Un’altra Europa
Un’altra Europa va pensata e va costruita – Di un’altra Europa se ne parla più nei movimenti che non nei partiti e nei sindacati; se ne parla più nei partiti di destra (in chiave nazionalista) che tra quelli di sinistra (dove, in genere, si sottolinea la necessità di dare più poteri agli organismi dell’Unione Europea con il voto a maggioranza e rivedere alcune norme dei trattati).
Guido Ortona, docente del Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Economiche, Politiche e Sociali, UPO, in pensione dal 2017, ci ha inviato un articolo “In fondo a sinistra” nel quale espone in 7 punti la necessità di un dibattito per una diversa Europa che per essere costruita richiede, non solo un confronto dialettico, ma anche iniziative di lotta e di antagonismo verso determinati poteri, e concetti, economici-finanziari.
Così inizia l’articolo “In fondo sinistra” di Guido Ortona.
1. Cosa non deve mancare nel programma di un partito politico di sinistra.
Parto da una constatazione che dovrebbe essere ovvia ed elementare: il programma di un partito politico di sinistra deve contenere proposte sui problemi fondamentali della società in cui ci si trova. Ovvia perché è da essi che conseguono i seri problemi quotidiani (se ce ne sono, e oggi in Italia indubbiamente ci sono) che affliggono il popolo[1]. Per fare un esempio: è giusto lottare perché l’ospedale X della città di Y osservi norme di profilassi migliori. Questa lotta potrà sortire qualche risultato. Potrà anche salvare qualche vita. Ma la somma di tutte le lotte di tutti gli ospedali X cambierà sostanzialmente poco se non si ottiene un rifinanziamento della sanità pubblica. Un altro: la lotta per condizioni di lavoro migliori nell’azienda W potrà forse riuscire vittoriosa. Ma sarà ben poca cosa se intanto (cosa che sta avvenendo passo dopo passo) si aboliscono i diritti dei lavoratori.
Ora, fra i “grandi problemi” che un partito di sinistra non può permettersi di ignorare ce ne sono due che probabilmente sono i più grandi fra quelli che è possibile affrontare con politiche specifiche a livello nazionale[2]. Eccoli:
a) La gestione dell’economia da parte delle istituzioni europee. Questa gestione non è una gestione “tecnica”, e nemmeno la attuazione di compromessi tali per cui alla fine tutti ci guadagnano: è la risultante dell’interazione delle esigenze interne delle diverse economie nazionali, in cui prevalgono soprattutto gli interessi della Germania e in cui quelli dell’Italia sono fortemente danneggiati[3].
b) La mancanza di politiche redistributive dall’alto verso il basso. Le politiche di sinistra costano. Occorre trovare i soldi, e ciò implica prenderli ai ricchi.
Il che ovviamente non vuole dire che altre proposte devono essere escluse, né che quello che una volta si chiamava “lavoro di base” non sia importante. Lo è certamente. Ma questo non autorizza i partiti di sinistra a ignorare i grandi problemi. E’ giusto difendere i diritti di lavoratori. Ma è molto difficile farlo, e ancora di più estendere quei diritti in un regime di stagnazione o recessione. Che non è una calamità naturale.
Chi è d’accordo con quanto sopra può passare al paragrafo 3. Chi ha dei dubbi troverà qualche considerazione nel prossimo paragrafo. Chi non è d’accordo, e rimane in disaccordo anche dopo la lettura del prossimo paragrafo, può fare a meno di continuare a leggere, però sarebbe bene che si domandasse (e se possibile mi spiegasse) perché non è d’accordo. I ragionamenti che seguono dal paragrafo 3 in poi danno per scontata l’accettazione di quanto in questo paragrafo.
