Dove muore l’accoglienza
Il quotidiano Domani – Stefano Feltri direttore, editore Carlo De Benedetti – ha una diffusione complessiva (digitale e cartacea) di 25 copie – e come altri giornali di “nicchia” pubblica articoli critici e reportage che non “rimbalzano” su altri media. Come ad esempio sono le due pagine che raccontano «“La Guantanamo” polacca dove muore l’accoglienza» un centro per immigrati che fuggono dalle guerre dei loro paesi e che non sono ucraini. Sono migranti che fuggono dalla povertà e guerre, cercando un ingresso in Europa con il sogno di cambiare la loro vita. Si trovano invece senza più diritti, trattati come criminali in una prigione militare dove soprusi e torture. Vivono un destino diverso da chi fugge dall?Ucraina e viene invece accolto. Sono persone invisibili dimenticate da tutti. Sono molti (quanti?) i centri nel mondo, in Europa, in Italia che hanno caratteristiche simili (dove muore l’accoglienza) a quanto è descritto, con testimonianze, nel reportage di M.C. e Lorenzo Di Stasi in Europa che così inizia.
Con l’invasione russa, molti ucraini sono scappati dal loro paese e sono stati immediatamente accolti da tutti gli stati membri dell’Unione europea. Profughi di nazionalità diversa, invece, non hanno ricevuto lo stesso trattamento. Migliaia di migranti e richiedenti asilo provenienti dal medio oriente sono arrivati al confine bielorusso giàa partire dal luglio 2021, quando Alexander Lukashenko ha minacciato di ‘inondare” l’ Ue con flussi migratori di massa e di usare i rifugiati come arma verso Bruxelles, che aveva imposto sanzioni verso la Bielorussia. Con l’intenzione di raggiungere la Polonia e ottenere protezione internazionale in Europa, molti di questi migranti sono stati bloccati nelle zone di confine per settimane, sia a causa delle «politiche di respingimento» messe in atto dalla polizia di frontiera polacca, sia per la coercizione delle autorità bielorusse nel volerli spingere nuovamente all’interno dell’avamposto dell’Europa orientale. (…) Seguono questi brevi capitoli:
- In prigione
- Come criminali
- I tentativi di suicidio I più stanchi finiscono per pensare che sia meglio togliersi la vita
- Cambiare vita per cambiare le cose
- La zona buia
- Non esistere per l’Europa
- Gli eurodeputati
- Soldi e diritti
- La vita dopo l’inferno
- Storia di Misbauddi
Storia di Misbauddin – «Kurwa, kurwa!». Gli insulti in polacco continuano a rimbombare nella testa di Misbauddin. Lo studente afghano di 17 anni è fuggito dal suo paese l’anno scorso quando c’è stata la presa da parte dei Talebani. Identificato come maggiorenne con la data del «primo gennaio 2003», Misbauddin è arrivato in Polonia seguendo la via dei Balcani, attraverso la Romania. Lì è stato catturato dalla polizia di frontiera polacca ed è stato trasferito a Wedrzyn.
«Sono rimasto lì “solo” per cinque mesi, ma la vita è stata molto dura per me», ci dice quando lo incontriamo in un hotel situato in una piccola città vicino al campo di Wedrzyn dopo il suo rilascio. «Kurwa» è l’insulto ripetuto in continuazione dalle guardie sbattendo i manganelli sulle porte delle celle. Nessuna violenza diretta ma «tanto razzismo che usciva dalla loro bocca ogni volta che chiedevamo un po’ di sostegno su richieste burocratiche e personali». Quando Misbauddin viene liberato, «non ho niente con me, sono perso in una società che non vuole accettarmi», dice in lacrime. Ora vuol entrare in Svizzera per raggiungere un amico e proseguire gli studi per diventare medico. «Voglio essere in grado di salvare vite e tornare nel mio paese per aiutare chi ha bisogno, i più deboli, quelli lasciati indietro dalla società».
Intanto, come molti altri che si sono spostati dalla Polonia alla Germania, resta sospeso nel limbo: tra una nuova analisi di asilo, l’impossibilità di tornare indietro. Il governo polacco rifiuta riaccogliere i cosiddetti “Dublinati” – i migranti di paesi terzi che devono essere rimandati nello stato membro dell’Ue di primo arrivo, secondo il trattato di Dublino – e dà priorità agli oltre tre milioni ucraini rifugiatisi in Polonia dopo l’invasione russa.
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