Alle origini del potere maschile

Vinzia Fiorino* in Proprietà e potere, alle origini del dominio maschile -Il Manifesto  24-11-24. Opinioni – analizza i due pilastri sui quali si regge il patriarcato e con esso il maschilismo e il paternalismo. Quei pilastri di un ordine sociale secolare sono stati certo rimessi in discussione e profondamente modificati nel corso di una stagione di grande cambiamento ascrivibile a pieno titolo al movimento femminista, che in Italia è stato diffuso, capillare, di massa. Nel 1956 viene abolito lo “ius corrigendi”, cioè il diritto dell’uomo di “educare e correggere”, anche con l’uso della forza, la moglie e i figli. Nel 1969 viene dichiarato incostituzionale l’articolo 559 del codice penale che puniva unicamente l’adulterio della moglie.Ma molta strada rimane ancora da fare perchè – come affermava Martin Luther King – non si deve aver paura dei violenti, dei malvagi (che non sono molti) ma temere del silenzio degli onesti (che sono molti).

Questo l’articolo <<Parole stonate, fuori luogo, inopportune quelle del ministro Valditara in occasione della presentazione ufficiale della Fondazione intitolata a Giulia Cecchettin. A noi non interessa seguirlo per la sua strada, quella della presunta responsabilità dei migranti «irregolari» delle violenze sulle donne, peraltro smentita dai dati. Interessa invece ribadire con forza e con semplicità che questo tipo di violenza è commessa da uomini sulle donne e che dunque è inequivocabilmente il genere – non il colore della pelle né lo status sociale e lavorativo – il fulcro del problema.

Distruggiamo il patriarcato – Il murale dell’artista di strada Laika dedicato a Giulia Cecchettin e Gisele Patriot. L’opera apparsa a Milano il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Interveniamo come studiose che negli ultimi decenni hanno prodotto numerose, rigorose e preziose ricerche che hanno individuato nell’antico (ed europeo) ius corrigendi uno degli incipit di questa storia: abolito solo nel 1956, esso consisteva nel diritto dell’uomo di «educare e correggere», anche con l’uso della forza, la moglie e i figli e rappresenterà uno dei tanti luoghi della costruzione del dominio maschile. Altrettanto cruciale è quello che, con Carla Lonzi, possiamo continuare a chiamare l’«archetipo della proprietà», ossia il corpo delle donne come oggetto sessuale e di esclusivo possesso del pater familias. Un tipo di proprietà e una forma di potere, che tradizionalmente i mariti hanno esercitato sulle mogli, così profondo e originario da sopravvivere a molte cesure rivoluzionarie – da quella francese del 1789 a quella russa del 1917 – e a qualsiasi ipotesi di teorie filosofiche contrattualistiche che rivendicavano i diritti civili e politici, non a caso a lungo riconosciuti solo agli uomini.

Questi due pilastri di un ordine sociale secolare sono stati certo rimessi in discussione e profondamente modificati nel corso di una stagione di grande cambiamento ascrivibile a pieno titolo al movimento femminista, che in Italia è stato diffuso, capillare, di massa. E che proprio sulla dinamica potere/sessualità ha incentrato la sua riflessione, il suo interesse teorico e le principali rivendicazioni politiche. È tuttavia evidente che la lunga serie di riforme giuridiche che ne sono scaturite – pur nella loro imprescindibile importanza – mai avrebbero potuto cambiare l’ordine simbolico legato al patriarcato.

È complice, pertanto, continuare a derubricare la violenza maschile come fenomeno residuale e in esaurimento, come flebile lascito di un passato destinato fisiologicamente ad esaurirsi. Anche perché il numero dei femminicidi non accenna a diminuire: altre 120 donne sono state uccise dai loro partner dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin, ha ricordato il padre Gino.

Il fenomeno ci interroga e rivela cambiamenti sociali più recenti: a dispetto di un’idea, purtroppo sempre attiva, che vede la storia come una linea evolutiva e progressiva, il fenomeno si intensifica in rapporto ad una crescita sistemica della violenza che riguarda l’incremento dei conflitti armati, la dimensione cruenta di una cultura visuale tremendamente pervasiva e anestetizzante soprattutto per i più giovani, una profonda trasformazione antropologica che rende sempre meno distinguibili i regimi di realtà da quelli dell’immaginario e del falso. Eppure, rispetto a tutte queste più recenti trasformazioni, si riattiva fortemente l’antico desiderio di un modello femminile presidio del legame sociale, garante di un ordine nazionale sovranista, divenuto essenzialmente corpo silenziato e assoggettabile. Fenomeni complessi e in parte contraddittori dei tempi che attraversiamo.

Noi continueremo ad approfondire il tema, anche a partire da una nuova prospettiva: quella che indaga sulle tante strategie attuate dai soggetti troppo semplicisticamente rappresentati come vittime, come prede prive di difesa e invece protagonisti di storie di resistenza e di autodifesa sul piano dell’immaginario e dei saperi.>>

*L’autrice è presidente della Società italiana delle storiche.

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La libertà di scegliere di Laura Sabbadini su La Repubblica

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