Amazzonia:stop trivelle!

Amazzonia, svolta all’ombra di Lula: bloccate le trivelle di Petrobras – Brasile. L’Istituto per l’Ambiente nega l’autorizzazione. Un duro braccio di ferro dice no a un intervento da tre miliardi sul Rio delle Amazzoni . Claudia Fanti su Il Manifesto del 20 Maggio racconta la svolta.

<< Per l’Amazzonia, i tempi potrebbero – il condizionale è d’obbligo – essere davvero cambiati. Così sembra indicare l’esito dello scontro tra la Petrobras, la compagnia petrolifera statale ma non troppo (il controllo degli azionisti privati è pari al 63,4% del capitale totale dell’impresa) e Ibama, l’istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali rinnovabili, tornato, sotto la guida di Rodrigo Agostinho, alla sua originaria funzione di difensore degli ecosistemi brasiliani dopo la catastrofica gestione di Bolsonaro.

Protesta indigena a Rio de Janeiro – Epa/Fabio Motta

UNO SCONTRO iniziato con la richiesta della Petrobras di trivellare nientedimeno che un pozzo petrolifero al largo della costa dello stato settentrionale di Amapá, nel bacino di Foz do Amazonas, respinta dall’Ibama sulla base del parere contrario che era già stato rilasciato dall’area tecnica dell’organismo: il piano della compagnia, spiegava infatti il documento tecnico, non offrirebbe garanzie sufficienti per la salvaguardia della fauna in caso di perdite di petrolio, oltre a evidenziare lacune nella previsione degli impatti in una regione di grande vulnerabilità socio-ambientale, caratterizzata dalla presenza di aree protette, terre indigene, mangrovie e una grande biodiversità marina.

Ibama ha rifiutato l’autorizzazione alle perforazioni, e non si tratta di una decisione di poco conto. Secondo gli esperti, questo avrebbe posto una pietra tombale sulle pretese della compagnia di sfruttare quella che è stata considerata l’ultima potenziale frontiera dell’esplorazione petrolifera del paese: un’area marittima lunga 2.200 chilometri che comprende la foce del Rio delle Amazzoni, definita come nuovo pré-sal (gli enormi giacimenti petroliferi in acque ultra-profonde lungo gran parte della costa atlantica brasiliana).

La Petrobras, che aveva previsto investimenti nell’area pari a tre miliardi di dollari fino al 2027, ha già annunciato che farà ricorso – ma può farlo solo allo stesso Ibama, che di certo non cambierà idea – ponendo l’accento, con la solita ipocrisia, sull’importanza «di nuove frontiere» non solo «per garantire la sicurezza energetica», ma anche «per trovare le risorse necessarie per una transizione energetica giusta e sostenibile».

MA BENCHÉ giovedì avesse reso noto di voler spostare le operazioni, è possibile che voglia giocarsi l’ultima carta affidandosi al ministro “amico” delle Miniere e dell’Energia Alexandre Silveira, il quale ha invitato il gigante petrolifero a non ritirare l’impianto di perforazione dal bacino di Foz do Amazonas e a operare «tutti gli sforzi necessari» per dimostrare la fattibilità del progetto.

Perché, secondo il ministro, «oltre all’importanza strategica» dello sfruttamento – neanche a farlo apposta «sostenibile» – dell’area marittima ai fini dell’autosufficienza energetica, il progetto sarebbe fondamentale «dal punto di vista sociale», in vista dello sviluppo degli stati più poveri del paese e «della generazione di reddito per la popolazione».

Del resto, che ci sia uno scontro in atto all’interno del governo è noto: da una parte Silveira, favorevole allo sfruttamento del “nuovo pré-sal”, dall’altro la ministra dell’Ambiente Marina Silva, decisa a difendere a tutti i costi l’Amazzonia. Ma se, durante la sua prima esperienza di governo, dal 2003 al 2008, la leader ambientalista era uscita sistematicamente sconfitta in ogni scontro ministeriale sui temi ambientali, fino a decidersi ad abbandonare Lula sbattendo la porta, oggi – con gli occhi del mondo rivolti alla foresta amazzonica – si trova in una posizione ben più forte.

PER QUANTO LULA taccia, e per quanto pesino come macigni le sue controverse dichiarazioni a Time in campagna elettorale, quando aveva definito «irrealistico» limitarsi a sfruttare appena le riserve petrolifere già note e aveva parlato del pré-sal come del «passaporto per il futuro» del paese, è infatti estremamente improbabile che voglia correre il rischio di inimicarsi un’altra volta la potente ministra, le cui eventuali dimissioni sarebbero devastanti per la sua immagine a livello internazionale. Tanto più in un momento in cui il governo può celebrare la riduzione del 68% del tasso di deforestazione nel mese di aprile: il risultato migliore degli ultimi tre anni.>>

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