Summit a Belem sull’Amazzonia
Gianluca Di Donfrancesco nell’articolo “Summit sull’Amazzonia: Lula vuole fermare la deforestazione entro il 2030” su Il Sole del 9-9-23, riassume il vertice di Belem dove si sono riuniti i rappresentanti di Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela: le otto nazioni sul cui territorio si estende il più grande polmone verde del mondo, capace di influenzare il clima. Non si erano più incontrate dal 2009. L’Amazzonia assorbe 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, equivalenti al 4% delle emissioni generate dai combustibili fossili. Secondo dati ufficiali la deforestazione in Brasile è scesa del 42% nei primi sette mesi 2023 da quando, il primo di gennaio 2023, si è insediato il presidente Lula.
Riproduciamo l’articolo <<Un summit regionale con gli occhi del mondo addosso e un’ambizione enorme: salvare l’Amazzonia. Tra ieri e oggi, ci hanno lavorato i rappresentanti di Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela: le otto nazioni che compongono l’Organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica. È la prima riunione dal 2009 e a tirare le fila è il padrone di casa, il presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula, che vuole riportare il suo Paese al centro della diplomazia internazionale sul clima, dopo i disastri del predecessore, Jair Bolsonaro.
Tra gli invitati ci sono anche i leader di Paesi che ospitano le altre foreste pluviali del pianeta, come Indonesia, Congo e Repubblica del Congo. Partecipano anche Norvegia e Germania, che hanno finanziato progetti per la conservazione dell’Amazzonia, e la Francia, che controlla il territorio amazzonico della Guyana francese.
La città scelta per ospitare il summit è Belem, capitale dello Stato amazzonico di Para, che sarà anche sede della Cop30, la conferenza mondiale sul cambiamento climatico del 2025. E che è stata pacificamente invasa fin dalla vigilia da oltre 20mila attivisti indigeni, in rappresentanza delle popolazioni in prima linea.
La foresta amazzonica è il principale polmone verde della Terra: con il suo potere di assorbire anidride carbonica e rilasciare ossigeno, è in grado di influenzare il clima. Anni di sciagurato sfruttamento hanno portato alcune sue regioni sull’orlo del punto di non ritorno, oltrepassato il quale rischiano di perdere la capacità di autorigenerarsi.
L’allarme è stato lanciato infinite volte. L’attenzione si è concentrata soprattutto sul Brasile, che da solo ospita oltre il 60% dell’Amazzonia. Sul Governo Bolsonaro sono piovute aspre critiche per l’accelerazione senza precedenti della deforestazione. Tra i più duri, il francese Emmanuel Macron, entrato direttamente in polemica con l’ex presidente brasiliano.
La questione è anche uno dei principali ostacoli nei negoziati commerciali tra Unione europea e Mercosur, con Bruxelles che chiede garanzie contro lo sfruttamento di questa risorsa unica per il pianeta. L’Unione europea ha recentemente approvato una normativa che vieta alle aziende di importare carne di manzo, soia, cacao e altri prodotti legati alla deforestazione. Per i Paesi della regione, però, si tratterebbe solo di barriere protezionistiche.
L’obiettivo di Lula è anche costruire una coalizione regionale in grado di fare pressione sui Paesi avanzati per ottenere aiuti. In Brasile, come in Colombia o Venezuela, per porre fine a deforestazione illegale e sfruttamento (per far posto a miniere, coltivazioni e allevamenti intensivi), i Governi devono poter offrire opportunità economiche alternative. «Serve una nuova visione dello sviluppo sostenibile, che combini la protezione dell’ambiente con la creazione di posti di lavoro», ha detto ieri Lula.
Riuscire a definire linee comuni per i Paesi amazzonici non è però cosa da poco: non è facile costruire consenso in una regione dipendente dalle materie prime, dove circa un terzo della popolazione vive in povertà e lo sviluppo rimane la preoccupazione principale.
I leader sudamericani hanno poi approcci diversi alle questioni ambientali. Il presidente della Colombia, Gustavo Petro, punta a vietare le nuove esplorazioni petrolifere, mentre lo stesso Lula cerca una via di mezzo: la società di Stato Petrobras vuole incrementare la produzione di petrolio e gas naturale. In Bolivia, la deforestazione è aumentata di recente, a causa degli incendi e della rapida espansione dell’agricoltura.
Un’area di consenso è la lotta alla criminalità nell’Amazzonia. Un rapporto Onu pubblicato a giugno ha indicato che parti significative della foresta sono «devastate da un complesso ecosistema di crimini legati alla droga», con i proventi di sofisticate operazioni hi tech di narco-traffico che confluiscono nel disboscamento illegale, nell’allevamento e nell’estrazione dell’oro. Lula ha già annunciato che il Brasile creerà un centro di cooperazione internazionale di polizia a Manaus, la più grande città dell’Amazzonia. In allegato la scheda sull’Amazzonia.
COME SI E’ CONCLUSO IL VERTICE DI BELEM ? – Come in altri Summit per asssumere decisioni sul contenimento della CO2 per frenare il surriscaldamento e l’instabilità del clima con i disastri che ne conseguono, anche a Belem non sono mancate le buone intenzioni e dichiarazioni d’intenti, MA NUOVAMENTE il disaccordo è emerso nell’assumere decisioni imperative-esecutive per dare credibiltà agli obiettivi conclamati, come ad esempio fissare una data per fermare la deforestazione dell’Amazzonia.In allegato trovate l’articolo “Patto per l’Amazzonia: salta lo stop al 2030 per la deforestazione”, sempre a cura di a cura di GianLuca Di Donfrancesco su Il Sole del 10 Agosto.
Articoli correlati – 1-Appello di 100 scienziati “Non è maltempo è crisi climatica” rivolto ai giornalisti perchè raccontino la inquietante realtà, per mettere in moto più rapidamente interventi coordinati in tutti i paesi. 2 – “Quelli che continuano a confondere il maltempo con la Terra che muore” di Mario Tozzi La Stampa 4-8-23 – Aprire gli allegati.
AGGIORNAMENTO – Ecuador, con il 59% di sì il petrolio di Yasuní resta sotto terra – Un referendum (domenica 20 agosto 2023) dal risultato epocale. Leonidas Iza (Conaie): “Abbiamo salvato le loro vite e la loro sovranità alimentare. Nella lotta ai cambiamenti climatici i territori meglio protetti sono quelli indigeni”. Un Sì per la protezione di un paradiso unico di biodiversità dell’Amazzonia, a cui si è aggiunta anche la vittoria (con il 68% dei voti) al referendum locale per la salvaguardia del paradiso di Quito, il Chocó-Andino. Vedi articolo allegato di Claudia Fanti su Il Manifesto del 22-8-23
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