PREVISIONI E ALLUVIONI – M.Dellacqua – territorio & ambiente – 8/11/11

Mi fermo, mentre sul teleschermo scorrono le immagini della tragedia genovese: genitori che hanno perduto i figli, famiglie senza casa, negozio, lavoro e automobile alla quarta alluvione. La chiusura delle scuole avrebbe risparmiato alcune vite umane e non aver provveduto è una grave responsabilità.

Capisco pertanto il fiume in piena della contestazione che travolge il Sindaco di Genova. Ma per il resto, mi sento solidale con Marta Vincenzi non meno che con le vittime del disastro. Le hanno gridato vergogna, dimissioni, c’erano gli alberi nel greto dieci giorni prima e non vi decidete a pulirlo. A caldo, così ho pensato…mentre sono a tavola, senza rinunciare ad agnolotti,  un po’ raffreddati,  e nebbiolo.

Dubito che si possano trasferire sull’autorità politica locale responsabilità che sono collettive, anche se ogni circostanza può far comodo per colpire un avversario politico. Gli avversari politici vanno battuti con i buoni argomenti, le buone proposte e il costante esercizio del controllo democratico degli atti amministrativi, non certo speculando sulle disgrazie comuni.

Le alluvioni  arrivano dalla combinazione micidiale di due eventi: la progressiva tropicalizzazione del clima e la progressiva copertura della terra con colate di cemento e di asfalto.

Del primo evento può essere ritenuto colpevole ogni Sindaco se continua a sostenere come migliore dei mondi possibili un modello di sviluppo fondato sul mito produttivista della crescita illimitata che comporta la consumazione selvaggia della natura, dell’aria e dell’acqua. E’ quel modello di sviluppo il colpevole del surriscaldamento del pianeta e dell’alterazione del clima che scioglie i ghiacciai. Ma dirlo non porta consensi e passi per romantico sognatore del ritorno all’arcadia di un’economia silvo-pastorale.

Del secondo evento, ogni Sindaco invece è responsabile avendolo autorizzato. Ma i cittadini che ora protestano contro la cementificazione del territorio, dove erano quando venivano approvati piani regolatori che favorivano circonvallazioni e, subito a ruota, incremento delle volumetrie edificabili? Molti presentavano osservazioni per chiedere che anche il loro terreno venisse riconosciuto edificabile. Molti chiedevano un aumento della cubatura per non fare figli e figliastri. Molti acconsentivano. Altri disapprovavano senza scaldarsi troppo. Altri ancora stavano zitti, allineati e coperti. Altri ancora dicevano che se l’edilizia non va avanti i muratori non possono andare a mangiare a casa tua. I governi di centrodestra aggravavano la situazione con la pedagogia dei condoni che monetizzava gli attentati all’integrità del territorio fabbricando una copertura legalitaria ex post ai responsabili degli scempi. Naturalmente i piccoli venivano presi in ostaggio ed esibiti a tutela dei grandi.

Dico queste cose non solo in forma autocritica (essendo stato amministratore comunale a cavallo tra i due secoli), ma perchè l’esasperazione a babbo morto non costruisce niente, anche se costituisce la reazione più semplice e prevedibile. La regolarità periodica delle esondazioni, non la loro eccezionalità, ci chiama ad una rivoluzione democratica del pensiero economico e dei comportamenti collettivi.

Ci vorrebbero più risorse di attivismo umano e intellettuale (proposte da elaborare, costante monitoraggio della produzione deliberativa) capaci di collaborare con gli enti locali (o di criticarli) per ottenere spese in favore del risparmio energetico, di una minore produzione di rifiuti e/o di un loro smaltimento ecologico, del riassetto idrogeologico del territorio, della pulizia dei canali, della costruzione concertata di aree golenali e della manutenzione degli argini.

E basta nuove costruzioni. Siamo pieni di aree industriali dismesse, di case nuove e vuote. Non abbiamo bisogno di nuove abitazioni e di nuovi centri commerciali. Quella della concorrenza che fa abbassare i prezzi e porta posti di lavoro è una gran balla. I prezzi aumentano da soli e l’occupazione guadagnata dai supermercati, quando va bene, compensa quella crollata nel piccolo commercio.

Non illudiamoci, sostituendo il ceto politico, di evitare le conseguenze del sistematico dissesto idrogeologico che abbiamo determinato, subito o non adeguatamente contrastato. Dico molto di più: possiamo e dobbiamo gettare le basi di una politica capace di rispettare le nuove generazioni, mentre finora le stiamo prendendo in giro o per la gola. Prima sentiamo la responsabilità di farlo, meglio è. A costo di riconoscere i nostri errori e di non presentare come raccomandabile o addirittura esemplare il curriculum politico-amministrativo della generazione a cui apparteniamo o della famiglia politica che abbiamo sostenuto.

 

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