Non c’è più da trent’anni quel partito – il Partito Comunista Italiano – eppure quella nascita di cent’anni fa suscita ancora un grande richiamo, riflessioni e discussioni.

1975 – quando il PCI era il più grande partito comunista dell’Occidente

Tra i tanti saggi e articoli di questi giorni segnaliamo due libri che pensiamo  complementari: il primo, La dannazione” di Ezio Mauro (con fiction su Rai 3, andata in onda sabato 23 gennaio) con il focus sui giorni del drammatico Congresso di Livorno del 1921 che portò alla scissione nel Partito Socialista Italiano di Filippo Turati e la nascita del Partito Comunista d’Italia (PCdI) di Amadeo Bordiga; il secondo, quello di Luciano Canfora “La metamorfosi” che dal 1944 consentirà al Partito Comunista Italiano che diventare il primo partito comunista dell’Occidente.

Il PCI che ha concluso la sua storia trent’anni fa è nato nel 1921 o si è “generato” nel 1944? Con l’esperienza della lotta clandestina nel ventennio fascista, e sopratutto con il ritorno da Mosca di Palmiro Togliatti – il compagno “Ercoli” in seguito riconosciuto da milioni di  comunisti italiani come “Il Migliore” – che delineò una strategia riformatrice. Togliatti conquistò consensi e partecipazione popolare crescente seguendo il percorso indicato da Filippo Turati, contrastando con fermezza (anche dopo la LIberazione) le idee che pensavano ancora ad un partito guidato da  “rivoluzionari di professione”. Fausto Bertinotti, nella fiction e nell’intervista rilasciata a Ezio Mauro, qui allegata, esprime invece una convinzione ben diversa: “Turati aveva torto!“.

Guido Melis in “Del Pci e di una certa nostalgia” su Il Mulino, riflette su una domanda “ E se fossimo stati noi a Livorno, quel giorno di cento anni fa?” e scrive “…Togliatti, che ai miei tempi noi extraparlamentari contestavamo nel nome di Mao («Sulle contraddizioni tra il compagno Togliatti e noi») fu l’artefice di una ambiziosissima e in larga misura riuscita operazione, che ha segnato positivamente (eccome l’ha segnata) la storia d’Italia. Ha preso un popolo largamente estraneo alla politica, spesso analfabeta, talvolta sovversivo per istinto primordiale, oppure indifferente alla politica che non capiva, e lo ha letteralmente «educato», secondo una pedagogia che ha aveva le sue scuole nelle sezioni e i suoi maestri nei primi dirigenti di base; e lo ha inserito nel gioco costituzionale, facendo una cosa che mai era avvenuta nella storia d’Italia precedente: portando questo popolo dentro e non contro le istituzioni. Per farlo ha usato la sua dote principale, quella che faceva di lui «il migliore»: la doppiezza. Ha parlato molto di rivoluzione sapendo che non era possibile farla; e ha invece indirizzato la spinta al cambiamento che proveniva dal suo popolo verso il gradualismo democratico. Pensateci bene (e scusatemi la semplificazione): Togliatti ha fatto esattamente quello che diceva Turati nel 1920 nel suo discorso famoso alla Camera «Rifare l’Italia». È stato lui, Togliatti, il Turati del dopoguerra. E lo ha fatto navigando sapientemente, senza scissioni, tenendo a bada la sinistra di Secchia, restando stalinista sinché c’è stato Stalin e poi sempre fedele all’Urss, per quanto non pedissequamente, persino nei giorni tragici della rivolta ungherese…” per continuare un clic qui https://www.rivistailmulino.it/

Viene prima la libertà o l’eguaglianza? L’eguaglianza – se ritenuta primaria – può essere perseguita rinunciando – transitoriamente – alle libertà politiche e di pensiero? E’ una delle questioni più grandi che ha diviso il mondo e in particolare i partiti della sinistra, un tempo della classe operaia. Inseguendo e predicando il concetto di egemonia si ostacola o si favorisce il pluralismo nella società? Il senso critico nel partito?

Il mondo ha ancora, e sempre più avrà,  bisogno di idee per l’uguaglianza, la giustizia, la libertà, la pace; per questo anche le antiche idee di socialismo libertario e di personalismo comunitario (Emannuel Mounier)  non sono mai morte. E dalla storia si possono trarre lezioni: mettendo in conto che la “violenza operaia” non è “levatrice” delle rivoluzione degli oppressi per conseguire gli obiettivi a cui si aspira e tra i quali si deve far primeggiare il binomio libertà-uguaglianza. Libertà dai bisogni e libertà politiche e di pensiero.

