ISLAM E RIVOLUZIONI IN NORD AFRICA – intervista a F.Bourgat di T.Ferigo – 1/3/11

Iniziamo la pubblicazione di interviste, commenti e articoli di specialisti dell’Islam politico. Iniziamo con François Burgat.Francois Burgat, membro del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (Francia), è uno degli specialisti leader del mondo arabo e dell’Islam. Le sue posizioni rappresentano l’interpretazione più “radicale” dell’islamismo politico, sottolineandone il carattere di reazione alle politiche dell’Occidente e le radici sociali della sua diffusione.Ha pubblicato diversi libri su questi argomenti (L’islamism en face, l’Islam, au moment de al Kaida). Ha rilasciato questa intervista al quotidiano francese Le Soir.

                                                                    ****

 

Le rivolte che hanno scosso la Tunisia e l’Egitto sono state una sorpresa, come analizzarle , dato che non sono state il risultato di un gruppo organizzato?

 

Sono state rivolte che hanno visto la partecipazione di quasi tutti i settori della società. In Tunisia, praticamente l’unanimità.

L’obiettivo primario – il rovesciamento del tiranno "- ha trovato un’eco generale .

 La frustrazione era identica per ogni strato sociale, più politica per alcuni, più morale per altri.

E’ stata questa unanimità che ha reso irresistibile la rivolta .

 

Forza o debolezza? La mancanza di leader in questi movimenti popolari non può essere un elemento di fragilità ?

Non ritiene che vi sia il rischio che la rivoluzione sia sequestrata dalle forze vicino ai regimi caduti ?

 

Distinguerei tre fasi nei processi di transizione aperti dalla caduta dei regimi.

In Libia, si è alla prima fase. Per la prima volta siamo di fronte alla richiesta di un Tahrir (Liberazione) in nome delle libertà civili, in Tunisia e l’Egitto siamo invece entrati nella seconda delle tre fasi del processo: gli eredi del regime de facto – gli attori di una possibile "contro-rivoluzione" – stanno valutando il da farsi e la misura della loro possibilità d’azione.

Quali concessioni fare ai dimostranti ? Come cambiare la Costituzione ? Quale sistema elettorale ? L’estito è ancora incerto. In una terza fase, convocheranno le elezioni ma solo dopo che si siano realizzate certe condizioni.Qui sta il pericolo.

Saranno ricostruiti, i loro strumenti di comunicazione, vi sarà una forte propaganda.

L’inchiesta sulla bomba anti-copta di Alessandria sarà

probabilmente un tema di questa propaganda e si individueranno altri colpevoli oltre ai

\" musulmani fondamentalisti", non è escluso che venga sventolato lo spettro del caos o dell’intolleranza, per alimentare

le paure del cambiamento.

In particolare in Egitto, questa seconda fase potrà essere molto influenzata dall’esterno.

Gli Stati Uniti in primo luogo e, attraverso di

loro, Israele, a cui l’amministrazione Obama ha dimostrato di non poter rifiutare granché.

Anche l’Europa e le monarchie del petrolio avranno un loro peso. 

I militari nel sostenere " gli impegni assunti a livello regionale " sembrano non essere disposti a prendere in considerazione

altre opzioni strategiche. Tuttavia, se continuasse l’embargo su Gaza metterebbero a repentaglio l’apertura politica. Non solo la

solidarietà davvero partigiana dei Fratelli Musulmani verso Hamas, come insistono a dire glianalisti che vogliono "ideologizzare"

più del necessario il vecchio conflitto arabo-israeliano, ma la reazione della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica egiziana, profondamente umiliata dall’appogigo dato all’assedio

di Gaza dal regime di Mubarak.

L’Occidente è paralizzato dalla prospettiva di una vittoria elettorale islamista, come quelle di Algeria nel 1991 del FIS e di Hamas nel 2006 a Gaza, ma né i tunisini dell’ Ennahda ( Partito islamico ) ne la Fratellanza musulmana egizianasono stati alla testa di queste rivolte.

 

Questo significa che l’Islam politico è fuori gioco ?

 Il suo collega Olivier Roy parla di una generazione

"post-islamista" .

