Occhio per occhio e il mondo diventa cieco

In medio oriente, come in altre parti del mondo dove le guerre e la violenza dilagano, si avvera la profezia di Gandhi: Occhio per occhio e il mondo diventa cieco”. Con questo richiamo Marco Travaglio chiude la serie di puntate (cinque, dal 14 al 19 ottobre sul Fatto Quotidiano) con le quali ricostruisce il contesto storico del conflitto e delle guerre tra Palestina e Israele, tra arabi e ebrei, fino al tremendo e orrendo pogrom del 7 ottobre per mano di Hamas e alle vicende degli ultimi giorni. Inizia, nella prima puntata, non dalla Bibbia, come fanno parecchi fondamentalisti di Israele, ma dalla storica decisione dell’ONU, del 29 novembre del 1947, con 33 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astenuti che dà il via alla spartizione della Palestina mandataria in due Stati: uno ebraico, comprendente il 56% del territorio, l’altro arabo, sulla parte restante, mentre Gerusalemme sarebbe stata corpus separatum sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite. Gli stati arabi rifiutano tale scelta e inizio la prima guerra (…).  Ricostruire il contesto storico serve per individuare vie d’uscita dalla violenza endemica e dalle guerre che da decenni seminano odio tra due popoli che si contendono la stessa terra. Solo ripartendo dalle risoluzioni dell’Onu, a turno non rispettate prima dai palestinesi e poi dagli ebrei israeliti, si può ricostruire un percorso di pacificazione con la costruzione di due stati autonomi che si riconoscono e si rispettano.  

Le bandiere d’Israele e Palestina –

Nella prima puntataL’Onu disse “due stati” ma ne nacque uno solo, si legge <<…Ma nel 1946 la tensione è di nuovo all’acme. Navi cariche di profughi scampati ai lager si presentano sulle coste palestinesi e vengono ricacciate indietro dalle autorità britanniche. Per rappresaglia, il 22 luglio l’irgun Zwei Leumi, formazione paramilitare sionista, fa saltare in aria un’ala del King David Hotel, sede del quartier generale inglese: 90 morti. Il comandante della spedizione è Menachem Begin, futuro premier d’israele e premio Nobel per la Pace. Poi finalmente il 2 aprile 1947, Londra annuncia il ritiro dalla Palestina entro due mesi. L’Onu e i due Stati. Alle Nazioni Unite si inizia a discutere della spartizione della Palestina cisgiordana in due Stati. Anche l’ambasciatore sovietico Andrej Gromyko si dice favorevole. E alla fine i Sì sono 33, contro soli 13 No.  Lo Stato ebraico comprenderà il deserto del Negev, la fascia costiera centro-settentrionale e la Galilea orientale: complessivamente il 55% del territorio, dove vivono 500 mila ebrei e 497 mila arabi. Lo Stato arabo avrà il restante 45%, con la parte centrale della Palestina, più la striscia di Gaza e la fascia sottostante tra il Negev e il Sinai, dove risiedono 725 mila arabi e 10 mila ebrei. E Gerusalemme? “Zona internazionale” sotto l’egida dell’Onu. Gli inglesi, prima di andarsene, fanno un ultimo dispetto a Israele, permettendo che il grosso delle loro armi e munizioni passi agli arabi. I quali però, aizzati dagli Stati “amici”, non accettano la risoluzione Onu.  Scioperi, devastazioni, incursioni armate, massacri di ebrei. Poi, nei primi mesi del 1948, un “esercito di liberazione arabo” di 5 mila uomini attacca Israele e in pochi giorni isola Gerusalemme, il Negev e la Galilea dai restanti territori ebraici. Ma in aprile gli ebrei riprendono il controllo delle principali città, da cui – in parte spontaneamente e in parte spintaneamente – fuggono in massa le popolazioni arabe….>>. Per proseguire v. allegato

