Lula annuncia la difesa per l’Amazzonia
Cop 27: il neopresidente del Brasile, Inacio Lula, non ancora in carica e invitato come osservatore alla Cop 27, rilancia la difesa dell’Amazzonia devastata dall’era Bolsonaro e promette lotta alla crisi climatica, ricordando l’urgenza di un accordo per aiuti finanziari ai Paesi vulnerabili. A Sharm el Sheikh, rimasta orfana di Greta Thumberg, Lula un uomo di 77 anni è stato accolto con entusiasmo e da cori da stadio. Di grande rilievo il suo messaggio per la difesa dell’Amazzonia. Di seguito riproduciamo l’articolo “Cop27, arriva Lula e si prende la scena” di Claudia Fanti pubblicato su Il Manifesto del 17 novembre.
< «Il Brasile è tornato», pronto a riprendere, dopo la tragica parentesi di Bolsonaro, il posto di rilievo che gli spetta nella lotta contro la «tragedia climatica» e di «unirsi nuovamente agli sforzi per la costruzione di un pianeta più sano, di un mondo più giusto». È questo il messaggio che Lula ha portato alla Cop 27, dove è arrivato martedì con una fitta agenda di impegni (ma commettendo un passo falso: ha viaggiato, anche lui, su un jet privato, di proprietà dell’imprenditore e amico José Seripieri Júnior). Che, in una conferenza al momento così avara di risultati, sia lui la star non ci sono dubbi.
E il suo primo annuncio è stato sicuramente all’altezza delle aspettative: «Parleremo con il segretario generale delle Nazioni Unite e chiederemo che la Cop del 2025 si svolga in Brasile e, precisamente, in Amazzonia. Ci sono due Stati in grado di ospitare qualunque conferenza internazionale: l’Amazonas e il Pará. Penso che sia molto importante che si faccia in Amazzonia e che le persone impegnate nella sua difesa e nella difesa del clima conoscano da vicino la regione».
Un annuncio ribadito nel pomeriggio nel discorso pronunciato nella Zona blu, dove si tengono le sessioni plenarie ufficiali, durante il quale Lula ha garantito che il suo governo non risparmierà sforzi per fermare la deforestazione – aumentata sotto Bolsonaro del 73% – e rigenerare i suoli in tutti i biomi del paese; che la lotta al cambiamento climatico godrà del «più alto profilo nella struttura» del suo prossimo governo e che «i crimini ambientali, cresciuti in maniera spaventosa durante il governo uscente, saranno combattuti senza tregua».
E se quei crimini hanno colpito soprattutto i popoli indigeni, Lula non ha lasciato dubbi che il suo governo saprà voltare pagina, confermando la creazione del già annunciato Ministero dei popoli originari, perché siano loro stessi a «presentare proposte che garantiscano loro sopravvivenza degna, sicurezza, pace e sostenibilità».
Convinto della possibilità di «generare ricchezza senza continuare a provocare cambiamenti climatici» – anche sfruttando «con responsabilità» la straordinaria biodiversità dell’Amazzonia – e sicuro che l’agrobusiness, che in realtà finora ha fatto esattamente il contrario, «sarà un alleato strategico nella ricerca di un’agricoltura rigenerativa e sostenibile», Lula ha proposto la creazione di «un’alleanza mondiale per la sicurezza alimentare, l’eradicazione della fame e la riduzione delle disuguaglianze». Come pure si è impegnato a consolidare l’accordo di cooperazione fra i tre maggiori paesi coperti da foreste tropicali: il Brasile, la Repubblica Democratica del Congo e l’Indonesia, e a realizzare il vertice delle nazioni aderenti al Trattato di cooperazione amazzonica (Otca), «affinché per la prima volta possano discutere in maniera sovrana la promozione dello sviluppo integrato della regione con inclusione sociale e responsabilità climatica».
Corteggiatissimo – più di dieci gli inviti da parte di rappresentanti di altri paesi a sostenere riunione bilaterali -, Lula si è incontrato già con il principale negoziatore climatico della Cina Xie Zhenhua e con l’inviato degli Stati Uniti per il clima John Kerry e si riunirà anche con Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea a capo della politica climatica dell’Unione.
Quanto sia profondo del resto il sollievo della comunità internazionale per l’uscita di scena di Bolsonaro – il quale alle Cop non si è fatto vedere neppure una volta – lo dimostra anche il fatto che i governi della Norvegia e della Germania, finanziatori del Fondo Amazzonia (creato 14 anni fa per la prevenzione e la lotta alla deforestazione), non solo hanno garantito lo sblocco di più di 500 milioni di dollari che erano stati congelati in risposta alle politiche di Bolsonaro, ma hanno anche espresso la volontà di stanziare nuove risorse.
Né si esclude che al progetto possano contribuire gli Stati Uniti, se l’invito rivolto a John Kerry dalla ex ministra dell’Ambiente (che forse tornerà a esserlo) Marina Silva, anche lei attivissima all’interno della Cop, dovesse essere accolto.
Tra i tanti incontri sostenuti da Lula, non è mancato neppure quello con sei governatori dell’Amazzonia legale, quattro dei quali sostenuti da Bolsonaro, nell’evento noto come “Carta dell’Amazzonia. Un’agenda comune per la transizione climatica”. Ad essi Lula ha ribadito che il suo governo darà un’assoluta priorità alla lotta contro la deforestazione e alla difesa dei popoli indigeni e che si impegnerà al massimo per «convincere le persone che un albero in piedi serve di più che un albero abbattuto». Ma garantendo che nulla sarà fatto alle loro spalle, perché «non è possibile governare il Brasile senza tenere conto delle necessità degli stati e delle città». >
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