Repubblica fondata sul lavoro?
l’Italia è ancora una repubblica fondata sul lavoro? Un’analisi su come sono attuati gli articoli 4, 36 e37 della Costituzione. Uno studio di Mauro Zangola aggiornato a novembre 2022.
Mauro Zangola così inizia. < Finalità e contenuti dello studio . L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro come sancisce l’articolo 1 della Costituzione Italiana?
A questo interrogativo oggi più che mai di grande attualità cerchiamo di rispondere attraverso un’analisi diretta a verificare se e in quale misura gli articoli della Costituzione che parlano di lavoro hanno trovato attuazione nell’attuale contesto italiano. In particolare, intendiamo soffermare l’attenzione sui dettami contenuti nei seguenti articoli.
- l’art. 4: la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono efficace questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società;
- l’art. 36: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se a alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa,
- l’articolo 37: la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Per ciascuno dei predetti articoli riportiamo qui di seguito i risultati delle analisi svolte con l’intento di mettere a confronto l’attuale situazione del mondo del lavoro e del non lavoro nel nostro Paese con quella ottimale disegnata dalla Costituzione 75 anni fa. Le principali fonti dei dati utilizzate per lo svolgimento delle analisi sono le consuete rilevazioni sul mercato del lavoro svolte dall’ISTAT, dall’INPS, dal Ministero del Lavoro e da Eurostat per mettere a confronto la situazione italiana con quella degli altri Paesi europei…>
Seguono 15 pagine con brevi capitoli e molti dati. (vedi testo allegato)
Mauro Zangola termina il suo studio con queste conclusioni
< L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro come sancisce l’art. 1 della Costituzione?A questo interrogativo, più che mai attuale, abbiamo scelto di rispondere andando a vedere come sono attuati gli articoli della Costituzionesui quali si fondala previsione dell’articolo 1. Lo abbiamo fatto attraverso una lettura molto attenta e approfondita degli indicatori statistici per far emergere chi usufruisce del diritto al lavoro e chi ne è escluso (art. 4); per verificare se la retribuzione garantisce al lavoratoreun’esistenzaliberae dignitosa (art. 36); se le donne hanno pari diritti al lavoro degli uomini (art.37).Il quadro emerso è a dir poco sconfortante. I progressi registrati sul piano congiunturali sono confortanti, ma i problemi di fondo rimangono irrisolti. A rendere il quadro più drammatico ci pensa il confronto con gli altri Paesi Europei nei confronti dei quali vantiamo una lunga serie di primati negativi.
In Italia lavora il 60% circa della popolazione di età compresa i 15 e i 64 anni. Tra il 2004 e il 2021 il tasso di occupazione è cresciuto solo di mezzo punto percentuale; in compenso il divario fra Nord e Sud, già molto alto, è cresciuto di 4 punti.Al Sud lavorano 5.6 milioni di persone in meno che al Nord. Se in Italia lavorasse la stessa percentuale di cittadini che lavorano in Svezia avremmo oltre 5 milioni di italiani occupati in più rispetto ai 22,8 milioni attuali. Nell’ultimo anno gli occupati sono cresciuti, ma mancano ancora 259.000 lavoratori per recuperare i livelli del 2019, prima dell’inizio nella crisi pandemica
Nonostante i miglioramenti registrati nell’ultimo anno, in Italia poco meno di 2 milioni di persone sono ancora alla ricerca di un’occupazione. Più della metà dei disoccupati sono senza lavoro da più di 12 mesi. Il 34,8% delle persone in età lavorativa (circa 13 milioni) è fuori dal mercato del lavoro. Anche gli inattivi sono diminuiti negli ultimi 12 mesi: una magra consolazione visto che abbiamo il tasso di inattività più alto in Europa. Cresce il numero dei giovani NEET; sono un quarto dei 15-29enni; la quota più alta, manco a dirlo, in Europa.
