Cisl 2 – Non basta la contrattazione
Intervista ad Andrea Garnero (OCSE) di Francesco Riccardi, Avvenire 12-7-23, sui bassi salari e sulla constatazione che la contrattazione da sola non basta, contrariamente da quanto sostiene Luigi Sbarra (Cisl) nelle diverse interviste rilasciate in questo mese (vedi Cisl 3. «La contrattazione evidentemente non è sufficiente a tutelare i salari reali. E in Italia rischiamo diventi un sistema generatore di ulteriori diseguaglianze. Per questo sarebbe auspicabile sperimentare l’introduzione del salario minimo legale, seppur limitata ad alcuni settori con lavoratori più deboli». Andrea Garnero, economista del lavoro, è fra i curatori dell’Employment Outlook 2023 dell’Ocse. Di seguito le cinque domande.
<< Il calo così forte dei salari reali in Italia (-7,5%) a cosa è dovuto? Al riferimento all’Ipca, che non tiene conto dei rincari energetici o a un deficit generale della contrattazione?
Anzitutto sono le regole stesse della contrattazione che determinano un ritardo nel recupero dei salari rispetto all’andamento dei prezzi. In Italia i rinnovi sono di norma ogni 3 anni, in Francia invece ogni anno. A questo si aggiunga che i tempi spesso si allungano e che le regole stesse non vengono rispettate. Ad aprile scorso la metà dei lavoratori del settore privato aveva un contratto scaduto da oltre 2 anni, quello del commercio non viene rinnovato addirittura dal 2019. Poi, certo, anche il riferimento all’Ipca finisce per non tutelare dall’inflazione, in questo caso generata soprattutto dai prezzi dell’energia. Inoltre, da noi c’è stata anche meno conflittualità sociale rispetto ad altri Paesi, e quindi richieste meno pressanti di aumenti salariali.
Dal Rapporto Ocse sembra emergere che il salario minimo legale abbia protetto meglio i salari. Almeno ai livelli minimi.
Sì, è così. Nei Paesi Ocse i salari minimi hanno tenuto il passo, anzi sono cresciuti più dei prezzi: il 30% circa rispetto al 24-25% dell’inflazione da dicembre 2019. In alcuni casi, come in Francia o in Belgio, i salari minimi sono direttamente indicizzati all’inflazione oppure, come accaduto in Germania, le istituzioni preposte hanno deliberato aumenti significativi. In generale, sì, la contrattazione ha tutelato meno i salari rispetto ai minimi legali perché è più lenta la reazione all’impennata dei prezzi rispetto alle indicizzazioni più o meno automatiche o alle decisioni politiche di stabilire aumenti dei minimi orari. E questo ha garantito quel 5, 10 o massimo 15% di lavoratori dei Paesi Ocse ai quali si applica il salario minimo legale.
Il dibattito si è riaperto da noi, con posizioni contrapposte. Lei ha coordinato la commissione governativa che lo scorso anno esaminò la questione. Ritiene che sarebbe utile introdurre il salario minimo da noi? Non finirebbe per danneggiare la contrattazione?
Sono ancora dell’opinione – espressa dal quel gruppo di lavoro, diversificato per formazione – che la questione si pone e non si può semplicemente dire: “basta la contrattazione”. Perché questa lascia troppe persone scoperte, in particolare i lavoratori dei segmenti più deboli. Addirittura oggi rischiamo che la contrattazione da sola sia generatrice di disuguaglianze, perché protegge bene i lavoratori dei settori già relativamente meglio pagati – come ad esempio la chimica o la meccanica – e lascia scoperti i comparti dove invece ci sono i lavoratori più deboli, come quelli della logistica. Penso occorra sperimentare anche diversi modelli: l’introduzione di un salario minimo legale o una sorta di estensione erga omnes dei contratti nazionali, seppure difficile dal punto di vista giuridico, ad alcuni limitati settori e vedere cosa succede. Per alcuni segmenti dell’occupazione c’è un’urgenza di tutela a cui va data risposta sperimentando, monitorando e valutando i risultati. E questo si può fare senza danneggiare il sistema generale della contrattazione.
Il livello di 9 euro all’ora come trattamento economico minimo è adeguato rispetto al salario mediano in Italia, è in grado di tutelare bene le fasce basse?
Non c’è una formula magica per applicare il “giusto” salario minimo. Nei Paesi Ocse si fa riferimento normalmente a un range tra il 40 e il 60% del salario mediano. Per l’Italia 9 euro sarebbe una soglia alta, oltre il 70% del salario mediano e quindi qualche rischio per l’occupazione e i contratti esiste. Ma la decisione è politica e parliamo di un Paese, il nostro, in cui come abbiamo visto i salari sono stagnanti da molto tempo. Sarebbe anche questo un aspetto da sperimentare. In altre nazioni si è lasciata la decisione a una commissione con le parti sociali, che ha valutato. In alcuni Paesi si è partiti con una cifra prudenziale e poi si è accelerato con gli aumenti. In Germania e in Gran Bretagna, comunque, l’introduzione del salario minimo legale non ha prodotto danni alla contrattazione.
In Italia anche i profitti sono rimasti a livelli bassi come i salari. Dipende dalla scarsa produttività?
Sì, la produttività è il fattore decisivo. Ed è l’”elefante nella stanza” di qualsiasi discussione sui salari. Senza incrementi significativi di produttività i margini per aumentare gli stipendi – quali che siano gli strumenti messi in campo – sono sempre molto ristretti. >>
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