Nella seconda puntata Territori occupati”:ecco quando e perché si ricostruisce la storia dal 1967 al 1982- Dalla guerra dei Sei Giorni nasce uno Stato che si trasforma da Davide a Golia. L’Onu vara una risoluzione sulle terre da ridare in cambio di pace, tuttora disattesa. Dal Kippur a Camp David  – Cinque anni dopo il blitz egiziano ribaltato da Tel Aviv, nel 1978 Begin e Sadat firmano la pace. Si legge << … La  guerra dei Sei Giorni dura quanto la creazione del mondo e scoppia per una serie incredibile di equivo­ci. Il 7 aprile 1967 il governo israeliano del pur mite presi­dente Levi Eshkol (che ha pre­so il posto di David Ben Gurion) risponde all’ennesimo attacco siriano dalle alture del Golan contro contadini e pe­scatori dell’Alta Galilea: sei Mig sovietici nuovi di zecca ap­pena arrivati da Mosca a Da­masco vengono abbattuti. Così anche la Siria – che ha iniziato a foraggiare al Fatah, l’organiz­zazione palestinese fondata da Yasser Arafat e protagonista di continui attacchi terroristici contro Israele – ha una gran se­te di vendetta. Il 3 maggio re Hussein di Giordania, inviso alla Siria per il suo doppio gio­chismo, firma un accordo mi­litare con Nasser, pone il suo esercito (la mitica legione Ara­ba) sotto il comando egiziano e consente il rientro del capo dell’Olp Ahmed Shukeiri a Ge­rusalemme Est per riprendere la propaganda di annienta­mento d’Israele. L’Urss preme su Nasser perché solidarizzi con Damasco, con cui ha sigla­to nel novembre 1966 un patto di mutua assistenza militare. Nasser non è pronto a un’altra guerra (il meglio del suo eser­cito è impegnato nello Yemen) e nicchia. Ma Mosca lo imbot­tisce di fake news su un immi­nente attacco israeliano alla Siria. Nasser se la beve e si pre­para allo scontro con la più classica delle provocazioni. (…) >> Per proseguire aprire allegato

Storico accordo di Oslo – 13-9-1993

Nella terza puntata – Dall’intifada e gli Scud al blitz di Oslo, quando la pace sembrava vera – Vincere senza reagireAi missili sulle città, Shamir non risponde e induce Saddam e Arafat a trattare per non sparire. Così inizia <<  La guerra libanese del 1982 e l’indagine su Sabra e Chatila lasciano Israele sotto choc per un bel pezzo. I nemici, anziché indebolirsi, si rafforzano e si moltiplicano. Soprattutto l’Iran dell’ayatollah Khomeini, che nel ’79 ha spodestato lo Scià, prepara la bomba atomica (Tel Aviv ha bombardato il suo reattore nucleare di Osiraq nell’operazione Babilonia del 1981) e patrocina Hezbollah, il “partito di Dio” che riunisce un milione di sciiti nel Sud del Libano, ma è presente anche in Siria e nel Golan occupato da Israele. E martella con missili e razzi i kibbutz dell’alta Galilea. Ogni guerra fomenta nuovo terrorismo, anziché spegnerlo. E dal 1981 è venuto a mancare un argine fondamentale all’estremismo: il presidente egiziano Sadat, assassinato da un killer della Jihad per punirlo della pace con Israele e rimpiazzato dal vice Hosni Mubarak. Neppure i palestinesi se la passano bene, sempre più ostaggi di Israele nei Territori, ma anche stritolati dai finti amici arabi che li usano per giocare ciascuno la propria partita. Arafat e gli altri capi dell’olp, espulsi nel 1971 dalla Giordania dopo averla incendiata, vengono cacciati anche dal Libano e traslocano in Tunisia, con strascichi di polemiche interne per i troppi lussi. (…)

Miracolo a Oslo. Il 13 settembre 1993, dopo un anno di trattative top secret, mediate in parte dalle amministrazioni americane di Bush padre e di Bill Clinton (che s’è insediato alla Casa Bianca in gennaio) e in parte dall’Ue con l’avallo della Russia di Boris Eltsin, Rabin e Arafat firmano a Oslo uno storico accordo di pace. L’Olp rinuncia formalmente alla lotta armata e riconosce a Israele il diritto di esistere; Israele riconosce l’Olp come rappresentante del popolo palestinese, con il diritto di governare su una buona porzione dei territori occupati nel 1967. Nella Dichiarazione di principio su un’autonomia palestinese transitoria di cinque anni siglata dai due leader, Israele si impegna a ritirarsi entro il 1998 da gran parte della striscia di Gaza e Cisgiordania e di affidarle a una Autorità nazionale palestinese (Anp). La Cisgiordania sarà divisa in tre zone: la A sotto il pieno controllo dell’Anp, la B cogestita da palestinesi (per gli aspetti civili) e israeliani (per la sicurezza), la C (la più folta di insediamenti ebraici) ancora sotto Israele. Alcuni dei nodi più intricati – Gerusalemme, i rifugiati palestinesi e le colonie israeliane – sono rinviati a un nuovo negoziato. Rabin e Arafat vengono ricevuti sul prato della Casa Bianca da Clinton e dall’altro garante dell’accordo: il ministro degli Esteri russo Andrei Kozyrev. Un anno dopo vengono insigniti, insieme a Peres, del premio Nobel per la Pace. (…) >> Per proseguire aprire l’allegato