In Italia i giovani tra i 15 e i 34 anni sono una risorsa sempre più scarsa. Tra il 2010 e il 2021 sono diminuiti di un milione e mezzo.Quelli occupati sono 5,2 milioni ancora al di sopra dei livelli pre-crisi pandemica. I disoccupati sono 832.000; gli inattivi in età da lavoro 5,9 milioni. I giovani italiani lavorano molto meno dei coetanei europei: i tassi di occupazione dei nostri giovani sono al fondo della graduatoria europea; il divario con i tassi medi di occupazione europei è di15 punti per i 15-24enni e per 15-29enni.I giovani italiani aspettano, in media, 10 mesi prima di entrare nel mondo del lavoro; i coetanei europei solo 4.
Molti di quelli che lavorano, soprattutto se giovani e donne, lo fanno in situazioni di grave insicurezza a causa dell’esplosione del lavoro precario e discontinuo di breve e brevissima durata, della piaga della sovraistruzione e del part time involontario. Oggi l’area del disagio occupazionale, di cui fanno parte i dipendenti a tempo determinato, i disoccupati, gli inattivi in età da lavoro scoraggiati, sospesi o bloccati, i dipendenti in part time involontario, coinvolge 8,7 milioni di persone.
La disponibilità di un lavoro non è di per sé garanzia di una vita dignitosa se la retribuzione è molto bassa. Lo sanno i “lavoratori poveri”. Un fenomeno relativamente nuovo e in costante crescita che coinvolge un quinto dei lavoratori. In Italia il raggiungimento di una retribuzione dignitosa è reso problematico anche a causa delle disparità salariali e della loro stagnazione.
Il “lavoratore povero” rischia di diventare un “pensionato povero”.In Italia infatti una quota elevata di individui, costituiti in larga parte da giovani, corre seriamente il rischio di ricevere pensioni molto basse (fino a 700 euro nelle simulazioni riportate nel testo)edi diventare per questa via non solo “lavoratori poveri”,ma anche “pensionati poveri” a causa dei bassi salari, della frammentazione dei periodi lavorativi e delle basse aliquote di contribuzione. In Italia i divari di genere sono ancora tanti e ampi; basta scorrere la Tabella 3 riportata nel testo per rendersene conto. Se in Italia le donne avessero lo stesso tasso di occupazione degli uomini avremmo 3.000.000 di donne occupate in più di cui 300.000 giovani tra i 15 e i 29 anni.
Per far fronte alla situazione di incertezza e di insicurezza in cui si trovano a causa della mancanza e delle precarietà del lavoro, i giovani sono costretti a fare sempre più affidamento sulla famiglia di origine per contrastare lesituazioni di difficoltà, contenere i rischi e cogliere le opportunità che dovessero presentarsi.
Il ricorso crescente al “welfare familiare” crea un sistema iniquo atto a confermare se non addirittura a estendere le diseguaglianze sociali. Un tale sistema di sicurezza può funzionare solo quando c’è una famiglia alle spalle, quando questa ha risorse sufficienti per farlo. Purtroppo la realtà è ben diversa. In Italia, secondo l’ISTAT ci sono 2 milioni di famiglie in povertà assoluta; altri 2,8 milioni di famiglie sono in condizione di povertà relativa; poco meno di un terzo delle famiglie italiane si trova in una situazione di debolezzaeconomica.
Alla luce di questi dati che risposta diamo al quesito che è alla base di questo studio: l’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro? Non lo è, almeno fino a quando il lavoro, dopo essere stato trascurato e maltrattato, tornerà al centro dell’attenzione, della vita economica e sociale. Ciò richiede una vasta riflessione ai massimi livelli su cosa è diventato il lavoro e sul ruolo che ricopre nell’economia e nella società italiana.
Oggi la mancanza, la precarietà e la povertà del lavoro creano diseguaglianze tra gli individui e le famiglie; ostacolano la crescita professionale e la mobilità sociale; alimentano incertezza e insicurezza soprattutto tra i giovani ponendoli in una situazione di marginalità nell’economia e nella società.Di fronte a questa realtà è legittimo chiedersi: è questo il lavoro che vogliamo? È questo il lavoro che avevano in mente i nostri “padri costituenti”?
A queste domande è urgente dare risposte prima che il deterioramento della situazione economica in Italia e nel Mondo aggravi ulteriormente la situazione di chi è dentro e fuori il mondo del lavoro.
