A trent’anni da Capaci, dall’attentato dinamitardo in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta del giudice, le mafie si sono insinuate in tutti gli interstizi tra lecito e illecito, colmando le aree grigie che si formano nelle interazioni tra sistema politico, sistema economico e sistema sociale. Molti sono gli insegnamenti, i moniti, le lezioni da trarre.

Scrive Roberto Saviano in “Cosa ci insegna Falcone” su Il Corriere della Sera. (…) Il tema della mafia sembra scomparso dall’agenda di governo, dai dibattiti dell’opposizione. Sembra che la mafia, le mafie, siano scomparse. Ma è esattamente il contrario. E tristemente ironico che il primo a mostrarci una mafia finanziaria, prima ancora che sanguinaria, fu proprio Falcone. Fu lui il primo a parlare di una mafia che ancora più delle pistole fa parlare i consulenti finanziari. In larga parte dematerializzata, ma non per questo meno forte. Tutt’altro. Oggi mafia non vuol dire soltanto estorsioni, minacce, omicidi, droga. Oggi mafia vuol dire aziende svuotate e ripopolate per riciclare denaro, imprenditori sconfitti da una concorrenza invincibile perché basata sui profitti illeciti, grandi opere realizzate al risparmio sulla pelle dei cittadini (…) per proseguire aprire l’allegato

© Tony Gentile Foto icona – Palermo 27-3-1992 a Palazzo Trinacria 

La stessa considerazione è ripresa da Fabio Armao in “Trent’anni dopo Capaci” su MicroMega. (…) si continua a parlare di mafia come entità criminale pretendendo di ignorare l’evidenza che il vero problema sociale è la “borghesia mafiosa” che la circonda, permettendone la sopravvivenza e traendone anche cospicui profitti: politici corrotti e imprenditori collusi, certo; ma anche tutti quei rappresentanti delle libere professioni – avvocati, commercialisti, banchieri, broker finanziari – senza le competenze delle quali i mafiosi non potrebbero garantire la sopravvivenza dei propri clan; il contributo di queste professionalità è diventato tanto più indispensabile quanto più le mafie sono evolute in questi ultimi decenni in vere e proprie agenzie transnazionali in grado di vendere beni e servizi illeciti a una quantità crescente di attori anche del mondo legale. Ai tradizionali settori dell’estorsione e del traffico di droga si sono via via aggiunti quelli del traffico d’armi, di rifiuti tossici, di esseri umani (manodopera schiava), cui vanno aggiunte tutte le attività richieste per consentire il riciclaggio del denaro sporco e che comportano una crescente infiltrazione delle organizzazioni criminali nell’economia lecita (..) per proseguire un clic qui https://www.micromega.net/strage-capaci-1992-2022/

Micro Mega pubblica l’articolo “ I giorni di Giuda” scritto nel 1993 da Paolo Borsellino (vedi allegato) nel quale il magistrato denuncia il percorso e le collusioni politico-mafiose che con il progressivo isolamento decretarono fin dal 1988 la sua morte.

Bruno Ranucci, sulla sua chat, posta “L’erdedità scomoda di un giudice” inziando così. Cosa resta oggi, 23/5/2022, a trent’anni esatti dalla sua morte, del sacrificio del giudice Falcone? Per rispondere a questa domanda che chiarisca in qualche modo i contenuti della sua pesante eredità, voglio riferirmi, umilmente, alla parabola di Gesù del Seminatore riportata nel Vangelo di Matteo: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta”. Ecco, io credo che il seme gettato da Giovanni Falcone col suo impegno, la sua tenacia, il suo sacrificio nel combattere un nemico così potente come la mafia abbia incontrato terreni e raccolti diversi. (…) per proseguire aprire l’allegato. Bruno Ranucci è stato segretario generale della Cisl di Vercelli, ora pensionato attivo e scrive libri.

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