 

Oggi sappiamo che anche se non hanno l’onore di aver avviato i moti, gli islamisti hanno svolto un ruolo significativo (probabilmente centrale in Egitto ) . Prima di affermare la loro scomparsa dal corpo politico, aspetterei a vedere , se effettivamente vi sarà libertà di voto, quali saranno

le scelte di tunisini e egiziani.

 Per il resto, al di là delle dispute terminologiche, bisogna prendere atto che le opzioni sono politiche.

In altre parole, l’Islam è ,oggi, sinonimo più sicuramente di Erdogan (primo ministro della Turchia) che dei talebani. Ma questo non è per niente di veramente nuovo. 

Già nel 1990, le riunioni di "islamisti e nazionalisti" in Algeria dimostravano che vi erano ponti tra i due schieramenti.

 A Sant ‘Egidio, nel 1995, l’opposizione

algerina, (islamisti , trostkystI , democratici moderati…)aveva dato un segnale in tal senso. Segnale che la comunità internazionale aveva completamente ignorato, preferendo

approvare il sostegno all’azione militare tutto-repressivo con le conseguenze note: guerra civile (200.000

morti), blocco politico ed economico.

 

 

 

In Libano ,gli Hezbollah, che hanno un’alleanza con la metà della comunità cristiana

hanno esplicitamente "déslimatizzato " il loro lessico di mobilitazione. Sulla base di rivendicazioni democratiche condivise, gli islamisti dello Yemen, dal 2006, hanno stabilito   un patto elettorale con i loro vecchi avversari socialisti. In Turchia , il partito AKP,la cui

traiettoria è un utile esempio all’opposto dell’Iran , mostra capacità di stare in politica con una piattaforma di

riferimenti del tutto laica, con le forze laiche e / o uscite da eventuali altre affiliazioni religiose.

I risultati di regimi democratici che hanno accettato la convivenza sono di gran lunga molto più convincenti di

quelli di generali che sono stati così a lungo "i nostri alleati ".

 

Quando i Fratelli Musulmani hanno detto che non vogliono la maggioranza nel Parlamento egiziano, significa che essi non sono pronti ad assumere il potere, o non vogliono causare il panico in Occidente?

 

Come i tunisini di Ennahda,i leader della Fratellanza musulmana egiziana lentamente si stanno riprendendo dal trauma di lunghi anni di esclusione violenta dal gioco elettorale.

Sono ovviamente in una fase di attendismo che la incertezza

della situazione giustifica ampiamente. Questo non significa che probabilmente abbiano rimosso definitivamente dalla loro agenda l’obiettivo di arrivare un giorno al potere. Sono nel bel mezzo di una riorganizzazione interna generazionale.

Vi sarà probabilmente una leadership giovane, più moderna e meno timida. Se vi sarà davvero una apertura politica i fratelli mussulmani si troveranno ad agire in un contesto elettorale fortemente modificato, di pluripartitismo.Questo avrà conseguenze sulla loro azione.

 

A cura di T.F

 

 

 

 

Iniziamo la pubblicazione di interviste, commenti e articoli di specialisti dell’Islam politico. Iniziamo con François Burgat.

 Francois Burgat, membro del Centro Nazionale per la Ricerca

Scientifica (Francia), è uno degli specialisti leader del mondo arabo e dell’Islam. Le sue posizioni rappresentano l’interpretazione più “radicale” dell’islamismo politico, sottolineandone il carattere di reazione alle politiche dell’Occidente e le radici sociali della sua diffusione.

Ha pubblicato diversi libri su questi argomenti (L’islamism en face, l’Islam, au moment de al Kaida). Ha rilasciato questa intervista al quotidiano francese Le Soir.

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Le rivolte che hanno scosso la Tunisia e l’Egitto sono state una sorpresa, come analizzarle , dato che non sono state il risultato di un gruppo organizzato?

 

Sono state rivolte che hanno visto la partecipazione di quasi tutti i settori della società. In Tunisia, praticamente l’unanimità.

L’obiettivo primario – il rovesciamento del tiranno "- ha trovato un’eco generale .

 La frustrazione era identica per ogni strato sociale, più politica per alcuni, più morale per altri.

E’ stata questa unanimità che ha reso irresistibile la rivolta .

 

Forza o debolezza? La mancanza di leader in questi movimenti popolari non può essere un elemento di fragilità ?

