Nei primi 11 mesi del 2009 la Cina ha superato la Germania nel valore delle esportazioni, raggiungendo un totale di 748 miliardi di euro, mentre quelle tedesche, che guidavano dal 2003 la classifica del maggiore esportatore, sono al secondo posto con 734,6 miliardi.
A 60 anni dalla vittoriosa rivoluzione di Mao, 1949-2009, festeggiata il primo ottobre dello scorso anno, la Cina raggiunge un altro record e si appresta a divenire fra qualche decennio la maggiore potenza economica mondiale. Non è un caso che gli Usa guardino alla Cina come il partner del G2, al suo maggior interlocutore economico, pur non ignorando i gravi problemi politici esistenti nel paese: il rispetto dei diritti umani, l’annessione del Tibet, la crescente divaricazione economica tra la città e la campagna, l’assenza di libertà democratiche, sistematicamente calpestate da uno spregiudicato liberismo economico in un paese che si proclama comunista.
Un lungo passo indietro per ricordare,che dopo la sconfitta dell’esercito nazionalista che reggeva la dittatura di Chiang Kai-shek, e la proclamazione della nuova Cina, Mao sfidava gli Usa intervenendo nella disastrosa guerra di Corea quando questi capovolsero la situazione respingendo l’attacco della Corea del nord a quella del sud, avvicinandosi troppo alla frontiera cinese sul fiume Yalu. Stabilizzatasi la divisione delle due Coree per i successivi decenni della durata della guerra fredda – tale è tutt’ora la separazione delle due entità statali -, separate politicamente, ma, soprattutto, dall’impetuoso sviluppo economico della Corea del Sud, e dalla carestia che sta martoriando la Corea del Nord, compressa da una dittatura monarchico famigliare che si tramanda da padre a figlio.
Alternando diverse fasi nella politica estera, la nuova Cina sostenne nei primi anni un modello terzomondista partecipando attivamente alla conferenza di Bandung, la “Conferenza dei Paesi non Allineati”, del 18 -24 aprile 1955, che venne convocata in Indonesia, su iniziativa della stessa Cina, e dall’India, Pakistan, Indonesia, Birmania e Ceylon, con la partecipazione complessiva di 29 Paesi del Sud del mondo. L’anno prima era entrata a far parte del ristretto gruppo dei 5 paesi membri di diritto, e con diritto di veto, nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Urss.
Tra i principali protagonisti del vertice, lo yugoslavo Tito, l’egiziano Nasser, l’indiano Nehru, l’indonesiano Sukarno e il cinese Zhou En-lai, assoluto protagonista della Conferenza. Sarà poi lo stesso Zhou En-lai ad aprire agli Usa accogliendo il presidente americano Usa, Nixon, per aiutarlo ad uscire dal pantano del Viet Nam.
Ma sono fatti ormai lontani e l’ideologia dominante oggi “è fare soldi, arricchirsi”, tipico di un materialismo pratico, non più ideologico, che ha realizzato concreti miglioramenti della condizione di vita della gente senza i quali il regime sarebbe probabilmente crollato, come accaduto nell’Urss.
Superata la supremazia giapponese in Asia, la Cina (attivo membro del BRIC, il gruppo dei paesi emergenti, e cioè, Brasile,Russia, India e la stessa Cina), si avvia a superare ogni potenza economica occidentale e a insidiare gli stessi Usa nei prossimi decenni, Ma, i paesi del BRIC, attori di primati economici straordinari, dovranno superare le gravi e profonde diseguaglianze di reddito e di accesso ai diritti di cittadinanza che non possono essere oscurate dagli straordinari ritmi di crescita economica. Per alcuni, in Cina e nella stessa Russia, dovranno essere risolte anche le questioni di piena libertà e di partecipazione democratica alle vicende politiche interne.
Nuovi e vecchi protagonisti dell’economia globalizzata non potranno sottrarsi ai doveri di maggiore giustizia economica, pena la caduta di legittimità, osservando severamente elementari regole di correttezza che, infrante, hanno colpito ancora una volta le popolazioni più povere del pianeta.
Non solo. Sono tali paesi chiamati a rispondere, come tutti i paesi che contano, alle sfide che propongono uno sviluppo eco-sostenibile, a diminuire le spese militari per favorire, in un quadro generale di pace, un uso alternativo delle limitate risorse del pianeta Terra.
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