Meglio non lavorare?
Nel movimento sindacale spesso risuona la rivendicazione di “cambiare la società e il modello di sviluppo” alla quale poi fa seguito il comportamento tradizionale per conservare lo “statu quo”, a volte anche corporativo. La vicenda dell’annuncio di una riforma degli ammortizzatori sociali che si protrae dall’inizio della pandemia Covid ne è un testimone. E quanto succede con il reddito di cittadinanza e dintorni (analogo o superiore in più casi ai minimi contrattuali) induce molti alla scelta che “…è meglio non lavorare” oppure “ …è meglio continuare con il lavorare in nero”. I sindacati confederali sono chiamati a darsi una mossa per mettere in campo una reale strategia unitaria di trasformazione di questi “modelli”, superando gli attuali evidenti limiti di analisi e di proposta.
Claudio Cerasa, su Il Foglio, scrive un editoriale che farà certamente discutere “Ok boomer o ok chossy? Mancano gli stagionali, sì, ma il guaio dei lavori senza lavoratori riguarda i genitori, non il Reddito di cittadinanza” – Così inizia. Sarà capitato anche a voi, magari sfogliando i giornali locali, magari passeggiando al mare, magari entrando in uno stabilimento balneare, magari sedendovi al banco di un bar, magari accomodandovi al tavolo di un ristorante, di fare i conti con una piccola verità difficile da accettare in una stagione come quella attuale in cui lo sblocco dei licenziamenti spaventa, in cui il lavoro sembra non esserci e in cui la disoccupazione toma a essere uno spauracchio vero, concreto, reale. Sarà capitato anche a voi però, in una di queste prime giornate estive, di imbattervi in una qualche testimonianza di un qualche proprietario di un qualche locale che in meda sincero è lì, di fronte a voi, a stupirsi per il fatto di non riuscire a trovare i lavoratori di cui avrebbe tanto bisogno. (…) . (vedi testo in allegato) Il direttore de Il Foglio utilizza due parole inglesi in apertura e chiusura che hanno molte polemiche anche per il significato diverso che viene attribuito nel linguaggio sociale, rispetto quello letterale. La parola chossy suscitò molte polemiche quando venne usata dall’allora ministra Elsa Ferrero in un suo editoriale. Il termine boomer è stato utilizzato un paio d’anni fa, al parlamento neozelandese dalla giovane deputata del Green Party Chlöe Charlotte Swarbrick, come si può leggere con questo link https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/17/se-qualcuno-ti-dice-ok-boomer-devi-sapere-che-da-dove-arriva-questa-espressione-virale-e-cosa-significa/5568016/
In “Storie-I poveri snobbano il reddito di cittadinanza: “Non conviene, meglio continuare a lavorare in nero” Lidia Baratta su Linkiesta scrive. C’è una parte dell’Italia povera che, pur avendo i requisiti, non richiederà il reddito di cittadinanza. Lo confermano dai Caf: tanti lavoratori in nero, dopo un’analisi costi-benefici, preferiscono restare nell’ombra anziché accendere la luce del Fisco e rinunciare alle esenzioni di cui già godono. «Il reddito di cittadinanza? Non mi conviene, meglio continuare a lavorare in nero». Manuela, 50 anni, commessa “invisibile” di un negozio d’abbigliamento del Sud Italia, s’è fatta i conti in tasca insieme al marito. Con un’entrata non dichiarata di 600 euro al mese, potendo contare formalmente solo sull’assegno di invalidità di lui da 650 euro, avrebbe tutti i requisiti per poter fare domanda di sussidio, visto che l’Isee di famiglia arriva a 6mila euro scarsi. «Ma saremmo pazzi a chiedere il reddito», spiegano. «Per 780 euro al massimo, ci attiriamo i controlli dell’Agenzia delle entrate, con il rischio dover rinunciare a una serie di esenzioni e agevolazioni che ci fanno comodo». Tanto, dice Manuela, «a 50 anni che lavoro vuoi che mi troveranno al centro per l’impiego?» Qualcosa comunque non torna. Va bene battere la povertà soprattutto in aree arretrate ma il sistema così come ora strutturato rischia di creare una nuova classe di rentier con ben poche motivazioni a cercare un lavoro. Perché sbattersi e bussare alla porta delle imprese se si ottiene un reddito cospicuo senza fare nulla? (…) per proseguire un clic su questo link https://www.linkiesta.it/2019/03/reddito-cittadinanza-lavoro-nero/