Non ritiene che vi sia il rischio che la rivoluzione sia sequestrata dalle forze vicino ai regimi caduti ?

 

Distinguerei tre fasi nei processi di transizione aperti dalla caduta dei regimi.

In Libia, si è alla prima fase. Per la prima volta siamo di fronte alla richiesta di un Tahrir (Liberazione) in nome delle libertà civili, in Tunisia e l’Egitto siamo invece entrati nella seconda delle tre fasi del processo: gli eredi del regime de facto – gli attori di una possibile "contro-rivoluzione" – stanno valutando il da farsi e la misura della loro possibilità d’azione.

Quali concessioni fare ai dimostranti ? Come cambiare la Costituzione ? Quale sistema elettorale ? L’estito è ancora incerto. In una terza fase, convocheranno le elezioni ma solo dopo che si siano realizzate certe condizioni.Qui sta il pericolo.

Saranno ricostruiti, i loro strumenti di comunicazione, vi sarà una forte propaganda.

L’inchiesta sulla bomba anti-copta di Alessandria sarà

probabilmente un tema di questa propaganda e si individueranno altri colpevoli oltre ai

\" musulmani fondamentalisti", non è escluso che venga sventolato lo spettro del caos o dell’intolleranza, per alimentare

le paure del cambiamento.

In particolare in Egitto, questa seconda fase potrà essere molto influenzata dall’esterno.

Gli Stati Uniti in primo luogo e, attraverso di

loro, Israele, a cui l’amministrazione Obama ha dimostrato di non poter rifiutare granché.

Anche l’Europa e le monarchie del petrolio avranno un loro peso. 

I militari nel sostenere " gli impegni assunti a livello regionale " sembrano non essere disposti a prendere in considerazione

altre opzioni strategiche. Tuttavia, se continuasse l’embargo su Gaza metterebbero a repentaglio l’apertura politica. Non solo la

solidarietà davvero partigiana dei Fratelli Musulmani verso Hamas, come insistono a dire glianalisti che vogliono "ideologizzare"

più del necessario il vecchio conflitto arabo-israeliano, ma la reazione della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica egiziana, profondamente umiliata dall’appogigo dato all’assedio

di Gaza dal regime di Mubarak.

L’Occidente è paralizzato dalla prospettiva di una vittoria elettorale islamista, come quelle di Algeria nel 1991 del FIS e di Hamas nel 2006 a Gaza, ma né i tunisini dell’ Ennahda ( Partito islamico ) ne la Fratellanza musulmana egizianasono stati alla testa di queste rivolte.

 

Questo significa che l’Islam politico è fuori gioco ?

 Il suo collega Olivier Roy parla di una generazione

"post-islamista" .

 

Oggi sappiamo che anche se non hanno l’onore di aver avviato i moti, gli islamisti hanno svolto un ruolo significativo (probabilmente centrale in Egitto ) . Prima di affermare la loro scomparsa dal corpo politico, aspetterei a vedere , se effettivamente vi sarà libertà di voto, quali saranno

le scelte di tunisini e egiziani.

 Per il resto, al di là delle dispute terminologiche, bisogna prendere atto che le opzioni sono politiche.

In altre parole, l’Islam è ,oggi, sinonimo più sicuramente di Erdogan (primo ministro della Turchia) che dei talebani. Ma questo non è per niente di veramente nuovo. 

Già nel 1990, le riunioni di "islamisti e nazionalisti" in Algeria dimostravano che vi erano ponti tra i due schieramenti.

 A Sant ‘Egidio, nel 1995, l’opposizione

algerina, (islamisti , trostkystI , democratici moderati…)aveva dato un segnale in tal senso. Segnale che la comunità internazionale aveva completamente ignorato, preferendo

approvare il sostegno all’azione militare tutto-repressivo con le conseguenze note: guerra civile (200.000

morti), blocco politico ed economico.

 

 

 

In Libano ,gli Hezbollah, che hanno un’alleanza con la metà della comunità cristiana

hanno esplicitamente "déslimatizzato " il loro lessico di mobilitazione. Sulla base di rivendicazioni democratiche condivise, gli islamisti dello Yemen, dal 2006, hanno stabilito   un patto elettorale con i loro vecchi avversari socialisti. In Turchia , il partito AKP,la cui

traiettoria è un utile esempio all’opposto dell’Iran , mostra capacità di stare in politica con una piattaforma di

riferimenti del tutto laica, con le forze laiche e / o uscite da eventuali altre affiliazioni religiose.

