La trappola dell’identità

La legge di bilancio 2026 inviata dal governo al Parlamento ha ricevuto severe critiche, con accenti diversi, dalle parti sociali, dalla Banca d’Italia, dall’Istat, dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb), da partiti della maggioranza e dell’opposizione. Tutti i sindacati – confederali, autonomi e di base – hanno espresso giudizi critici ma manifestano e scioperano con modalità e date differenti; tutti separati per affermare una loro identità: chi invoca la necessità del conflitto chi quella del dialogo. La Cgil dichiara uno sciopero da sola, non accadeva dal 2011 contro la manovra Berlusconi-Tremonti, non accogliendo la proposta di unificare le date avanzata dai sindacati di base (Cobas, Cub, Usb…).

La tutela dell’identità di organizzazione, sospinta dai vertici e dagli apparati sindacali, porta con sé due insidie micidiali per iniziative di unità d’azione: la prima, pensare che sia utile per la causa dei lavoratori seguire l’impulso del “…meglio da soli che mal accompagnati”; la seconda, rinunciare ai capisaldi dello Statuto dei lavoratori: condividere le scelte sia con le RSU sia con assemblee retribuite dei lavoratori convocate unitariamente.

Questa è la prima condizione per incidere, per contare.

Tutti separati secondo una identità ben definita dai media! Ben alimentata dai leader sindacali! Nell’arco di meno di un mese ben due scioperi generali e tre manifestazioni: Usb, Cobas,  Fisi, Cub scioperano venerdì 28 novembre e manifestano sabato 29. La Cgil sciopera il 12 dicembre, la Cisl manifesta a Roma il 13 dicembre. La Uil manifesta a Roma il 29 novembre. Le piazze si potranno riempire ma difficilmente si svuoteranno – oltre una percentuale maggioritaria – uffici e officine. Si daranno numeri a difesa delle identità confederali ma non si darà risposta alla prima richiesta dei lavoratori, scioperanti e non: “…fate proposte unitarie!”. E’ sempre stato così nella storia del sindacato per battersi, per confrontarsi con le controparti con possibilità di successo!

La strada da intraprendere è quella ben nota: sedersi attorno ad un tavolo non solo con i vessilli identitari ma ponendo attenzione a quanto scrivono noti esponenti del pensiero liberale in economia, a proposito del recupero del potere d’acquisto che non è possibile salvaguardare con la sola contrattazione come definita dal protocollo Ciampi del 1993 sottoscritto dalle Confederazioni sindacali e dei datori di lavoro.

Scrive Francesco Giavazzi in “Il potere d’acquisto perduto”, sul Corriere della Sera del 7 novembre: << Il sistema attuale di contrattazione non consente di tenere il passo con l’inflazione: per proteggere i salari serve una riforma. Il ministro Zangrillo si vanta di aver chiuso il contratto degli enti locali e della scuola con un aumento in busta paga del 6%. A differenza di Cisl e Uil, il segretario della Cgil Landini non lo firmerà. Non solo. Ieri ha proclamato uno sciopero generale contro la manovra per chiedere un aumento dei salari. Al di là delle polemiche sullo sciopero generale, polemiche soprattutto sul giorno della settimana scelto, la domanda che ci si deve porre è se le ragioni di quel no siano più o meno fondate.

L’inflazione accumulata nel periodo di vigenza dell’ultimo contratto è circa il 17%. Il nuovo accordo permette di recuperare un terzo dell’inflazione accumulata. Non basta per evitare una riduzione del potere d’acquisto. I nuovi salari lasceranno per strada circa l’11%.

Tutti i contratti intervengono a posteriori, non solo quelli della pubblica amministrazione. Non riescono quindi a tenere il passo con l’inflazione. Il contratto collettivo nazionale, che da sempre il sindacato difende, non è il sistema migliore per garantire il potere d’acquisto dei salari. I sindacati si troveranno sempre a dover affrontare un problema di recupero del potere d’acquisto.

Fu Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, applicando una proposta dell’economista Ezio Tarantelli che per questo fu ucciso dalle Brigate rosse, a cambiare in modo radicale la contrattazione stabilendo che i contratti dovessero essere firmati guardando alle aspettative di crescita futura dei prezzi, non alla crescita passata. In questo modo cancellò alla base gli effetti della scala mobile che rendeva persistente qualunque aumento temporaneo dell’inflazione. Una mina vagante nel sistema economico nazionale.

