LIBIA RACCONTATA DA DESTRA – T.Ferigo – cultura & globalmondo 8/11/11

Oltre che su Libero  lo storico Giuseppe Parlato, ampiamente presente in molti siti dell’estrema destra più o meno nostalgica,  trova ora spazio su via Po, l’inserto culturale di Conquiste del Lavoro.  Il professore, da storico,  parte da lontano. Con una non nuova disamina sulla politica di Giolitti per  spiegare  perchè gli italiani andarono in Libia nel 1911. Giolitti usò cinicamente la Libia per sostenere la sua politica interna tesa ad aprire  alla sinistra moderata con "la proposta del suffragio universale maschile e la nazionalizzazione sulle assicurazioni sulla vita ", bilanciandola con " un gesto significativo per non alienarsi la destra nazionalista e quella economica".

Destra nazionalista il cui espansionismo era visto come novità da una " opinione pubblica , stanca di socialismo barricadero e inconcludente e di rivoluzioni annunciate e mai realizzate". Vecchia tesi per cui il nazionalismo era una reazione al socialismo. Per stanchezza scrive il professore, altri dicono invece per paura di cambiamenti sociali e di sovversione dell’ordine stabilito. Mentre Bacchelli ironozzava sugli anarchici al ponte lungo, Bava beccaris faceva l’opera sua con le cannonate. L’ espansionismo era la " fusione di nazione e popolo che per la prima volta presentava una ricetta che poteva essere accettata dalla destra nazionalista e dalla sinistra sindacalista rivoluzionaria". Che Giolitti pensasse alla destra nel far finta che anche l’Italia potesse essere una grande potenza e ,essendo rimasto solo lo "scatolone di sabbia " libico da colonizzare nel nord africa è probabile ,ma che si preoccupasse dei pochi sindacalisti rivoluzionari è alquanto improbabile. Un’aggiunta del professore particolarmente attento a tutto ciò che finirà nel fascismo anche in nome dell’anticapitalismo, della demoplutocrazia, del sovversivismo vitalistico…

Giunto a questo punto, tenuto conto che stavo leggendo un giornale sindacale,  non una rivista di storiografia con opinabili tesi, mi aspettavo qualche informazione su cosa gli italiani ci sono stati a fare in Libia e non solo perchè vi sono stati mandati e dell’uso che della Libia si fece dal 1911 in avanti. Attesa a cui è dedicata solo dalla  parte dell’intervento su Conquiste con la citazione che segue.

Giolitti voleva "nazionalizzare le masse coinvolgendole in un conflitto nel quale il carattere del popolo si sarebbe trasformato per essere in linea con il ruolo di grande potenza che l’Italia stava per assumere". Ma gli andò male  " perchè la guerra fu più lunga e complessa del previsto . In Libia la situazione continuò a essere precaria per un’altra ventina d’anni a causa della guerriglia dei locali e fu risolta solo da Graziani nel 1932 ". 

Stop. Fine della trasmissione.

Che la "soluzione" di Graziani sia costata ai libici circa 150.000 morti, villaggi bombardati e innaffiati con il gas , esecuzioni di massa,impiccagioni sulla pubblica piazza. Che Italo Balbo esponente della sinistra fascista tanto cara e studiata dal Professore si sia particolarmente distinto in questa opera civilizzatrice. Che i primi coloni italiani siano arrivati solo dopo il 1931 a "pacificazione " avvenuta e su  di essi si scaricherà  nel dopoguerra la "vendetta " di Gheddafi e il suo uso politico del risentimento anti italiano.  Che l’espansionismo nazionalista diventò nell’Italietta fascista imperialismo nato sui "colli immortali di Roma "  perchè ricordava il Duce " Roma doma " . Che dopo la Libia arrivò l’Abissinia a cui demmo un altro duce e un altro re a suon di bombe e di gas tossici  Insomma che sulla Libia venga offerta solo una discutibile e vecchia tesi storiografica  non interessa al Professore ( legittima scelta sua ) ma anche , nel caso,a Conquiste. 

Se il lettore  si aspetta di avere qualche informazione in più che gli permetta di uscire dalla ignoranza diffusa sulla storia, la cultura, la struttura sociale e la complessità della Libia prima del petrolio scoperto nel 56 e dopo. Se non si accontenta delle approssimazioni e gli stereotipi sulle tribù , l’islamismo ( sempre radicale) , le divisioni del governo provvisorio, le profezie catstrofiche non è all’inserto culturale del giornale del sindacato a cui è iscritto che si deve rivolgere. Nell’inserto si propone storiografia non formazione. Ma storiografia vuol dire interpretazione, tesi, confronti. scuole di pensiero.

Giuseppe Parlato è uno storico le cui tesi  e la sua impostazione sono chiaramente di destra. Spesso preoccupato a debellare  miti , a commentare lavori di storici preoccupati di informare che Matteotti era nella vita privata  un farabutto,  con il solo pregio di non essere comunista,revisionare la storia. Niente di male se gli si chiede un confronto, chiarendo  la famiglia di provenienza. Che gli si offra invece lo spazio per disquisire di modernità del fascismo, masse nazionalizzate da imprese belliche,socialisti parolai e barricaderi, sindacalisti rivoluzionari espansionisti ( tra l’altro parecchi assoldati poi dal fascismo ), non è fare un buon servizio nè ai lettori, nè alla CISL. Accade sempre più spesso, non solo nei titoli quasi ridicoli delle pagine politiche (l’ultimo della serie è Berlusconi al G20 che vuole trattare con i sindacati), nelle stupidaggini offensive delle vignette sugli scioperi "Greci", ma anche nel tipo di diversi contributi sollecitati e ospitati. Non era davvero un caso se alla manifestazione alternativa a quella promossa a suo tempo dalla FNS sulla libertà di stampa aderirono non pochi collaboratori dei giornali e dei siti di destra. 

Giuseppe Parlato –  E’  specializzato nella storia del fascismo sociale, è Presidente della Fondazione Ugo Spirito, intellettuale per lo meno controverso, allievo di Gentile, fascista della prima ora, teorico del corporativismo. Nel dopoguerra si convertì, sconfessato da Togliatti , al comunismo poi abbandonato per delusione.  

 

 

1 commento
  1. noname
    noname dice:

    Questa volta non condivido Toni. Via Po ospita commentatori delle più varie scuole e tendenze. Anche di sinistra estrema. Certamente l’articolo che citi fermandosi a Graziani senza alcuna aggiunta è un’occasione persa, ma eviterei di etichettare in questa maniera l’inserto culturale che rimane, al di là del caso singolo, pluralista, aperto e multiforme. Altrimenti si spara nel mucchio e non si fa un bel servizio.

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