Nessuno può sentirsi escluso; tutti sono responsabili: le imprese prima di tutto, nodo centrale per la buona uscita di qualunque riforma, la Scuola a tutti i livelli, il sindacato, le grandi Città che non possono trincerarsi dietro la mancanza di competenze; le Regioni e lo Stato reo di delegare alle famiglie politiche di Welfare che sono di sua spettanza in periodi di emergenza come quello che stiamo vivendo.
Il PNRR e gli altri Fondi Europei gestiti dalle Regioni se ben utilizzati potranno creare lavoro, ma il loro contributo rischia di essere limitato se non saranno risolti i nodi strutturali prima richiamati; se i nuovi posti di lavoro avranno le stesse caratteristiche negative di quelli che sono al centro della nostra analisi. Servono impegni precisi da tradurre in provvedimenti legislativi che realizzino in concreto un “new deal” del lavoro nel nostro Paese. È un impegno che dobbiamo prima di tutto nei confronti delle nuove generazioni se non vogliamo che diventino lavoratori e pensionati poveri, posti sempre più ai margini della società.>
Apprezzo molto il lavoro di Mario Zangola qui presentato. Purtroppo non fa che confermare il fatto, da sempre evidente, che l’art.4 della Costituzione è lettera morta. Ciò che, se possibile, è ancora più grave è il fatto che nessuno tra i sindacati ed i partiti politici si sia mai fatto carico di provare a dare una qualche forma di attuazione a questo articolo fondante della nostra Costituzione e quindi del nostro vivere civile.
In un documento presentato nel 2020 ai sindacati ed alla Sindaca di Torino Chiara Appendino un gruppo di aderenti all’associazione “non è mai tardi”, tra cui il sottoscritto, ha avanzato una proposta, economicamente e organizzativamente sostenibile, per avviare nella città di Torino una sperimentazione volta a dare attuazione a quanto previsto nell’art.4 della Costituzione.
Chiara Appendino ha risposto alla proposta dicendo di condividerla Si era anche impegnata a inviare da parte della Città di Torino un documento al Governo per richiedere la sperimentazione e di farcene avere preventivamente la bozza in modo da consentirci di contribuire a migliorarla. E’ stato un impegno completamente disatteso.
I sindacati non hanno dato alcun segno di interesse e non si sono neppure resi disponibili ad un incontro con i proponenti per esaminare la proposta.
Riporto solo alcune frasi tratte dal documento:
“… Quanto previsto dall’art 4 non è facile da realizzare, ma bisogna almeno credere che valga la pena di provarci…
… Dalla piena accettazione della sfida politica e culturale che ci pone la Costituzione deriva la necessità di affrontare i problemi pratici che ne conseguono. Per farlo occorre innanzitutto prendere atto che la dinamica di mercato, su cui si basa la nostra economia, non è strutturalmente idonea a conseguire la piena occupazione. Anche i modelli più avanzati ed efficienti di flexicurity, come quello danese, non sono in grado di far fronte a situazioni di squilibrio strutturale tra domanda ed offerta di lavoro dipendente, come quella che stiamo vivendo …
… E’ importante ripensare i meccanismi di attuazione del reddito di cittadinanza per puntare più in alto e farne uno strumento finalizzato a non lasciare nessuno senza la dignità di guadagnare quanto gli serve per vivere una vita libera e pienamente umana. E’ importante che questa sfida sia assunta come bandiera qualificante da chi ha veramente a cuore il problema della povertà e della dignità delle persone…
… Non è una sfida utopistica. La cooperazione sociale di tipo B ha ampiamente dimostrato i grandi vantaggi che si possono ottenere, sia sul piano individuale che su quelli sociale ed economico, dando la possibilità di svolgere un lavoro regolarmente retribuito (non lavoretti fine a se stessi) anche a soggetti afflitti da inabilità fisiche e psichiche …”
Seguivano poi le proposte che non è ovviamente qui possibile richiamare.
Non oso sperare che le conclusioni a cui giunge la ricerca di Zangola trovino qualche interlocutore disposto a prenderle sul serio ed a trarne le conseguenze ma … sento profondamente la tristezza di non riuscire neppure più a sperare che a qualcuno interessi impegnarsi per attuare la Costituzione.