BIANCA LA ROSSA – Gianna Montanari – cultura 9/2/10

"Mi è piaciuto il fare, e ho fatto quel che ho potuto, cercando sempre di essere me stessa". Con queste parole sintetizza la sua storia Bianca Guidetti Serra, donna avvocato torinese, giunta ai novant’anni. Bianca la rossa s’intitola la sua autobiografia, scritta con Santina Mobiglia e pubblicata da Einaudi; un libro che si legge facilmente per il linguaggio chiaro e sintetico, in cui l’autrice cerca di riannodare i fili del suo passato dal punto di vista del noi anziché dell’io, proiettando la sua vicenda personale all’interno di un vasto affresco della società italiana del Novecento. Infatti Bianca la rossa (così chiamata per il suo impegno politico nella sinistra), nata a Torino il 19 agosto 1919, è stata testimone e partecipe del suo tempo come donna, come militante, come avvocato: testimone e partecipe, perché non si è limitata a registrare la realtà, ma si è attivata per modificarla, usando gli strumenti che la sua formazione giuridica le ha fornito.

Nel 1938, non ancora ventenne, percepisce l’iniquità delle leggi razziali vedendo cambiata la vita dei suoi amici ebrei, e, soprattutto, la colpisce l’indifferenza della gente. Come donna, coglie un’altra ingiustizia, che si sta perpetrando con una legge che limitava l’assunzione  delle donne in tutti gli uffici, pubblici e privati, a una percentuale non superiore al dieci per cento. Si laurea in legge il 3 luglio 1943 e contemporaneamente diventa comunista. "Compagna" nella Resistenza, dopo l’8 settembre collabora alla fondazione dei "Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà", in cui, a distanza di tanti anni, vede "un vero esempio di resistenza civile, ancora oggi troppo taciuta, sotto l’occupazione".

 

Nel 1956 esce dal Pci e continua il suo impegno come "militante senza partito": la sua militanza si esprime attraverso la sua professione di avvocato (allora le donne avvocato erano pochissime), che la porta a occuparsi di vertenze operaie, dell’assistenza a prigionieri politici internazionali, dei diritti dell’infanzia.  Tra i molti processi in cui difende i lavoratori, ricordiamo, nel 1958 a Torino, la prima causa per la parità di retribuzione uomo-donna a parità di lavoro, contro il GFT (Gruppo finanziario tessile).

 

Tra i processi penali a cui prese parte, forse il più noto è quello alla banda Cavallero, che per quasi nove anni aveva terrorizzato l’hinterland fra Torino e Milano; i suoi membri, catturati nel 1967, davano del loro comportamento delle motivazioni ideologiche "in nome di una rivoluzione politica e sociale che passava attraverso gli assalti alle banche, emblematici santuari del capitale". Lei assunse la difesa di Adriano Rovoletto, di cui conosceva la madre ("Accettai la difesa di Rovoletto, non mi ritrassi di fronte alla richiesta della famiglia e al diritto dell’imputato. C’era anche da parte mia un interesse a capire in quali pieghe sociali aveva potuto trovare le sue radici una banda, che aveva come entroterra l’ambiente operaio di quella barriera di Milano che conoscevo bene"). 

 

Arrivò il Sessantotto: adesso protagonista era la generazione dei figli, gli studenti torinesi che nel novembre ’67 avevano occupato Palazzo Campana (per quell’occupazione partirono circa 500 denunce); nel ’69 la vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici diede luogo al cosiddetto autunno caldo. Molto lavoro per gli avvocati democratici, mentre il 12 dicembre dello stesso anno le bombe alla Banca dell’Agricoltura di Milano danno il via alla stagione delle stragi di stampo eversivo neofascista, cui seguirà quella della violenza organizzata dei gruppi della sinistra. A proposito del terrorismo la Guidetti Serra osserva: "Tardai, come tanti, a cogliere i segni di quella violenza politica che anche a sinistra si sarebbe poi tradotta in una vera e propria strategia terroristica negli anni di piombo. E furono vicende dolorose e devastanti, sul piano politico e umano. Ma sarebbe sbagliato ridurre a questo esito la storia dei vasti movimenti sgorgati dal Sessantotto".

 

Un processo memorabile fu quello per le "schedature Fiat",  dopo la scoperta di un archivio segreto che nell’arco di vent’anni aveva raccolto ben 354077 schede personali contenenti notizie sulla vita privata di altrettanti dipendenti dell’industri automobilista torinese. Fu un caso clamoroso, che rivelò non solo l’indebito spionaggio della Fiat, ma anche le connivenze all’interno degli apparati pubblici.   

 

I processi contro l’Ipca di Ciriè e l’Eternit di Casale Monferrato furono i primi in cui il sindacato entrava come parte civile in un processo per "omicidi bianchi", contro i dirigenti di fabbriche dove la salute dei lavoratori era messa fortemente a rischio. Furono due processi drammatici, con forte affluenza di pubblico, e per la prima volta vennero condannati come responsabili dirigenti e medici di fabbrica. Purtroppo le fabbriche della morte esistono ancora, come sappiamo, e non è ancora concluso il processo ai dirigenti della Thyssen Krupp.

 

Al di là dei fatti raccontati, è bello il ritratto che emerge di Bianca la rossa, una donna coraggiosa, coerente e concreta, che si mette al servizio della società. Le sue armi sono sempre quelle della legge, le sue battaglie sono sempre civili. E questa donna, che ama la montagna e ha fatto lunghe passeggiate con l’amico Primo Levi è anche una persona ottimista, che accetta la vecchiaia con serenità. Non è scontenta della sua vita, perché ha trovato un senso da dare al tempo che le è toccato in sorte.

 

Bianca Guidetti Serra, con Santina Mobiglia, Bianca la rossa,

Einaudi, Torino , 2009. Prezzo 17,50 €
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