In “Sussidi e bonus, in Italia è meglio non lavorare”, Filippo Caleri, su Il Tempo, scrive. Tra sussidi e bonus siamo diventati un Paese dove lavorare non conviene più. Inutile affaticarsi. Basta metter su famiglia, comprare un bel divano e attendere. Sì perché grazie alla fortunata combinazione del reddito di cittadinanza con l’ultimo sussidio fresco di nascita come l’assegno unico, interi nuclei familiari possono ambire a mettere in cassa ogni mese ben 1.634 euro. Esentasse si intende, e dunque netti (…). L’articolo prosegue con altri dettagli che fotografano parte della nostra realtà. Ignorarla solo perché viene pubblicizzata su giornali della destra sarebbe un grave errore. Per continuare a leggere https://www.iltempo.it/politica/2021/06/28/news/bonus-sussidi-reddito-cittadinanza-assegno-familiare-italia-meglio-non-lavorare-27757459/
Un’analisi opposta sul reddito di cittadinanza è fatta dalla sociologa Francesca Coin che sulla rivista Internazionale pubblica “Gli stereotipi sul reddito di cittadinanza non aiutano nessuno” e così inizia. C’è una misura in Italia che non gode di buona reputazione: il reddito di cittadinanza, il sostegno introdotto nel 2019 per contrastare la povertà e facilitare il reinserimento lavorativo di chi ne fa domanda. Da varie settimane le pagine di cronaca si soffermano in modo insistente sui suoi limiti. Quello più evidenziato è che tra le persone che lo percepiscono (in media 584 euro al mese) ci sarebbero anche dei “furbetti”, che hanno incassato i soldi ma in realtà, secondo la stampa, sono proprietari di case di lusso, di Ferrari, a volte sono addirittura deceduti, oppure si tratta di trafficanti o mafiosi che amano rimanere sul divano tutto il giorno a farsi mantenere dalla società. Secondo i critici, “i furbetti” del reddito di cittadinanza causano un danno erariale che colpisce la stabilità economica del paese. Per esempio, le quindici persone denunciate a Roma per averlo ricevuto indebitamente avrebbero percepito complessivamente circa 75mila euro, una cifra certo significativa ma incomparabile ai circa 110 miliardi di euro di evasione fiscale all’anno che, va detto, è assai meno stigmatizzata nel dibattito pubblico. C’è un ultimo limite imputato alla misura: il rischio di sovversione morale che instillerebbe nella popolazione, il timore che chi percepisce il reddito di cittadinanza si innamori a tal punto del “dolce far nulla” che il futuro del paese si trasformerà presto in una specie di distopia in cui nessuno vorrà lavorare, a prescindere dalle opportunità di impiego. (…) per proseguire un clic su questo link https://www.internazionale.it/opinione/francesca-coin/2021/05/28/reddito-cittadinanza-italia
Piergiovanni Alleva, docente di Diritto del Lavoro, intervistato da Daniele Nalbone, su MicroMega, in “ Reddito di cittadinanza e licenziamenti” esprime le sue valutazioni su: I datori di lavoro che non trovano dipendenti. Gli imprenditori che non possono licenziare. Una narrazione sbilanciata sta attaccando il RdC e, in generale, i lavoratori. Perché dalle crisi si può uscire da destra e da sinistra. “E l’Italia di Draghi – analizza il giurista – ha scelto chiaramente”. La discussione non è incentrata solamente sul reddito di cittadinanza, ma sulle condizioni generali in cui versa il mondo del lavoro in Italia partendo dalla misura di welfare. “Quella del reddito di cittadinanza è stata una delle poche riforme civile fatte in Italia” – e precisazione, per mettere le cose in chiaro: “Il Movimento 5 stelle non è il mio partito, ma su questo devo dire che ha lasciato il segno, al di là delle imperfezioni della legge”. (…) per il testo dell’intervista attiva questo link https://www.micromega.net/reddito-cittadinanza-licenziamenti-alleva/
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