Caro vita:questione sociale!

Savino Pezzotta sul suo blog “In ricerca” pubblica “Il caro vita come questione sociale”, esplicita un concatenamento di riflessioni che ben fanno comprendere come la sola strategia dei rinnovi contrattuali e della contrattazione di secondo livello non siano più in grado di garantire il potere d’acquisto degli stipendi. Fondamentale divent un’iniziativa unitaria di Cgil, Cisl e Uil su due punti: il primo, modificare l’indice Ipca di riferimento per i rinnovi contrattuali che non prevede il recupero dell’inflazione importata che ben ricade sul carrello della spesa; il secondo, correggere l’effetto pesante del fiscal dag, drenaggio fiscale, indicizzando le detrazioni per il lavoro dipendente. Di seguito l’articolo di Pezzotta.

IL CARO-VITA COME QUESTIONE SOCIALE di Savino Pezzotta

Introduzione: oltre l’inflazione – Una delle domande più frequenti che ricevo nelle conversazioni con persone del mio paese, della mia città e di altri luoghi riguarda il caro-vita: l’aumento dei prezzi, la staticità dei salari, la difficoltà crescente a mantenere uno standard di vita dignitoso. Spesso sembra che tra la percezione reale della vita quotidiana e i dati ufficiali ci sia un abisso: come se non si vivesse nella stessa realtà. Negli ultimi mesi il dibattito pubblico ha celebrato il calo dei tassi di inflazione come un successo delle politiche economiche. Tuttavia, le esperienze concrete delle famiglie raccontano un’altra storia: stipendi che non bastano più, rincari quotidiani dei beni essenziali, sacrifici costanti per arrivare a fine mese. Questa discrepanza rivela un punto fondamentale: non basta osservare gli indicatori macroeconomici per comprendere il reale peso del costo della vita.

Carrello della spesa: sempre più euro anche se cala l’inflazione!

Prezzi e costo della vita: una distinzione necessaria – Spesso si confondono aumento dei prezzi e costo della vita, ma sono fenomeni distinti:

  • Aumento dei prezzi: riguarda la media dei beni e servizi calcolata dagli indici statistici.
  • Costo della vita: misura le spese necessarie per mantenere un livello di vita dignitoso, comprendendo affitto, energia, cibo, trasporti e salute.

Un’inflazione apparentemente bassa può nascondere rincari pesanti sui beni primari, colpendo in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili. Ciò che emerge è un divario tra la realtà vissuta dalle persone e la narrazione ufficiale, che non tiene conto delle pratiche quotidiane necessarie per far fronte ai costi crescenti.

Il caro-vita non pesa allo stesso modo su tutti. I ceti abbienti: possono assorbire gli aumenti senza modificare significativamente il proprio tenore di vita. I redditi bassi o fissi: ogni incremento diventa un taglio necessario su altre spese, accentuando disagio e insicurezza. Il risultato è un effetto regressivo: più sei vulnerabile, più l’aumento dei prezzi incide sulla tua vita. Qui emerge chiaramente che il caro-vita non è solo un problema economico, ma una questione di giustizia sociale, percepita e vissuta nelle pratiche quotidiane di chi cerca di sopravvivere tra sacrifici e rinunce.

Il paradosso dei profitti – Mentre le famiglie stringono la cinghia, grandi gruppi – energetici, finanziari e della distribuzione – registrano profitti straordinari. Questa contraddizione indica che il problema non è neutrale: i costi vengono scaricati sulle famiglie, mentre i vantaggi si concentrano in alto. Il caro-vita non è dunque un semplice indicatore statistico, ma il risultato di regole – o di assenza di regole – che governano il mercato, spesso percepite come ingiuste dai cittadini, che cercano strategie quotidiane per aggirarne l’impatto.

Conseguenze sociali: dal disagio alla frammentazione – Il caro-vita produce innanzitutto disagio materiale: rinunce, debiti, precarietà. A un livello più profondo, genera sfiducia e frammentazione sociale. Quando la vita quotidiana diventa una lotta costante per far quadrare i conti, si indeboliscono solidarietà, partecipazione politica e fiducia nelle istituzioni. Il rischio è la crescita di frustrazione e risentimento, terreno fertile per populismi e derive autoritarie.

Vie di resistenza e trasformazione – Contrastare il caro-vita richiede non solo interventi economici, ma anche pratiche di resistenza quotidiana e immaginazione sociale. Alcune possibili strategie:

  • Giustizia salariale: adeguamento dei salari al costo reale della vita.
  • Controllo degli extraprofitti: tassare chi guadagna in modo sproporzionato da crisi ed emergenze.
  • Reti di solidarietà: gruppi d’acquisto, mercati equi, cooperative per ridurre i costi e rafforzare la comunità, boicottaggi di prodotti.
  • Educazione economica e politica: per comprendere e smascherare il linguaggio tecnico che spesso nasconde scelte di potere.

Queste pratiche rappresentano forme di “tattica” quotidiana: modi concreti con cui le persone si adattano, resistono e ricreano spazi di dignità all’interno di un contesto economico che appare dominante e impositivo.

Conclusione: dal lamento alla coscienza critica – Il caro-vita non è un destino inevitabile: è il risultato di precise dinamiche economiche e politiche. Trasformare il disagio in coscienza critica significa comprendere che dietro il rincaro quotidiano si gioca la partita della dignità e della giustizia sociale. Non si tratta solo di un problema economico: è una sfida antropologica e politica. Quale società vogliamo costruire? Una che semplicemente sopravvive, o una che permette a tutti di vivere con dignità, esercitando ogni giorno strategie e tattiche per difendere il proprio spazio di libertà e autonomia? https://savinopezzotta.wordpress.com/2025/08/21/5787/?

Vedi anche con il link che segue un secondo articolo di Savino Pezzotta Prezzi alimentari in ascesa globale è emergenza sociale https://savinopezzotta.wordpress.com/2025/08/25/5791/?

Le riflessioni di Savino Pezzotta fanno ben comprendere che il carrello della spesa “piange” anche quando i prezzi si alzano poco ( l’inflazione scende, ovvero i prezzi crescono meno ma si sommano ai precedenti rialzi) o restano stabili ma viene ridotta la grammatura della confezione o il contenuto, cosa che accade sempre più.

Serve ai sindacati parlare unitariamente e direttamente con chi fa la spesa, con i pensionati, ancora prima dello “spettacolo” dei tavoli del dialogo con il governo, per essere concreti e incisivi sulla reltà. E poi pensare a nuove forme di mobilitazione per sostenre il confronto con le controparti governative e confindustriali, anche diverse dallo sciopero tradizionale e che possono coivogano i cittadini, come ad esempio: una modalità di pressione popolare può essere la sperimentazione dello “sciopero del carrello” – nei grandi supermercati – indicando ai cittadini-consumatori il non acquisto, per un determinato periodo, di alcuni prodotti lievitati nei prezzi o ridimensionati nel contenuto, programmando una strategia articolata territorialmete adeguatamente preparata come informazione con mirati volantinaggi. Ci sono già state esperienze in Europa, qua e là.

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