2. Breve approfondimento sui punti elencati al paragrafo predente.
Punto a). Una politica economica di sinistra che voglia incidere in modo significativo non solo sul modello di crescita del nostro paese, ma anche solo sulla sua crescita, presuppone una ridefinizione delle regole che ci legano alla Commissione dell’Unione e alla Banca Centrale Europea. E’ infatti necessario sottrarsi al doppio vincolo imposto dalle regole europee: sottrarre ogni anno dalla disponibilità del governo circa il 5% della spesa pubblica per il servizio del debito (ed essere sottoposti alla volatilità di questa cifra) e la difesa (anzi, l’espansione) delle rendite finanziarie a scapito dell’economia reale, come è successo in Grecia. Quindi, il primo passo di un programma di politica economica di sinistra deve essere rivendicare in Europa, e quindi lottare per ottenere (cosa possibilegrazie al gigantesco potere di ricatto del debitore di cui gode l’Italia) una gestione del debito pubblico che sia subordinata alla crescita dell’economia, e non condizionabile dagli interessi politici di altri paesi.Niente crescita, niente servizio o rimborso del debito, al massimo impegno a non estenderlo. Si noti che un paese costantemente in attivo primario (tranne che in emergenza covid), come l’Italia, ha di solito più risorse da investire se non aumenta il debito e al tempo stesso riduce il pagamento degli interessi e il rimborso, rispetto al’espansione continua del debito con interessi non calmierati[4]. Proposte in tal senso esistono e sono tecnicamente attuabili; ma ovviamente richiedono una volontà politica – e quindi una lotta politica. Il fatto che i politici di sinistra perlopiù non le conoscano testimonia della loro ignoranza, non dell’impraticabilità delle proposte. Si noti che l’Europa, come già osservato, non fa errori: fa gli interessi di alcuni paesi e alcuni gruppi sociali contro quelli di altri paesi e altri gruppi. Quindi non ha senso cercare di spiegare alla Commissione “perché sbaglia”, come troppo spesso leggiamo.
Punto b). Ma quanto sopra non basta. Attuare politiche economiche di sinistra richiede risorse. Queste non possono essere ottenute a debito (che comunque è troppo alto, e che se rimborsato costituisce un trasferimento dal basso verso l’alto). Devono quindi essere ottenute mediante un aumento delle tasse[5]. Se si vuole essere di sinistra, queste devono gravare sui ricchi e consentire un trasferimento ai poveri (o allo Stato sociale). Anche su questo punto esistono proposte praticabili, che non causerebbero né inflazione né ristagno, e anche su questo punto la loro ignoranza non è una scusante, piuttosto un’aggravante.
L’articolo (vedi allegato) prosegue con i seguenti capitoli:
3. Due questioni di metodo.
4. Riassunto fin qui.
5. Cosa dicono invece i programmi della sinistra?
6. Seguito.
7. Perché? Perché la sinistra non è in grado di esprimere un programma di lotta composto di pochi punti programmatici, chiari, praticabili e che affrontino i problemi principali?
[1] Naturalmente non ci sono “i ricchi” e i “poveri”, c’è un continuo che va da chi muore di fame a chi possiede miliardi. Ma ritengo che questa semplificazione sia accettabile in nome della chiarezza.
[2] Ci sono naturalmente problemi più grandi, come la crisi climatica o la guerra Nato-Russia. Ma sui primi poco (anche se ovviamente non “niente”) incidono le politiche praticabili a livello nazionale, e il secondo è contingente, anche se probabilmente da come si evolverà dipenderà tutto il resto. Comunque la loro eventuale, ed auspicabile, introduzione in un programma di sinistra non toglie validità a quanto segue. Un problema grave si aggiunge alla necessità di affrontare altri problemi gravi, non sostituisce tale necessità.
[3] Naturalmente i “padroni” e i “lavoratori” (cfr. nota 1) tedeschi, così come quelli italiani, hanno interessi in buona parte contrapposti. Ma in questo periodo i padroni tedeschi sono in grado di egemonizzare i loro lavoratori anche grazie alla possibilità di scaricare su altri paesi una serie di costi. Come è già successo in molti paesi e in molti momenti storici.
[4] Ricordo che un paese è in attivo primario quando le entrate dello Stato sono superiori alle uscite se non si considera il pagamento degli interessi sul debito pubblico.
[5] Non ci si faccia troppe illusioni sulla lotta all’evasione fiscale. Per i piccoli contribuenti l’evasione è sistemica, una sua sostanziale riduzione porterebbe al tempo stesso a un aumento dei prezzi e a una serie di fallimenti, con seri effetti stagflazionisti. Per i grandi contribuenti molto più dell’evasione conta la elusione, difficile da affrontare perché essi possono fare scappare i loro redditi all’estero, come stanno facendo. Quindi “lotta all’evasione” è solo uno slogan (certamente giusto) se non si specifica come, con quali misure compensative, ecc.; e non si quantificano le risorse ottenibili.
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