E’ l’ambasciatore di Israele in Usa a dichiare che le divergenze che si sono evidenziate pubblicamente tra il governo americano e quello israelita costituiscono “ ..la più grave frattura politica registrata negli ultimi 35 anni…”. L’oggetto dello scontro è il piano deciso dal Governo Netanhyau per nuovi insediamenti a Gerusalemme Est. Il 19 marzo, a Mosca, si è riunito il Quartetto per il Medio-Oriente ( Russia, Usa, Ue e Onu) che ha il compito di pilotare il processo della road –map. Il Quartetto si è espresso con chiarezza e fermezza. Nella dichiarazione finale letta dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon chiede che i negoziati tra Israele e Palestina riprendano e si concludano entro due anni, con la soluzione "due popoli-due Stati". Inoltre chiede a Israele di "fermare l’attività di colonizzazione", in riferimento alle 1.600 nuove colonie previste in Cisgiordania.
Riproduciamo l’articolo dello scrittore israeliano AVRAHAM B. YEHOSHUA pubblicato su La Stampa del 19-3-2010.
Israele ascolti la voce dell’America
Nel biblico Libro dei Proverbi, il libro della saggezza e dell’ottimismo (a differenza di quello dell’Ecclesiaste, pervaso da un senso di angoscia e di rassegnazione alla morte) c’è un versetto dai toni forti: «Chi risparmia la verga odia il suo figliuolo, ma chi l’ama, lo corregge per tempo» (Libro dei Proverbi, 13, 24). Il senso di queste parole è che chi evita di rimproverare o di punire i figli per le loro cattive azioni dà prova di non amarli veramente in quanto preferisce ignorare una condotta sbagliata per mantenere la pace in famiglia ed evitare uno scontro che potrebbe causare dolore a entrambe le parti. Ma un uomo che ama veramente il figlio non teme di riprenderlo, è pronto a punirlo e persino a pregiudicare temporaneamente il rapporto con lui pur di riportarlo sulla retta via. L’attuale crisi nelle relazioni fra il governo israeliano e quello americano intorno alla costruzione di un nuovo quartiere ebraico nella Gerusalemme Est è ai miei occhi una prova di vera amicizia da parte degli Stati Uniti nei confronti del suo piccolo protégé mediorientale. L’amministrazione di Barak Obama, in un raro esempio di fermezza morale, dice agli israeliani: basta con queste inutili costruzioni a Gerusalemme Est.
Il messaggio degli Usa è che le costruzioni non solo minano il processo di pace – importante per voi, per i palestinesi e per tutto il mondo arabo moderato -, ma sono estremamente nocive anche per voi israeliani nell’ottica dell’ideale che non perdete occasione di proclamare: mantenere il carattere ebraico e democratico di Israele. Continuando a insediarvi in territorio palestinese e a erigere nuovi insediamenti compromettete la possibilità di una separazione e di un confine concordato fra Israele e la Palestina. Perciò, in mancanza della prospettiva di un vicino accordo di pace, in un prossimo futuro dovrete concedere la cittadinanza israeliana a tutti i palestinesi che avete conglobato e questo inciderà sensibilmente sul carattere ebraico della vostra nazione. Oppure, in alternativa, sarete costretti a mantenere un regime di apartheid nei confronti dei palestinesi distruggendo così il sistema democratico israeliano. In un modo o nell’altro noi faremo pressione perché queste iniziative controproducenti, contrarie agli interessi da voi stessi proclamati, cessino. E questo non solo a favore del processo di pace e degli interessi americani nel mondo arabo ma per il vostro stesso bene e per quello dello Stato ebraico.
Una simile posizione è nuova per gli Stati Uniti e se non resterà un mero proclama ma sarà seguita da una decisa pressione politica su Israele proverà al mondo intero che l’America è una vera amica dello Stato ebraico e ha a cuore non solo la sua sicurezza ma anche il suo futuro e i suoi veri ideali. I veri amici non si limitano a dispensare parole di lusinga e di adulazione ma sanno anche muovere rimproveri. Nella storia dei rapporti tra i popoli in epoca moderna un capitolo speciale sarà dedicato alle incredibili relazioni tra gli Stati Uniti e Israele. L’ex segretario di Stato Henry Kissinger li definì «profondamente emotivi, laddove gli interessi strategici comuni non sono che una patina esterna dallo scarso significato». Per la maggior parte dei cittadini statunitensi lo Stato di Israele non è solo un’espressione di riscatto e di consolazione per la Shoah degli ebrei durante la seconda guerra mondiale (una tragedia che gli Stati Uniti tardarono a capire e nella quale non intervenirono, specialmente negli Anni 30 quando profughi ebrei dalla Germania e dall’Europa in fuga dalle persecuzioni naziste bussarono inutilmente alle loro porte). Per molti cittadini statunitensi, soprattutto per i numerosi cristiani, lo Stato di Israele è la concretizzazione di un ideale religioso come lo fu per i primi abitanti degli Stati Uniti l’emigrazione in quel Paese, quando parvero voltare le spalle alla loro storia e alle loro origini europee per riconoscersi nel mito della cristianità e della Bibbia dando alle loro nuove città nomi di luoghi dell’antica terra biblica: Sion, Betlemme, Hebron ecc.
Anche il regime democratico israeliano è un elemento importante nell’amicizia tra Israele e gli Stati Uniti. Quando lo Stato ebraico fu fondato dopo la seconda guerra mondiale nel mondo vi erano solo una trentina di vere democrazie e la lotta ideologica per la supremazia e la moralità dei regimi democratici rispetto a quelli totalitari era importantissima agli occhi degli americani. Un Israele democratico che combatteva con successo per la sua sopravvivenza era quindi una prova rilevante e preziosa della validità dell’ideale democratico e giustificava l’ingerenza, motivata o meno, dell’America nel mondo.
I leader israeliani perciò, anziché sottolineare ancora una volta dinanzi agli americani l’importanza di un’alleanza strategico-militare con Israele, farebbero meglio a prestare ascolto al nuovo tono di fermezza morale con il quale si rivolgono a noi dicendo: se vi concentrerete sul vero ideale di un Israele democratico ed ebraico piuttosto che accanirvi inutilmente sulle poche terre rimaste in mano ai palestinesi, capirete che la nostra rabbia nasce da sentimenti di vero affetto e di amicizia.
Il 21 marzo il Segretario Generale dell’Onu, in visita alla Striscia di Gaza, ha dichiarato che il blocco israeliano "causa delle sofferenze umane inaccettabili… tanto più preoccupante ai suoi occhi considerando che la metà della popolazione di Gaza è al di sotto dei 18 anni di età ".
Una visita che si svolge in un clima di forte tensione militare in seguito alla ripresa di lanci di razzi da Gaza verso il Neghev israeliano (che giorni fa hanno provocato la morte di un bracciante thailandese) e ai conseguenti raid aerei israeliani, che ieri hanno causato una quindicina di feriti.
Il segretario generale dell’Onu ha anche annunciato che per la prima volta negli ultimi anni Israele si impegna a consentire l’introduzione a Gaza di materiale per l’edilizia, sia pure in quantità ridotte. "Ho ricevuto da Israele l’impegno ad introdurre nella Striscia il materiale necessario per la costruzione di 150 nuovi alloggi" ha detto Ban alla stampa locale. Quei cantieri si erano fermati di fatto nel 2006, in seguito alla vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi.
Intanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla vigilia della partenza per gli Stati Uniti ha ribadito che per i progetti israeliani di sviluppo nell’intero territorio municipale di Gerusalemme la sua politica non differisce da quella degli esecutivi che l’hanno preceduto.
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