Tassa di scopo per la Sanità
Paolo Russo è uno dei giornalisti più impegnato nell’attività di reportage e d’inchiesta sulla sanità e l’assistenza, pubblicati su La Stampa. Sono pochi i giornalisti capaci di analisi e di sintesi sorrette da dati incontestabili e comprensibili. Una caratteristica che da parecchio tempo sfugge alla gran parte dei sindacalisti che rilasciano periodiche interviste per “dare la linea giusta” ai lavoratori, con frasi spesso troppo generiche, ancorché condivisibili. I segretari generali di Cgil, Cisl, Uil sono chiamati, nella pausa estiva, a rimettere insieme i cocci di una unità d’azione che si sta perdendo. La sanità e l’assistenza è il campo primario per salvaguardare diritti universali e in particolare per milioni di cittadini che non possono più avvalersi di quanto è sancito nella Costituzione (art.32) e nella legislazione riguardante il Servizio Sanitario Nazionale. E’ un grande impegno per i sindacati che hanno meno dimestichezza di un tempo con i numeri e la matematica (ingredienti per una democrazia responsabile) che consentono di ben rispecchiare la realtà indicando le ingenti risorse necessarie per modificarla a favore delle classi popolari meno abbienti. E ciò richiede una tassa di scopo, più ampia di quella citata nell’articolo di Paolo Russo, per ridare ossigeno al SSN. Cgil, Cisl e Uil hanno il coraggio e la forza per tale necessaria rivendicazione?
La Cisl ha sulle spalle una grande responsabilità per ricucire o meno l’unità con la Cgil e Uil, essendo l’organizzazione che concede un grande credito ai tavoli del dialogo (assai lontani da reali negoziati) e recentemente ha elaborato e reso, in un convegno a Roma il 14 luglio, un chiaro e ben condivisibile documento programmatico in 16 punti (vedi allegato) per il rilancio della sanità, puntando a un dialogo costruttivo con il governo per costruire un vero e proprio patto per il welfare mettendo al centro la cura della persona e il valore del lavoro. Luigi Sbarra ha illustrato il significato di quel documento nell’intervista rilasciata lo stesso giorno al Mattino (vedi allegato), rispondendo anche alla domanda “dove reperire le risorse?” per investire decine di miliardi nella sanità nella convinzione che assicurando il diritto alla cura e alla salute, si sostiene anche la ripartenza della crescita economica, sociale e morale del Paese. Così ha risposto il segretario generale della Cisl: «Bisogna utilizzare fino all’ultimo centesimo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, non escludendo il ricorso, in tutto o in parte, agli stanziamenti del MES sanitario. Parliamo di 37 miliardi di euro erogati a un tasso di interesse agevolato, esattamente come la gran parte delle dotazioni del Pnrr. Bisogna elevare il prelievo sugli extraprofitti, sulle grandi rendite finanziarie e immobiliari, e inasprire la lotta all’evasione, recuperando parte dei 100 miliardi sottratti alla collettività ogni anno».
Dove casca l’asino? – espressione usata per sottolineare una particolare difficoltà, o anche un tranello, un inganno e simili, https://dizionari.corriere.it/dizionario-modi-di-dire/A/asino.shtml – La risposta di Luigi Sbarra sembra dimenticare che: 1- il Pnrr finanzia la sanità solamente per investimenti (edifici, macchinari, logistica, e simili) ma non per il personale chiamato a renderli operativi; 2- che la richiesta per ottenere finanziamenti agevolati dal MES Sanità aveva una scadenza per la richiesta a dicembre 2021 e riguardava la pandemia (vedi allegato); 3 – non si precisa alcuna indicazione concreta su come e quanto elevare il prelievo sulle grandi rendite finanziarie e immobiliari (è stata forse presentata in via informale al governo?).
Il sindacato confederale e la Cisl cosa pensano sulla proposta dell’anziano esperto Silvio Garattini? Che pensa al rilancio del Servizio Sanitari Nazionale imperniata su due punti: aumentare gli stipendi del 30% in cambio dello stop alle attività di intramoenia delle visite specialistiche a pagamento. In allegato l’intervista di Silvio Garattini.
Di seguito l’articolo di Paolo Russo “Sanità buco da 15 miliardi“, su La Stampa del 31 luglio . << Corroso dall’inflazione, smangiucchiato dai costi dei rinnovi contrattuali dei medici, con un miliardo di rimborsi da parte delle industrie del biomedicale che balla, il finanziamento pubblico della nostra sanità nel 2024 si perde per strada qualcosa come 15,2 miliardi.
Basta infatti fare due conti sui dati del Def, il documento di economia e finanza del governo, per scoprire che dal 2021 al 2024 il fondo sanitario nazionale salirà pure da 127,8 a 132,7 miliardi, pari a un più 4,9 miliardi, ma in termini di reale capacità di spesa fa un salto all’indietro dell’11,5%, a causa dell’inflazione sanitaria, anche più alta di quella generale, e dei 2,5 miliardi per il rinnovo contrattuale 2019-21 dei camici bianchi. Soldi già stanziati dall’esecutivo e comunque vincolati, ma che sempre dentro il fondo sanitario stanno.
