DUE STATI SI’ MA “IMPURI” – G.Israel – globalmondo 8/10/11
E’ possibile riflettere sulla questione israelo-palestinese in modo razionale e consapevole degli insegnamenti della storia? Gli esempi avanzati in modo propagandistico non aiutano a capire a progredire costruttivamente. E’ in voga il parallelismo tra il Sudafrica dei “bantustan” e Israele. Pur concedendo che l’isolamento di zone della Cisgiordania presenti aspetti molto spiacevoli e, in una prospettiva definitiva, inaccettabili, non è obiettivo ignorare le motivazioni di sicurezza contingenti di queste situazioni, e ignorare l’evidenza, e cioè che Israele non è un Paese basato sulla separazione etnica. Entro i confini del 1967 vivono centinaia di migliaia di cittadini arabi israeliani rappresentati in parlamento. La spiaggia di Tel Aviv evoca immagini opposte alle spiagge sudafricane dove una persona di colore non poteva mettere piede se non rischiando la galera o la vita.
Israele è un Paese a maggioranza ebraica con una minoranza araba la cui integrazione deve essere migliorata, ma che è elevata, come prova il fatto che essa non si è lasciata sostanzialmente coinvolgere dall’idea di una lotta contro ‘ l’occupante’:
Anche a Gerusalemme, secondo recenti sondaggi, la maggioranza della popolazione araba preferirebbe avere la cittadinanza israeliana; e la costruzione di un tram che collega i due lati della città, deprecata con eccesso di zelo da alcune diplomazie europee, è stata accolta con favore dalla popolazione araba. Resta il fatto che le zone di occupazione israeliana della Cisgiordania vivono in una condizione assolutamente provvisoria, ed è banale dire che è qui il nodo della questione.
Come risolverla? Una delle soluzioni messe sul campo evoca ancora quella sudafricana: uno Stato binazionale guidato dalla maggioranza con precise garanzie per la minoranza.
Ma qui non c’è una minoranza ebraica di dimensioni modeste come quella bianca sudafricana, né una maggioranza palestinese dotata di una leadership moderata come quella del Mandela di un tempo e capace di fare un miracolo che sembra reggere.
Di recente un esponente dell’African National Congress ha espresso fastidio per la presenza di troppi “coloured” nel distretto di Città del Capo ventilandone una dispersione sul territorio: un’idea che ha evocato l’antica politica razzista e ha suscitato aspre reazioni.
Nel nostro caso invece l’idea di uno Stato palestinese dal mare al Giordano ‘judenrein” (libero da ebrei) è sostenuta da troppi leader palestinesi, non soltanto da Hamas, senza suscitare rigetto nei moderati.
In questa situazione, l’idea dello Stato binazionale equivale alla formula «gettare gli ebrei in mare». Resta quindi sul campo soltanto la formula «due popoli, due Stati».
Già, ma qui vanno enunciate senza infingimenti le alternative: o due stati etnicamente “puri” – uno Stato palestinese judenrein e uno Stato ebraico palestinischerein – oppure due Stati che integrino in modo democratico e tollerante una minoranza dell’altro popolo.
La prima soluzione non è storicamente inedita. Un esempio tra i tanti è l’accordo del 1922 con cui Grecia e Turchia concordarono un enorme scambio di popolazioni secondo il criterio religioso: un milione e mezzo di ortodossi “tornarono” in Grecia e almeno altrettanti musulmani “tornarono” in Turchia.
È possibile oggi, dopo i drammi del razzismo del Novecento, fare qualcosa del genere?
È possibile disegnare a tavolino nuovi confini e spostare centinaia di migliaia di persone da una parte all’altra per creare due Stati etnicamente puri?
C’è chi lo vorrebbe: il morbo del razzismo è lungi dall’essere spento. Israele – l’abbiamo detto – è lungi dall’essere un Paese eroicamente puro e la sua dirigenza politica non promuove progetti del genere, anche se nel suo ambito c’è chi li coltiva.
Purtroppo, da parte palestinese li coltiva l’intera dirigenza politica, e non soltanto Hamas, ma il “moderato” Abu Mazen, che non si stanca di ripetere che mai verrà riconosciuto uno Stato ebraico e che il futuro Stato palestinese non accetterà alcuna presenza ebraica.
Ma qui sta il nodo: che cosa si deve intendere per “Stato ebraico” (o “Stato palestinese”)?
L’unico modo di intendere questa nozione è quella di Stato etnicamente puro? Non è così. Ha senso parlarne come di uno Stato in cui esiste una cultura prevalente – anche legata a fattori religiosi – con tutto il corteo delle implicazioni a livello della vita civile, senza che questa prevalenza implichi l’oppressione di chi appartiene a una cultura diversa.
In fin dei conti, è lo status di tanti Paesi europei. Minoranze ebraiche hanno vissuto e vivono tranquillamente in Paesi in cui prevale una cultura cristiana o cattolica accettando che la festività settimanale sia la domenica e riconoscendosi nelle festività civili che esprimono la storia di quel Paese.
Fino a non molto tempo fa – prima che prevalesse l’integralismo – hanno vissuto così in molti Paesi musulmani.
Peraltro, la permanenza storica di un’egemonia culturale non è cosa che possa garantirsi a priori. Discutere o programmare percentuali etniche è una perdita di tempo: la permanenza del carattere “ebraico” o “palestinese” di uno Stato dipende esclusivamente dalla vitalità della cultura dominante e non si afferma per leghe. Essa dipende da processi storici ingovernabili a tavolino. Ma oggi, nella contingenza politica, è necessario dire con forza che la sola via per uscire dal dramma è duella di due Stati basati sul dato di fatto attuale di una egemonia dominante che deve rispettare i diritti delle altre componenti. Pertanto, non solo è legittimo chiedere alla leadership israeliana la massima chiarezza e coerenza su questo punto, ma è necessario chiederla alla dirigenza palestinese.
Non è ammissibile fare equilibrismi tra moderatismo e integralismo, da un lato chiedendo due Stati – e quindi ammettendo implicitamente il diritto di Israele a esistere – e poi dire che mai verrà riconosciuto uno Stato ebraico, mentre lo Stato palestinese sarà etnicamente puro.
Due popoli e due Stati – ebraico e palestinese – etnicamente impuri”: fuori da questa formula c’è soltanto la prosecuzione di un dramma sempre più fosco.
mi piacerrebe affrontare la questione non come è stato trattato finora.il conflitto israelopalestinese come un fatto che non riguarda soltanta i due popoli in conflitto. piu’ di 60 anni di conflitto ha ralentata il corso della storia di molti popoli della regione, intendo dire ha rallentato anzi ha bloccato il loro cammino verso la democrazia, progresso e giustizia sociale. anche oggi con la cosidetto il risveglio e "la primavera dei popoli arabi"di nuova torna in discossione il conflitto piu’ lungo,forse della storia contemporanea. tutte le volte in medioriente inizia una speranza di cambiamento esplode la questione palestinese, e cosi si deviano prepotentamente la lotta di questi popoli dei propri obbiettivi. samir