MOLTO DIALOGO E POCO GESUITISMO – S.Fiori – La “Vocazione” di A.Prosperi –
Molto dialogo e poco gesuitismo – Simonetta Fiori, su La Repubblica, intervista Adriano Prosperi e commenta il suo ultimo libro “La vocazione” con sottotitolo storie di gesuiti tra Cinquecento e Seicento. (vedi allegato). Nella parte finale scrive. (…) Ma al fondo rimase questa convinzione che sulla base di precetti morali semplici ci si poteva incontrare. Bisognava ascoltare gli altri come diceva Ignazio da Loyola:entrare con l'altro e uscire con se stesso. Un motto che evoca il rituale della lotta giapponese, una cedevolezza apparente che ti permette di abbracciare il tuo interlocutore per portarlo dalla tua parte.
Per chi si aggira nei dintorni di Riforma e Controriforma – Prosperi è uno dei massimi specialisti – è impossibile non imbattersi nella compagnia di Gesù.
Ma il libro nasce anche da una necessità: quella di liberare i gesuiti dallo spesso velo di luoghi comuni che resiste nel tempo. «Pochi stereotipi si sono impiantati nel linguaggio comune lasciandovi impronte così tenaci», commenta Prosperi. «Nel bene e nel male, nell'apologia e nell'accusa di incarnare un potere segreto, responsabile delle pagine più nere». Gesuitismo come sinonimo di ipocrisia o scaltrezza nefasta al pari del machiavellismo. Lo studioso sceglie un'altra strada che lo porta a rappresentarli come «un élite di militanti votati all'obbedienza assoluta».
Ma questa attitudine finisce per richiamare un'altra analogia invalsa nel secolo scorso e tuttora resistente: l'accostamento ai rivoluzionari novecenteschi. «È stata Sabina Pavone a farmi notare che Emmanuel Carrère nel Regno attribuisce a Pjatakov la frase: "Se il partito lo richiede, un vero bolscevico è disposto a credere che il nero sia bianco e il bianco nero". In realtà era una delle Regole di Ignazio di Loyola».
E anche la pratica dell'autocritica viene vista come elemento comune a gesuiti e comunisti nella costruzione dell'uomo nuovo.
Un altro aspetto valorizzato da La vocazione è l'invenzione dei Collegi, «luoghi di alta educazione per ragazzi di buona famiglia». Nel 1750 c'erano cinquecento collegi gesuitici in Europa, altri duecentocinquanta nel mondo. E la qualità della loro opera educativa veniva celebrata anche dai non cattolici. «Ma all'origine ci fu una esigenza fondamentale: quella di selezionare le nuove leve gesuitiche, dotate di forte convinzione e di mezzi intellettuali adeguati». Essere giovani è una promessa straordinaria. E i gesuiti furono tra i primi a esserne consapevoli. «Seppero riconoscere il tesoro nascosto nella plasticità delle giovani e spesso giovanissime intelligenze, intercettando il bisogno di sapere che proveniva da tutta la società. Fu l'asso calato da Ignazio nel secolo che scopriva la scuola».
Adriano Prosperi La vocazione – Storie di gesuiti tra Cinquecento e Seicento- (Einaudi, 30 €)
La Repubblica del 3-5-2016
http://www.iniziativalaica.it/?p=30966
Allegato:
storia_dei_gesuiti_molto_dialogo_e_poco_gesuitismo_fiori.doc
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