25, è festa d’Aprile!
Per tenere viva la memoria più storia, Bella ciao e flash mob
Un flash mob per tenere viva la memoria. Questo è l’intento dell’Anpi, che per il 25 aprile ha deciso di lanciare un’iniziativa in cui invita tutti a cantare “Bella Ciao” dai balconi di casa per non far perdere il significato di questa ricorrenza. Serve davvero per avere e diffondere la memoria della nostra storia? Non si corre il rischio di altri flash mob, come ad esempio quello recente pro medici e infermieri?
Alberto Cavaglion – autore del volume “La Resistenza spiegata a mia figlia” – nella recente intervista rilasciata a Valerio Marchi, Il Messaggero, ricorda «No alle semplificazioni, è uno dei passaggi più complicati della nostra storia», sottolineando quanto è perdurato in Italia – e per alcuni versi continua – «il ritardo della storiografia, nel leggere la Resistenza, rispetto alla letteratura… perché la semplificazione non è banalizzazione. Non possiamo né edulcorare uno dei passaggi più complicati della nostra storia né ridurlo ad una sorta di “Western” tradizionale, con i buoni tutti da una parte e i cattivi tutti dall’altra… sì, riconoscere dignità storica a chi è stato dalla parte sbagliata, ma anche ribadire che, a prescindere dai comportamenti virtuosi o colpevoli dei singoli di entrambe le sponde, una parte fu giusta e l’altra sbagliata… Sì, e per evitarle dobbiamo rilevare due livelli: c’è per cominciare il fascismo che inizia negli anni ‘20 e che perseguita una prima generazione di antifascisti; poi viene quello successivo all’8 settembre 1943, cui corrisponde un antifascismo nuovo, non sovrapponibile al precedente. Dopo l’8 settembre si diventava antifascisti per la lezione dei fatti, mentre i primi antifascisti avevano già imparato la lezione de sé….». per continuare aprire l’allegato
La Resistenza e le donne – In “Passato e Presente” di Paolo Mieli, Rai 3 ha nuovamente trasmesso, il 23 aprile, la puntata su “La Resistenza e le donne”. Per maggior informazione, per rivedere la puntata, un clic su questo link
http://www.televideoteca.it/passato-e-presente/la-resistenza-e-le-donne-569135
Estate 1943, comincia la lotta partigiana, tra i combattenti molte donne che conquistano, nel corso dei mesi, rispetto e riconoscenza… ma nell’immediato post Liberazione, da destra e da sinistra si suggerì alle donne che avevano partecipato alla resistenza civile e/o alla resistenza armata di “ritornare a fare la calza…per i mariti o fidanzati”. Solo 41 donne su 800 furono elette all’Assemblea Costituente e solo il 5% nel primo Parlamento della Repubblica. La Repubblica sorta con la Liberazione iniziò con questa prima mutilazione.
Vedi anche i files allegati che raccontano sulla vera storia di Bella Ciao, una canzone con una tradizione che si perde nei tempi, poco cantata dai partigiani, recuperata molti anni dopo e nel 1964 il Festival di Spoleto la lanciò come simbolo di identità unitaria nazionale della Liberazione . Nel 1975 Zaccagnini, partigiano, viene eletto segretario nazionale della DC e nella sala del Congresso si canta “Bella Ciao”.
Perché “Bella ciao”, nonostante tutto, è diventata il simbolo della Resistenza, superando sin da subito i confini nazionali? Perché ha attecchito questa “invenzione della tradizione”? Qualcuno ha sostenuto che il successo di “Bella ciao” deriverebbe dal fatto che non è “targata”, come potrebbe essere “Fischia il vento”, il cui rosso “Sol dell’Avvenir” rende il canto di chiara marca comunista. “Bella ciao”, invece, abbraccerebbe tutte le “facce” della Resistenza (Guerra patriottica di liberazione dall’esercito tedesco invasore; guerra civile contro la dittatura fascista; guerra di classe per l’emancipazione sociale), come individuate da Claudio Pavone.
Ma, probabilmente, aveva ragione Gianpaolo Pansa: «(Bella ciao) viene esibita di continuo ogni 25 aprile. Anche a me piace, con quel motivo musicale agile e allegro, che invita a cantarla». Il successo di “Bella ciao” come “inno” di una guerra durante la quale non fu mai cantata, plausibilmente, deriva dalla orecchiabilità del motivo, dalla facilità di memorizzazione del testo, dalla “trovata” del Nuovo Canzoniere di introdurre il battimani. Insomma, dalla sua immediata fruibilità.
Matteo Toninelli, su Il Venerdì, il supplemento della Repubblica del 24 Aprile, ricostruisce le storie di quei giovani calciatori che presero a calci il fascismo iniziando a restare immobili mentre la loro squadra salutava romanamente con il braccio alzato. Era un atto pubblico di dissenso rischioso. Passarono dal campo di gioco alle montagne. Dal cuoio del pallone al piombo delle pallottole. Con avversari ben più pericolosi di quelli che si incontrano su un prato verde. Rischiando molto di più di una sconfitta, la vita stessa. Erano i tempi in cui la marea nera del fascismo aveva sommerso l’Italia, i tempi della Resistenza. E su quella strada si incamminarono anche molti calciatori. Per conoscere queste storie aprire l’allegato
In allegato vedi anche il programma della maratona sul Web e le 350 voci
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