Quella del coronavirus non è una guerra!
E’ un’ emergenza sanitaria che richiede cura e prevenzione
La madrugana può finire quanto prima modifichiamo pensiero e azione
Per una nuova metafora del nostro oggi – Questa non è una guerra, noi non siamo in guerra. La nostra è – sì, una drammatica vicenda mondiale con centinaia di migliaia di contagiati da curare e una lunga catena di morti – un’emergenza sanitaria aggravata dall’essere stati colti impreparati per quanto riguarda la cura (ventilatori in terapia intensiva e ossigenazione a domicilio) e soprattutto sprovveduti di una solida cultura della prevenzione e di un modello di medicina pubblica diffusa nel territorio, lasciando privi di salvaguardie protettive i medici di famiglia (circa metà degli oltre cento deceduti). Una epidemia, una pandemia la si frena in primo luogo nel territorio (distretti e medici di famiglia) e non già con una sanità pubblica accentrata sul modello ospedalo-centrico, come si è in gran parte trasformato dalla fine degli anni’90 il Sistema Sanitario Nazionale.
Guido Dotti Monaco di Bose, scrive “ … Da quando la narrazione predominante della situazione italiana e mondiale di fronte alla pandemia ha assunto la terminologia della guerra – cioè da subito dopo il precipitare della situazione sanitaria in un determinato paese – cerco una metafora diversa che renda giustizia di quanto stiamo vivendo e soffrendo e che offra elementi di speranza e sentieri di senso per i giorni che ci attendono. Il ricorso alla metafora bellica è stato evidenziato e criticato da alcuni commentatori, ma ha un fascino, un’immediatezza e un’efficacia che non è facile debellare (appunto). (…)
Ho letto con estremo interesse alcuni dei contributi – non numerosi, mi pare – apparsi in questi giorni: l’articolo di Daniele Cassandro (“Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore”) per Internazionale, la mini-inchiesta di Vita.it su “La viralità del linguaggio bellico”, l’intervento di Gianluca Briguglia nel suo blog su Il Post (“No, non è una guerra”) e l’ottimo lavoro di Marino Sinibaldi su Radio 3 che ha dedicato una puntata de “La lingua batte” proprio a questo tema, introducendo anche una possibile metafora alternativa: il “lessico della tenacia”. (…) aprire gli allegati
Per una valida strategia della prevenzione ha certamente peso e valore la proposta di Gianni Marchetto in “Chiedo di essere tracciato” (vedi allegato). Ricalca il modello applicato con successo nella Corea del Sud e in Israele. Avrebbe un forte peso sull’opinione pubblica se la stessa venisse fatta propria e rilanciata con un appello-richiesta sottoscritto inizialmente da un centinaio di Rsu per estenderlo a tutte le categorie produttive, della PA, della Sanità, della Scuola, dei trasporti, della filiera alimentare, dei servizi. Una simile iniziativa dal basso contribuierebbe certamente a rimuovere incertezze impremendo forza per accelerare scelte per le quali siamo in forte ritardo! Si può, per avviare gradualmente prima la Fase2!
La parola madrugada in spagnolo fa riferimento alle ore che vanno dalla mezzanotte alle prime luci dell’alba. Quando l’oscurità lascia spazio alla luce del giorno si usa anche il verbo amanecer. In ogni caso madrugada si usa spesso per riferirsi nello specifico alle prime luci dell’alba o alle ore immediatamente precedenti: es. Salieron a trabajar de madrugada (Uscirono a lavorare di buon mattino / alle prime luci dell’alba).
Un tempo nei momenti di grande difficoltà, si citava il detto “ Quanto più fredda è la notte tanto più l’alba è vicina”, pensando a quel periodo di tempo, breve e freddo, tra notte e giorno
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