Così l’ammanco è da far tremare i polsi. Soprattutto quelli dei governatori, oltre la metà dei quali vede all’orizzonte lo spettro del commissariamento e dei piani di rientro, che si traducono poi in taglio delle prestazioni e blocco delle assunzioni.
Tutto il contrario di quel che serve in questo momento per accorciare le chilometriche liste di attesa e recuperare i milioni di prestazioni saltate durante il Covid. Per non parlare del fatto che le nuove strutture sanitarie territoriali, case e ospedali di comunità, sono sì finanziate dal Pnrr, ma solo per quel che concerne mura e macchinari, mentre i costi non indifferenti per medici e infermieri che dovranno lavorarci dovranno spuntare dal sempre più asfittico fondo sanitario.
Tutto questo lo sa bene il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che domani si presenterà davanti al collega dell’Economia Giancarlo Giorgetti per chiedere 3-4 miliardi aggiuntivi nella prossima manovra. Il resto di quel che manca nel piatto dovranno metterlo le Regioni, risparmiando su cure inappropriate e reparti ospedalieri che vanno sotto giri con tassi di occupazione dei letti a volte sotto il 50%, mentre in altri non c’è spazio.
Ma, spalleggiato da spezzoni importanti della maggioranza di governo, Schillaci calerà sul tavolo del Mef un jolly, quello di una tassa sul gioco d’azzardo per finanziare la sanità. L’idea l’ha già fatta sua il senatore di Fratelli d’Italia Franco Zaffini, presidente della commissione Sanità e Lavoro di Palazzo Madama. «La sanità per una volta deve fare “bingo” – dice il senatore – e allora quale modo migliore che pensare a una “fiche” su giocate e scommesse effettuate con strumenti di pagamento elettronico, attualmente non soggette al prelievo erariale, a un suo incremento sulle vincite e ancora a un aumento dei canoni di concessione dei giochi online».
In pratica una tassa di scopo che, oltre a finanziare la sanità pubblica, garantirebbe anche una maggiore tracciabilità del gioco e dei giocatori e dunque realizzerebbe un contrasto all’eccesso e alla ludopatia. Il ragionamento verrà ripetuto pari pari da Schillaci a Giorgetti, ma con i tassi in aumento decretati dalla Bce e il conseguente incremento degli oneri per il debito pubblico, gli spazi di manovra per il prossimo anno restano ristretti.
In più sui conti della sanità pesano altri due macigni oltre a quello dell’inflazione. Il primo è il rinnovo del contratto dei medici. Quello del triennio 2019-21 finirà per andare alla firma a settembre per le resistenze dei sindacati a chiudere senza garanzie su turni di lavoro meno massacranti e recupero delle ore extra effettuate, che portano i camici bianchi a regalare in media 300 ore a testa l’anno.
Nonostante si parli di aumenti mensili in busta paga contenuti tra i 240 e i 290 euro lordi, il costo dell’intesa supera i due miliardi e mezzo per via degli arretrati, oltre 10 mila euro a medico. Soldi che il governo ha già stanziato e che sono nel fondo sanitario di quest’anno, ma che tra via libera della Corte dei Conti e approvazione del Consiglio dei ministri finiranno nelle tasche dei dottori con il nuovo anno. Parliamo di risorse vincolate che le Regioni devono aver accantonato nei loro bilanci. Ma siccome alla fine, pur non avendo speso quei soldi per i medici, i conti della sanità regionale nella maggior parte dei casi sempre in rosso saranno, Schillaci dovrà ben vigilare che le risorse per finanziare l’accordo si spostino sul 2024, perché altrimenti sarebbe come tagliare 2,5 miliardi al comparto.
Ma la stangata più grossa arriverà con il rinnovo del contratto 2022-24, quello che deve recuperare le quote di retribuzione divorate dall’inflazione e senza il quale i sindacati di categoria, compresi quelli del restante personale sanitario, promettono scioperi a rischio paralisi di Asl e ospedali. Quanto verrà stanziato non è dato sapere, ma una cosa è chiara: anche in questo caso i numeri del fondo sanitario dovranno essere rivisti all’insù per un pari importo perché altrimenti ci troveremmo di fronte a un taglio nemmeno troppo occulto.
Infine c’è il miliardo di rimborsi che le industrie dei dispositivi medici, quelle che riforniscono la sanità dalle siringhe alle tac, dovrebbero versare a ripiano dello sfondamento di spesa di un tetto in verità ampiamente sottostimato. Il governo ha deciso proprio mercoledì di far slittare il pagamento dal 31 luglio al 30 ottobre. Ma sul cosiddetto pay back pende una sospensiva del Tar Lazio che ha dato forza alle 1.800 aziende che hanno presentato ricorso. Altri soldi che ballano in una sanità sempre più a corto di ossigeno. >>
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