Sono forse un luddista?
Savino Pezzotta pubblica sul suo blog “Sono un luddista?” per sollecitare la riflessione e il senso critico sull’intelligenza artificiale al fine di un suo utilizzo per una società con più giustizia, più uguaglianza, più democrazia, più solidarietà e più lavoro. Così inizia. Per chi mi conosce può sembrare paradossale che mi ponga questa domanda essendo sempre stato, come persona e sindacalista interessato a comprendere come l’introduzione di nuove tecnologie abbia e modifichi l’organizzazione del lavoro, il concetto stesso di lavoro, le forme della produzione di beni, la politica, l’economia e la società. Lentamente, ma inesorabilmente, mentre mi documentavo e comprendevo, non senza difficoltà, come le attuali tecnologie digitali e in particolare quelle che fanno capo alla cosiddetta “intelligenza artificiale” hanno inciso in maniera pervasiva sulla vita quotidiana, sugli stili di vita, sulle relazioni personali e sociali e sul lavoro e sulle forme della guerra, in questi primi decenni del XXI secolo sono stato preso da inquietudini e molteplici interrogavi.
L’intelligenza artificiale ci circonda anche se non ce ne rendiamo conto, essa non è come siamo soliti pensare un progresso della tecnologia, ma una profonda metamorfosi che tocca tutte le tecnologia e coinvolge già ora molti aspetti della nostra vita, sono le invisibili tecnologie che sostengono i frigoriferi intelligenti, la selezione di una persona per il posto di lavoro, le guide all’acquisto o per la ricerca di un biglietto aereo più conveniente e altre cose che utilizziamo frequentemente, quello che è chiaro che l’insieme di questi artefici sono entrati nella quotidianità e influenzano pesantemente le relazioni sociali e la nostra identità individuale ma anche quella sociale.
Proprio mentre cercavo di comprendere l’impatto sul vivere, sul lavorare, e sulla società e sulla violenza istituzionale, sull’economia e sulle stesse forme del pensare sono stato spinto a cercare nella storia sociale dei movimenti operai situazioni paragonabili a quelle che stiamo vivendo. Sono cosciente delle differenze esistenti dal punto di vista economico e normativo tra i diversi periodi, ma qualche cosa di comune c’era e questo mi ha portato a impattare con il movimento luddista.
Nel profondo del mio essere ho percepito il sorgere di una sorta di empatia verso quell’antico movimento e nello stesso tempo di avversione verso le forme estreme che aveva introdotto nella sua azione e mobilitazione dove predominava un sentimento di ribellione o di negazione rispetto all’uso e introduzione delle nuove tecnologie, ma anche a comprendere che non si trattava di una reazione ingenua .
Avendo coscienza viviamo all’interno di una nuova rivoluzione industriale e che è segnata dall’avvento delle tecnologie digitale e informatiche e che questa è una condizione a cui non possiamo sottrarci anche se non è totalmente soddisfacente. Sicuramente va apprezzato l’alleviamento della fatica, il rendere alcuni interventi sanitari e chirurgici più efficienti, la circolazione di una massa di informazioni e di strumenti che facilitano il vivere, mi sto rendendo conto che dentro questi processi rivoluzionari si è comunque sempre sospesi tra straordinarie opportunità e grandi rischi (penso solo all’uso che se ne può fare nei sistemi d’arma autonomi e letali).
Richard Baldwin[1] uno degli studiosi più importanti e avvertiti sull’imminente trasformazione della manifattura e dei servizi per effetto delle nuove tecnologie, sostiene che i progressi nella potenza di calcolo e nelle tecnologie digitali stanno cambiando rapidamente il modo con cui la gente lavora e stravolgeranno molte delle nostre convinzioni e dei paradigmi con cui tradizionalmente avevamo abituato il nostro pensiero, compreso quello sindacale.
La realtà attuale mi ha portato a rivedere molte delle mie posizioni rispetto al luddismo e ho cercato di cogliere le motivazioni di fondo di quel movimento da cui è scaturito successivamente il sindacalismo.
Per lungo tempo nel sindacato il termine luddista stato utilizzato come insulto e anche recentemente ogni qualvolta si avanzano rilievi critici all’uso delle nuove strumentazioni tecnologiche, si è stati spregiativamente accusati di luddismo, di avversione alla tecnologia, ma questo è stato solo un modo per evitare di discutere criticamente l’impatto che le nuove tecnologie informatiche e biologiche hanno sul vivere delle persone, sulla loro libertà e sulla nuove dinamiche che si introducevano nello svolgimento dei lavori, anche il termine dipendente acquista oggi nuovi significati .
Il descrivere come luddista ogni pensiero critico sulla invadenza tecnologica ha significato indicare chi praticava un pensare analitico come un essere primitivo, portatore di una visione arretrata e, soprattutto, ignorante delle meraviglie dell’innovazione e timoroso dell’evoluzione della società moderna.
Sono convinto che l’attuale tecnottimismo non aiuti a comprendere l’impatto diretto e indiretto che stanno producendo le nuove tecnologie sul vivere personale e sociale e che la designazione totalmente negativa dei luddisti si fondi su una debole conoscenza della vera storia di quel movimento e che si vogliano relegare i lavoratori tessili inglesi – che all’inizio del XIX secolo, agendo di notte, distrussero le macchine per tessere in segno di protesta contro il cambiamento delle loro condizioni di lavoro – in uno spazio reazionario.
Personalmente credo che essi più di altri avessero compreso come le tecnologie stessero cambiando il mondo e i rapporti sociali e che non si poteva restare passivi, di certo esageravano ma diedero inconsciamente una spinta formidabile alla nascita dell’organizzazione dei lavoratori: le casse di mutuo soccorso e il sindacalismo.
Le situazioni odierne in cui si muovono molte persone al lavoro presentano analogie con quel tempo più di quanto potrebbe sembrare a prima vista, poiché le nuove tecnologie, lo si voglia o meno trasformano e modificano radicalmente l’organizzazione del lavoro e di conseguenza le condizioni lavorative e sociali: si pensi alle nuove possibilità del controllo individuale sui dipendenti o allo sfruttamento da parte delle piattaforme di lavoro a tempo determinato, alla riduzione di occupazione che molte volte è determinata dall’introduzione dei nuovi strumenti tecnologici, dai robot agli artifici governati dall’Intelligenza Artificiale … e siamo ancora agli inizi.
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