lotta contro chi approfitta della crisi per rimettere in discussione diritti e conquiste, indebolire il sindacato, far tornare indietro la storia.
Anche se avvenimenti lontani nel tempo – i Martiri di Chicago nell’ottocento, la Resistenza nel novecento- essi sono ricorrenze sempre attuali, perché attuali sono gli attentati alla libertà e al progresso del lavoro.
Attuale è l’urgenza di uscire dalla crisi con innovazione e fantasia, utilizzando tutte le risorse economiche ed umane, per battere coloro che strumentalizzano la crisi per accentuare la vergognosa progressione delle diseguaglianze nella ripartizione del reddito prodotto nell’economia italiana.
Sindacalmente
Per contatti scrivere a:
tferigo@gmail.com
serafino@etabeta.it
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