Non pochi storici parlano del ‘900 come un secolo breve, iniziandolo dal 1917 (anno delle due grandi e sconvolgenti rivoluzioni in Russia, a febbraio e poi a ottobre per opera dei bolscevici) e concludendolo nel 1989 (caduta del muro di Berlino). Perché tralasciare il drammatico e determinante primo scorcio di quel secolo con una guerra feroce mondiale nella quale i potenti del tempo sperimentarono le nuove tecnologie di guerra con ingenti massacri mai visti prima. Verso quel sanguinario “potere”,  violento e aggressivo, le masse popolari si rivoltarono cercando speranza nei programmi rivoluzionari improntati su “fermare la guerra”, “pane e pace”, “la terra ai contadini” e “il potere agli operai”. Milioni di persone si sono messe in marcia per obiettivi sacrosanti  per cambiare il loro stato di sudditi e di povertà. E poi la storia è testimone di cosa accadde, i fatti del “come” perseguire gli obiettivi declamati hanno mostrato l’altra faccia di un potere che negava le libertà fondamentali per l’affermarsi della personalità e della democrazia, del pluralismo.

La rivista Internazionale ricorda lo storico evento ddel 1921 con il commento “Avventura” , più avanti riprodotto, del suo suo direttore Giovanni De Mauro e la ricostruzione di quei giorni con l’articolo di Vanessa Roghi . https://www.internazionale.it/opinione/vanessa-roghi/2021/01/21/partito-comunista-italiano-cento-anni

Cos’è stato in Italia il Partito comunista? Alla sua nascita, il 21 gennaio del 1921, il partito di Antonio Gramsci è molto diverso da quello che durante la seconda guerra mondiale combatte il fascismo. E il partito del dopoguerra, che partecipa alla stesura della costituzione e contribuisce alla ricostruzione con l’uscita del paese dalla povertà, è diverso da quello del boom economico e poi delle lotte operaie degli anni sessanta, o dal partito che fa sue le battaglie per i diritti civili e s’impegna nella difesa delle istituzioni contro la strategia della tensione e il terrorismo.

Almeno dal dopoguerra in poi, la sua storia si può comunque riassumere così: un grande partito, popolare e di massa, che in modo convinto sta dalla parte della democrazia e dei lavoratori. È una storia, inevitabilmente, anche di scelte sbagliate e di errori di prospettiva, ma è giusto ricordare che si devono ai comunisti molte delle conquiste sociali più importanti della storia recente.

Cosa ha significato essere comunisti in Italia lo si può raccontare con le parole di Enrico Berlinguer, quando spiega che “il mondo, anche questo terribile intricato mondo di oggi, può essere conosciuto, interpretato, trasformato e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità” e che “la lotta per questo obiettivo può riempire degnamente una vita”.

O con quelle dell’operaio di Torino che nel documentario La cosa, https://archive.org/details/LaCosa_201812 girato da Nanni Moretti nel 1989, racconta: “Chi mi ha convinto che valeva la pena tentare un’avventura sono stati i comunisti, un gruppo di operai che a diciott’anni avevano fatto la resistenza e che quando passava il capo officina non chinavano la testa, dicevano la loro, e mi avevano fatto capire che si poteva stare in fabbrica senza essere un ribelle sottoproletario come ero io, ma imparare a leggere, a scrivere, a far di conto”.   Giovanni De Mauro

Gianni Marchetto, operaio, delegato a Mirafiori, e poi per molti anni sindacalista della Fiom e della Cgil Torinese, racconta in una lunga intervista (v. allegato) a Franco Izzo, Ex Assessore di Sinistra Italiana di Venaria, la sua vita di militante – orientata dal pensiero marxista – per cambiare la fabbrica e il mondo.

In allegato trovate anche l’indice e la prefazione prefazione della garnde opera di Paolo Spriano (terza edizione nel 1972) della Storia del Partito comunista italiano in sei volumi, dai quali abbiamo tratto (sesto volume) il capitolo Il direttore del Grido del popolo, il primo giornale redatto da Antonio Gramsci a Torino nel 1917 -1918.

Per qualche informazione in più aprire gli allegati

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