Nella quarta puntata10 anni di stop&go – Rabin ucciso, Arafat morto e le due mosse di Barak e di SharonUn ebreo fanatico ammazza la speranza e scoppia la seconda Intifada, poi il vecchio “falco” Ariel spariglia i giochi – I sogni muoiono all’alba, ma anche la sera. Tel Aviv, piazza dei Re d’Israele, 4 novembre 1995, ore 21.30. Il premier Yitzhak Rabin termina il suo discorso a una manifestazione di sostegno agli accordi di Oslo che dilaniano il Paese: “Vorrei ringraziare ognuno di voi che è venuto qui oggi a manifestare per la pace e contro la violenza. Questo governo, che ho il privilegio di presiedere con il mio amico Shimon Peres, ha scelto di dare una possibilità alla pace, una pace che risolverà la maggior parte dei problemi di Israele… La via della pace è preferibile alla via della guerra. Ve lo dice uno che è stato un militare per 27 anni”. Poi scende dal palco e, mentre sta per raggiungere l’auto blindata della scorta, uno studente israeliano di estrema destra, Yigal Amir, gli spara due colpi di pistola. Rabin muore poco dopo in ospedale: ucciso, come Sadat 14 anni prima da un fanatico jihadista, per avere firmato la pace proibita. Ai suoi funerali a Gerusalemme, insieme a un milione di israeliani e a molti capi di Stato e di governo da tutto il mondo, partecipano diversi leader arabi che non hanno mai messo piede in Israele. (…) >> Per proseguire aprire l’allegato

Nella quinta puntataUn ictus cambia la storia. Sharon in coma, il voto “sbagliato” per Hamas, le porcate di Netanyahu – Il 18 dicembre 2005, quattro mesi dopo il ritiro da Gaza e un mese dopo la fondazione del partito Kadima, Sharon è colpito da ictus. Viene dimesso dall’ospedale due giorni dopo, ma il 4 gennaio 2006 una grave emorragia cerebrale lo mette definitivamente ko. A marzo, mentre è in coma, il suo vice Ehud Olmert vince le elezioni e diventa premier ad interim in attesa del suo risveglio. Che non arriverà mai: il suo cuore smetterà di battere otto anni dopo, nel 2014, quando il successore Netanyahu avrà riportato Israele indietro anni luce, vanificando gli sforzi degli ultimi statisti. Hamas vince le elezioni. Il 25 gennaio 2006, mentre Sharon lotta fra la vita e la morte in ospedale, i palestinesi di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est vanno alle urne per eleggere il loro Parlamento, il Consiglio legislativo dell’autorità nazionale (Anp). (…)

Ma i dati demografici sono impietosi: Israele ha 10 milioni di abitanti, di cui 7,5 ebrei, 2 palestinesi e 500 mila di altre etnie (tutti cittadini con diritto di voto); in Cisgiordania i palestinesi sono 3,5 milioni e a Gaza 2,4. Traduzione: i palestinesi sono ormai più degli ebrei e fanno più figli. Un’annessione della Cisgiordania consegnerebbe loro la maggioranza parlamentare e addio Stato ebraico. Sharon l’aveva capito nel 2005. Netanyahu neppure ora: nasconde la vecchia polvere sotto il tappeto e ne accumula di nuova.