Ma la condizione perché la contrattazione riformata nel 1993 possa proteggere il potere d’acquisto dei salari è che il negoziato sia più rapido e frequente di quanto normalmente accade. Sono i ritardi, a volte anche di sette anni, come succede spesso, che non consentono ai salari di recuperare sul costo della vita. Dopo un aumento temporaneo dell’inflazione, i prezzi si fermano, come accadde nel 2022-23, ma l’aumento intanto accumulato nel livello dei prezzi non si recupera più se il contratto guarda solo all’inflazione attesa per il futuro. La contrattazione orientata al futuro difficilmente riuscirà a recuperare quanto perduto.

Chiedere al governo di usare l’arma fiscale è un errore. Usando le tasse, introdurrà altre distorsioni in un sistema fiscale già ampiamente variegato. Con il paradosso che ciascun lavoratore finirà per avere una sorta di aliquota speciale, come ha chiaramente spiegato il professor Marco Leonardi sul Foglio dello scorso 3 ottobre. (Ndr che trovate in allegato)

Si potrebbero considerare invece correttivi che incentivino alla contrattazione più frequente come accade in altri Paesi. Ad esempio una regola secondo la quale nel momento in cui un contratto scade e non si sia proceduto al rinnovo e quindi a un accordo, permetta di applicare aumenti che compensino l’inflazione passata.

Si violerebbe il principio che portò alla riforma della contrattazione nel secolo scorso. Ma una regola del genere toglierebbe al sindacato, e quindi anche a Landini, il potere contrattuale che si esercita al tavolo delle trattative. Garantire salari adeguati e quindi consumi è, assieme agli investimenti delle imprese, la chiave di un Paese che cresce.

Si tratta di uno snodo importante sia nelle relazioni sindacali sia in ciò che è più decisivo: la garanzia per i lavoratori di non vedere taglieggiati i loro salari dall’inflazione. Proprio Ciampi la definiva «la tassa più ingiusta» perché colpisce il potere d’acquisto dei salari e in modo progressivo penalizza i ceti meno abbienti.

Ma il mondo è cambiato e forse una riforma ideata nel secolo scorso, con ben altri poteri in campo sia sindacali sia politici, con una situazione e cicli economici completamente diversi, dovrebbe spingerci a ripensare la contrattazione. La riduzione della capacità di acquisto degli italiani è un prezzo troppo alto per proteggere il potere contrattuale dei Landini. >>

Nota 1 – L’articolo di Francesco Gavazzi ricorda la proposta di Ezio Tarantelli. E’ importante precisare che la stessa non ipotizzava il superamento della scala mobile ma la sua predeterminazione nei periodi di elevata inflazione, a due cifre. Inoltre nell’articolo di Giavazzi non si fa riferimento all’indice inflattivo misurato sul “carrello della spesa” che risulta più elevato dell’indice statistico medio Istat e dello stesso indice IPCA, riferimento per i rinnovi contrattuali.

Nota 2 – L’articolo di Marco Leonardi mette in discussione la detassazione degli aumenti contrattuali indicando gli effetti distorsivi, attribuendo – erroneamente – alla Uil questa scelta che è da tempo proposta da Cgil, Cisl e Uil.

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  • Adapt – Michele Tiraboschi e Francesco Alifano Il lavoro nella manovra 2026: guida ragionata alle posizioni di istituzioni e parti sociali –  Working Paper n. 14/2025 – Il contributo ( 24 pagine) mira a fornire una guida ragionata delle posizioni di istituzioni e parti sociali sulla manovra di bilancio per il 2026 e per il triennio 2026-2028 sulla base dei documenti acquisiti dalle competenti commissioni parlamentari nel corso dell’iter di approvazione della legge. Tra le misure previste dalla proposta di legge di bilancio, il presente lavoro si concentra unicamente su quelle di portata strettamente lavoristica e che maggiormente hanno destato l’attenzione degli attori istituzionali e delle parti sociale. Lo studio è pertanto circoscritto alle seguenti tematiche: (1) detassazione degli aumenti contrattuali; (2) detassazione dei premi di produttività; (3) detassazione delle ore di lavoro notturno, a turni e festivo; (4) estensione della soglia di esenzione per i buoni pasto; (5) misure in materia di assunzioni a tempo indeterminato; (6) interventi in materia previdenziale; (7) interventi in materia di ammortizzatori sociali; (8) misure previste in favore delle lavoratrici madri; (9) misure in materia di conciliazione vita-lavoro.
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