I risultati di regimi democratici che hanno accettato la convivenza sono di gran lunga molto più convincenti di

quelli di generali che sono stati così a lungo "i nostri alleati ".

 

Quando i Fratelli Musulmani hanno detto che non vogliono la maggioranza nel Parlamento egiziano, significa che essi non sono pronti ad assumere il potere, o non vogliono causare il panico in Occidente?

 

Come i tunisini di Ennahda,i leader della Fratellanza musulmana egiziana lentamente si stanno riprendendo dal trauma di lunghi anni di esclusione violenta dal gioco elettorale.

Sono ovviamente in una fase di attendismo che la incertezza

della situazione giustifica ampiamente. Questo non significa che probabilmente abbiano rimosso definitivamente dalla loro agenda l’obiettivo di arrivare un giorno al potere. Sono nel bel mezzo di una riorganizzazione interna generazionale.

Vi sarà probabilmente una leadership giovane, più moderna e meno timida. Se vi sarà davvero una apertura politica i fratelli mussulmani si troveranno ad agire in un contesto elettorale fortemente modificato, di pluripartitismo.Questo avrà conseguenze sulla loro azione.

 

A cura di T.F

 

 

 

 

Iniziamo la pubblicazione di interviste, commenti e articoli di specialisti dell’Islam politico. Iniziamo con François Burgat.

 Francois Burgat, membro del Centro Nazionale per la Ricerca

Scientifica (Francia), è uno degli specialisti leader del mondo arabo e dell’Islam. Le sue posizioni rappresentano l’interpretazione più “radicale” dell’islamismo politico, sottolineandone il carattere di reazione alle politiche dell’Occidente e le radici sociali della sua diffusione.

Ha pubblicato diversi libri su questi argomenti (L’islamism en face, l’Islam, au moment de al Kaida). Ha rilasciato questa intervista al quotidiano francese Le Soir.

                       ****

 

Le rivolte che hanno scosso la Tunisia e l’Egitto sono state una sorpresa, come analizzarle , dato che non sono state il risultato di un gruppo organizzato?

 

Sono state rivolte che hanno visto la partecipazione di quasi tutti i settori della società. In Tunisia, praticamente l’unanimità.

L’obiettivo primario – il rovesciamento del tiranno "- ha trovato un’eco generale .

 La frustrazione era identica per ogni strato sociale, più politica per alcuni, più morale per altri.

E’ stata questa unanimità che ha reso irresistibile la rivolta .

 

Forza o debolezza? La mancanza di leader in questi movimenti popolari non può essere un elemento di fragilità ?

Non ritiene che vi sia il rischio che la rivoluzione sia sequestrata dalle forze vicino ai regimi caduti ?

 

Distinguerei tre fasi nei processi di transizione aperti dalla caduta dei regimi.

In Libia, si è alla prima fase. Per la prima volta siamo di fronte alla richiesta di un Tahrir (Liberazione) in nome delle libertà civili, in Tunisia e l’Egitto siamo invece entrati nella seconda delle tre fasi del processo: gli eredi del regime de facto – gli attori di una possibile "contro-rivoluzione" – stanno valutando il da farsi e la misura della loro possibilità d’azione.

Quali concessioni fare ai dimostranti ? Come cambiare la Costituzione ? Quale sistema elettorale ? L’estito è ancora incerto. In una terza fase, convocheranno le elezioni ma solo dopo che si siano realizzate certe condizioni.Qui sta il pericolo.

Saranno ricostruiti, i loro strumenti di comunicazione, vi sarà una forte propaganda.

L’inchiesta sulla bomba anti-copta di Alessandria sarà

probabilmente un tema di questa propaganda e si individueranno altri colpevoli oltre ai

\" musulmani fondamentalisti", non è escluso che venga sventolato lo spettro del caos o dell’intolleranza, per alimentare

le paure del cambiamento.

In particolare in Egitto, questa seconda fase potrà essere molto influenzata dall’esterno.