Nove mesi di proteste. Nel 2022, per tornare al potere, arriva ad allearsi con Potere Ebraico del fanatico suprematista Itamar Ben-gvir: condannato per istigazione al razzismo contro i palestinesi, varie volte incriminato, celebre per aver minacciato pubblicamente Rabin due settimane prima del suo assassinio, Ben-gvir diventa ministro della Sicurezza nazionale. Il duo inizia a picconare la democrazia israeliana con due controriforme che demoliscono la divisione dei poteri: quella della giustizia espropria la Corte Suprema del potere di cassare le decisioni “irragionevoli” del governo (come ha appena fatto bloccando la nomina a ministro di un pregiudicato per corruzione e frode fiscale e come potrebbe rifare se Netanyahu fosse condannato); e quella dell’ordine pubblico crea una polizia speciale, la Guardia Nazionale per Israele, alle dipendenze di Ben-gvir. Due vergogne che spaccano il Paese: 40 settimane di proteste con migliaia di persone in piazza, inclusi militari e riservisti. Netanyahu frattanto continua a finanziare nuovi insediamenti in Cisgiordania: nel 1993, l’anno di Oslo, i coloni erano 110 mila, ora sono circa 500 mila (più 220 mila a Gerusalemme Est). Occupando ben 157 kmq di Territori, sono invisi ai palestinesi invasi ed espropriati di terre e falde acquifere. E costringono Israele a sforzi immani per proteggerli: 500 posti di blocco e gran parte dell’esercito ridotto a loro scorta armata.

L’ultima mattanza. Infatti è lì, sul fronte Nord cisgiordano e libanese, che il 7 ottobre 2023 stazionano 26 battaglioni, lasciando senza bussola i servizi segreti (un tempo i migliori del mondo) e sguarnito il fronte Sud di Gaza, presidiato da appena due compagnie di reclute e dalla polizia locale. E proprio sul fronte Sud alle 6.30 del 7 ottobre 2023, all’indomani del cinquantennale della guerra del Kippur, mentre Israele festeggia il Simchat Torah (“Gioia della Torah”), Hamas sferra l’operazione Alluvione Al-aqsa: 2.500 terroristi s’infiltrano da Gaza in Israele su autocarri, camioncini, moto, persino deltaplani e colpiscono vari kibbutz e un rave party. Lo Stato ebraico viene colto totalmente impreparato, malgrado gli allerta dei servizi egiziani e americani su un pericolo imminente. È una mattanza, la più grave strage di civili subìta da Israele: circa 1.400 uccisi in un giorno, compresi molti bambini e donne, e oltre 200 ostaggi. Netanyahu, giunto ormai al capolinea, tenta di ricompattare il Paese che lui stesso ha spaccato con un governo di unità nazionale. E scatena su Gaza l’operazione Spade di Ferro: 3.500 palestinesi morti, di cui mille bambini, in undici giorni. Si avvera la profezia di Gandhi: “Occhio per occhio e il mondo diventa cieco”. (5-Fine) – Per leggere il testo completo aprire l’allegato

Articolo correlato – Giorgio Ferrari in ” Tra le rovine di Gaza rinasce l'”araba fenice” dei Due Stati in pace” su L’Avvenire del 8 novembre, inizia così << Le proporzioni umanitarie della tragedia nella Striscia impongono un disegno che consenta alle parti un punto di contatto. E l’antica teoria di Oslo torna sulla scena…>> e conclude con questa considerazione << …Il viaggio del segretario di Stato americano Blinken nelle capitali mediorientali – se pur viziato dal sospetto e dall’ostilità ben dissimulata di molti – è finora l’unico dei tentativi di progresso che abbia riacceso lo sguardo sulla formula di Oslo e insieme la dimostrazione che l’intera famiglia araba, quella sciita iraniana come quella sunnita saudita, giordana, egiziana, turca, irachena hanno la possibilità di contribuire a quel miraggio dei Due Stati che da sempre la Santa Sede invoca e che sulla carta parrebbe irrealizzabile, ma che potrebbe ricondurre al dialogo Israele e l’Anp. I possibili sostituti sul campo già s’intravedono. Come il “figliuol prodigo” di Abu Mazen Mohammed Dahlan (in esilio dorato ad Abu Dhabi)o l’antico leader dell’intifada Marwan Barghuti, che sta scontando cinque ergastoli. La fenice sta ancora volando.>>. Il testo completo con questo link https://www.avvenire.it/mondo/pagine/utopia-due-stati

2 commenti
  1. salvatore mancuso
    salvatore mancuso dice:

    OCCHIO PER OCCHIO DENTE PER DENTE
    Il sette ottobre 2023
    Hamas
    colpì
    con violenza,
    Israele
    rispose
    con la mattanza.

    (7-novembre-2023)
    salvatore r. mancuso

    Non é cambiato niente, da quando valeva questa regola, in Medio Oriente.

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