LA FATICOSA LIBERTA’ DI PENSIERO – M.Dellacqua – Il bisogno di pensare di V.Macuso –
Non restare chiuso qui, pensiero. La riscopriamo come fatica, la risorsa del pensiero, avendola sempre immaginata come la liberazione da tutte le catene spirituali e materiali che impediscono la realizzazione piena della nostra personalità. E’ una fatica, ad esempio, estenuati in coda allo sportello di un ufficio pubblico, col capo reclinato alle vessazioni della burocrazia, o nei corridoi di un pronto soccorso stipato di un’umanità sofferente che tappezza le pareti, concepire il pensiero che quell’infermiera non è necessariamente la sorgente delle tue disgrazie. E non è una fatica, rovesciando l’ovvio e il comprensibile, approdare all’insana persuasione che, anzi, il malcapitato dipendente pubblico meriti la sorpresa di una cauta gentilezza, non una raffica di contumelie?
Simone Weil scriveva che “l’espressione corretta di un pensiero produce sempre un mutamento dell’anima”, dal momento che ne esce “rafforzato o superato”. Vito Mancuso rovista dalle stesse parti e ci spiega che la faticosa libertà del pensiero nasce quando, nel certame piatto e aspro della quotidianità, si sprigiona il sogno (o il bisogno!) di una vita migliore e l’aspirazione ad un mondo più giusto.
Questo requisito fondamentale dà un senso alla distinzione – cara anche al cardinal Martini – fra pensanti e non pensanti che sostituisce l’antica gara fra credenti e non credenti. Ugualmente fuori gioco chi vola rasoterra o preferisce strisciare per non rischiare di cadere. D’altra parte, non resta nulla da desiderare dove il reale è razionale. In tale economia, l’esercizio del pensiero produce il tuo adeguamento alla realtà elargita dalle gerarchie dominanti, fino a farti diventare il divulgatore popolare della sua apologetica riproduzione fotostatica.
Dove domina per legge la felicità anonima del Grande Fratello, la servitù dei sudditi è più volontaria che mai e un istinto collettivo di schiavitù camuffato da anelito di libertà ignora i consigli di Alce Nero che, quando parla, sprona i pensieri degli uomini a salire in alto come fanno le aquile.
Se hai sconfitto la quiete del servilismo per la fatica della libertà, trovi ogni giorno un altro bivio: l’apatia contro la passione, ad esempio, perché “vi sono persone che sanno tutto, ma non sanno di niente, mentre altre non sanno niente e hanno un sapore meraviglioso”.
E’ anche una faccenda di sensazioni (che si presentano “nude”), mentre le percezioni compaiono “vestite” (cioè intellettualmente rielaborate). E’ anche una faccenda termodinamica: perché mai il freddo ragionatore dovrebbe essere vicino alla verità più di chi si lascia guidare dal calore dei sentimenti? Secondo Hannah Arendt, “coloro che non sono innamorati della bellezza, della giustizia e della sapienza, sono incapaci di pensiero”.
E’ anche una faccenda di amore o odio: l’odio è parassitario perché abbraccia il pensiero altrui per negarlo e distruggerlo senza saperne edificare uno proprio. E neppure questo è l’ultimo bivio: l’amore per Dio ti può portare ad amare tutto per Dio (come diceva la scuola umanistica di Pico della Mirandola) o ad odiare tutto per Dio (come voleva la scuola dell’ascetismo medievale).
E, nel nostro tempo, Etty Hillesum amava Dio e la vita tanto da sentire di avere delle “responsabilità” verso quelli che avrebbe voluto chiamare i suoi “talenti”. Lo scopo di Simone Weil, invece, era “diventare niente” , convinta com’era che “l’io come tale è lebbra” e che “tutto ciò che è in me, senza eccezione, è assolutamente senza valore”.
Quando poi si spezza il legame fra ciò che il mondo “è” (indagato dalla storia e dalla scienza) e ciò che il mondo “dovrebbe essere” (progettato dall’etica, dal diritto e dalla politica), sopraggiunge il “buonismo”: a quel punto, la stessa fede si ritira nel cuore e serpeggia una “spiritualità asmatica”. Ma facilmente si presterà il fianco al veleno del pensiero predatore votato al guadagno, al dominio, alla compravendita, al culto della divinità del consenso. Il legame della forza riduce la vita “al cinismo di una spietata lotta per la sopravvivenza”, e non si lascia sfuggire l’occasione di rinvenire la macchia dell’interesse appena si fa strada qualche generosa sperimentazione.
Con Dietricht Bonhoeffer, Vito Mancuso contrappone Don Chisciotte, simbolo della resistenza fino alla follia, a Sancho Panza, che invece si adatta furbescamente a quanto dato e se ne mostra pago. Posso affrontare questa lotta di resistenza solo se so che c’è qualcosa di più importante fuori di me che mi dia forza. Oggi si dice resilienza: gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo. La goccia scava la pietra non con la forza, ma cadendo in continuazione.
Ascoltare, fare silenzio, non leggere troppo, ma leggere, rileggere, sottolineare, riflettere, non pretendere di avere ragione e non vergognarsi di piangere sono alcuni dei consigli che Mancuso regala nella sua lista della spesa a chi vuol combattere la battaglia interiore dell’agire, che è pensiero in atto.
Mario Dellacqua
VITO MANCUSO, Il bisogno di pensare, Garzanti, pag.188, euro 16
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