Se consideriamo che il 95% delle imprese ha meno di 15 addetti e che queste danno lavoro a circa 1 italiano su due non è difficile comprendere che l’auspicabile rilancio dell’economia dipende dal contributo che queste aziende possono fornire.Queste imprese oggi però stanno molto male. Ma se le imprese stanno male i lavoratori di gran lunga stanno peggio. Eppure dal momento che nessuno se ne cura è appena il caso di rilevare che nessuno interviene in maniera significativa, salvo alcuni modesti provvedimenti locali , che qui da noi sono stati effettuati dalla Regione Piemonte e dall’EBAP. Intanto quanto agli ammortizzatori sociali i lavoratori delle piccole imprese artigiane se hanno la fortuna di avere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono trattati peggio di quelli delle medio-grandi aziende cassa integrabili per 4 mesi contro 8 (comunque prorogabili fino a 12 mesi).
Sebbene il Governo si sia impegnato con slogan ad effetto “ nessuno sarà lasciato da solo”,sono in Italia 1 milione e mezzo i lavoratori senza tutela contro il rischio di licenziamento e un altro milione quelli che possono accedere a un’indennità con requisiti ridotti ma con una durata assai limitata ed una entità molto bassa.
Per tutelare questi lavoratori è necessario nell’immediato un confronto con il governo e con le associazioni imprenditoriali per estendere a tutti i lavoratori un intervento di sostegno al reddito sulla stregua di quanto fatto dalla Regione Piemonte, tramite l’Agenzia Piemonte Lavoro, che per il 2009 ha stanziato 15,5 milioni di euro a favore dei lavoratori piemontesi disoccupati o sospesi ma privi di trattamenti previdenziali, magari con un sussidio decisamente più alto rispetto alla cifra prevista in 3000 € (erogabile in un’unica soluzione per l’anno 2009).
Ma cosa ci possiamo attendere da questo governo che, vista la divisione sindacale, ha di fatto cancellato la concertazione?
Data l’entità e la natura della crisi, una riforma degli ammortizzatori sociali sarebbe la prima cosa da fare nei confronti di tutti i lavoratori e nel contempo a favore della piccola impresa. A dire il vero neanche il governo di centro-sinistra, che pure aveva dichiarato la sua disponibilità, ha fatto qualcosa di serio a proposito; si è parlato di risorse notevoli, pari a circa 5 o 6 miliardi di €., per passare dal 20% dei lavoratori tutelati ad una tutela universale per tutti i lavoratori.
Una riforma che dovrebbe rispondere a due presupposti. Da un lato dovrebbe garantire una retribuzione minima a tutti i lavoratori, come avviene nel resto dell’Europa, colmando divari inaccettabili in modo particolare riguardo ai lavoratori precari e discontinui. Dall’altro un ammortizzatore sociale per la protezione contro il rischio della disoccupazione a beneficio di tutte le persone che lavorano, indipendentemente dalla tipologia contrattuale o dal settore o dalle dimensioni delle imprese. Ciò potrebbe avvenire con l’estensione della cassa integrazione o del sostegno al reddito, valorizzando di conseguenza gli istituti mutualistici bilaterali promossi dagli enti bilaterali.
Ma il governo sembra impegnato in tutt’altre faccende sebbene avesse dichiarato che la riforma degli ammortizzatori sociali fosse una sua priorità .
Questi lavoratori corrono un forte rischio perché le loro imprese non hanno alcuna visibilità intanto perché gli imprenditori delle piccole imprese non sono proprietari di giornali né sono presenti nei consigli di amministrazione. Un esempio? Dopo le solenni dichiarazioni del governo Berlusconi che mai più avrebbe prorogato gli incentivi per la rottamazione, alla Fiat è bastato fare la voce grossa che subito il governo si è precipitata al suo capezzale offrendo la medicina straabusata del rinnovo degli incentivi.
Incentivi negati per contro alle piccole imprese del settore tessile e macchine utensili, salvo poi concedere un modesto contentino del sostegno per la fusione di piccole imprese, di dubbia efficacia. Mentre su un altro provvedimento questo si veramente efficace come quello di abbassare la pressione fiscale sul lavoro, partendo dalle retribuzioni più basse che non a caso sono concentrati nelle piccole imprese.
Poi c’e il problema del credito che a causa delle condizioni restrittive derivanti dalla crisi finanziaria globale sta mettendo letteralmente in ginocchio le aziende in particolare quelle piccole, anche quelle che hanno validi progetti produttivi. Perché? Parliamoci chiaro: perché gli imprenditori delle piccole aziende non hanno quote azionarie nelle maggiori banche e non siedono pertanto nei consigli di amministrazione come avviene per quelli delle grandi imprese.
Questi ultimi possono contare su un credito quasi illimitato ed a condizioni privilegiate, essendo creditori e debitori allo stesso tempo. Immaginiamo a quali rischi si va incontro di fronte ad una concentrazione in poche mani per l’intero sistema sapendo che è noto a tutti l’abnorme livello di indebitamento delle grandi imprese italiane. Mentre una maggiore diversificazione del credito ed allargamento verso la piccola impresa sarebbe indice non solo di una maggiore sicurezza ma anche di una migliore stabilità dell’intero sistema finanziario, con grandi riflessi anche sul versante della crescita della produttività economica, che è il vero tallone d’Achille del nostro paese.
Nell’immediato sarebbe necessario prorogare gli ammortizzatori sociali anche nel 2010, come pure realizzare politiche attive del lavoro ed urgente attivare tutti gli strumenti utili per evitare i licenziamenti". "Particolarmente grave la situazione dei giovani "lavoratori flessibili, che non possono restare così a lungo nella palude dell’incertezza – sottolinea Giorgio Santini – bisogna agire su tutte le leve possibili per incrementare e qualificare l’occupazione giovanile, in particolare nel Mezzogiorno"."Gli interventi necessari è far sì che la flessibilità non si trasformi in precarietà per migliaia di giovani e donne- conclude il sindacalista – sono il rilancio del contratto di apprendistato, la parificazione dei contributi previdenziali per tutte le tipologie di lavoro, la formazione continua anche per i lavoratori flessibili, l’abbassamento dei requisiti d’accesso, il miglioramento dell’indennità di disoccupazione ed un efficace meccanismo di transizione scuola-lavoro.
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