Gli Stati Uniti in primo luogo e, attraverso di

loro, Israele, a cui l’amministrazione Obama ha dimostrato di non poter rifiutare granché.

Anche l’Europa e le monarchie del petrolio avranno un loro peso. 

I militari nel sostenere " gli impegni assunti a livello regionale " sembrano non essere disposti a prendere in considerazione

altre opzioni strategiche. Tuttavia, se continuasse l’embargo su Gaza metterebbero a repentaglio l’apertura politica. Non solo la

solidarietà davvero partigiana dei Fratelli Musulmani verso Hamas, come insistono a dire glianalisti che vogliono "ideologizzare"

più del necessario il vecchio conflitto arabo-israeliano, ma la reazione della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica egiziana, profondamente umiliata dall’appogigo dato all’assedio

di Gaza dal regime di Mubarak.

L’Occidente è paralizzato dalla prospettiva di una vittoria elettorale islamista, come quelle di Algeria nel 1991 del FIS e di Hamas nel 2006 a Gaza, ma né i tunisini dell’ Ennahda ( Partito islamico ) ne la Fratellanza musulmana egizianasono stati alla testa di queste rivolte.

 

Questo significa che l’Islam politico è fuori gioco ?

 Il suo collega Olivier Roy parla di una generazione

"post-islamista" .

 

Oggi sappiamo che anche se non hanno l’onore di aver avviato i moti, gli islamisti hanno svolto un ruolo significativo (probabilmente centrale in Egitto ) . Prima di affermare la loro scomparsa dal corpo politico, aspetterei a vedere , se effettivamente vi sarà libertà di voto, quali saranno

le scelte di tunisini e egiziani.

 Per il resto, al di là delle dispute terminologiche, bisogna prendere atto che le opzioni sono politiche.

In altre parole, l’Islam è ,oggi, sinonimo più sicuramente di Erdogan (primo ministro della Turchia) che dei talebani. Ma questo non è per niente di veramente nuovo. 

Già nel 1990, le riunioni di "islamisti e nazionalisti" in Algeria dimostravano che vi erano ponti tra i due schieramenti.

 A Sant ‘Egidio, nel 1995, l’opposizione

algerina, (islamisti , trostkystI , democratici moderati…)aveva dato un segnale in tal senso. Segnale che la comunità internazionale aveva completamente ignorato, preferendo

approvare il sostegno all’azione militare tutto-repressivo con le conseguenze note: guerra civile (200.000

morti), blocco politico ed economico.

 

 

 

In Libano ,gli Hezbollah, che hanno un’alleanza con la metà della comunità cristiana

hanno esplicitamente "déslimatizzato " il loro lessico di mobilitazione. Sulla base di rivendicazioni democratiche condivise, gli islamisti dello Yemen, dal 2006, hanno stabilito   un patto elettorale con i loro vecchi avversari socialisti. In Turchia , il partito AKP,la cui

traiettoria è un utile esempio all’opposto dell’Iran , mostra capacità di stare in politica con una piattaforma di

riferimenti del tutto laica, con le forze laiche e / o uscite da eventuali altre affiliazioni religiose.

I risultati di regimi democratici che hanno accettato la convivenza sono di gran lunga molto più convincenti di

quelli di generali che sono stati così a lungo "i nostri alleati ".

 

Quando i Fratelli Musulmani hanno detto che non vogliono la maggioranza nel Parlamento egiziano, significa che essi non sono pronti ad assumere il potere, o non vogliono causare il panico in Occidente?

 

Come i tunisini di Ennahda,i leader della Fratellanza musulmana egiziana lentamente si stanno riprendendo dal trauma di lunghi anni di esclusione violenta dal gioco elettorale.

Sono ovviamente in una fase di attendismo che la incertezza

della situazione giustifica ampiamente. Questo non significa che probabilmente abbiano rimosso definitivamente dalla loro agenda l’obiettivo di arrivare un giorno al potere. Sono nel bel mezzo di una riorganizzazione interna generazionale.

Vi sarà probabilmente una leadership giovane, più moderna e meno timida. Se vi sarà davvero una apertura politica i fratelli mussulmani si troveranno ad agire in un contesto elettorale fortemente modificato, di pluripartitismo.Questo avrà conseguenze sulla loro azione.

 

A cura di T.F

 
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