Inflazione e povere paghe
Sull’Italia incombe una nuova crisi e il governo prendere tempo, con una maggioranza divisa. Inflazione cresce e salari perdono potere d’acquisto. Ancora divisioni o diversità su come garantire un salario minimo con valore di legge. Articoli su: il lavoro, la non tutela dei salari, il precariato, il significato della Soldarietà, il salario minimo per legge, i tormenti del mondo aperto
In “Povere paghe” V.Malagutti e C.Tecce, L’Espresso, scrivono su: l’inflazione che cresce e colpisce soprattutto i salari, sostanzialmente fermi da trent’anni, indice di una debole contrattazione sindacale di categoria e confederale. Il governo prende tempo, mentre partiti, sindacati e confindustria si dividono. Sono pubblicate grafici su l’esercito dei precari, dei sempre più ricchi, dei salari in frenata e su quanto vale lo stipendio del capo. Si pone il problema che le misure a sostegno dei redditi farà aumentare il debito pubblico mentre la BCE ha annunciato la fine del periodo dei bassi tassi per avere liquidità..
Con un titolo ad effetto “Il salario non c’è più” Massimo Cacciari, L’Espresso, afferma che nel capitalismo di oggi siamo tutti sempre al lavoro. Consumare è produrre: un sistema che genera disuguaglianze intollerabili. E la politica ( soprattutto di sinistra) è succube. La paga non è più misura della produttività. Né simbolo di status. Solo alcuni lavori sono remunerati equamente e il lavoro che genera povertà cresce. Ammonisce:”Serve distribuire la ricchezzasecondo nuovi criteri”.
Vittorio Malagutti in “Smettere di favorire il lavoro precario”, su L’Espresso, intervista Giovanni Dosi, Professore Ordinario di Economia e Direttore dell’Istituto di Economia presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Tito Boeri e Roberto Perotti in “Lavoro e impresa – Serve il salario minimo”, su La Repubblica , così iniziano. Si affaccia lo spettro della stagflazione, il coesistere di un aumento dei prezzi protratto nel tempo e di una recessione, e sono in molti a invocare un nuovo patto sociale come quello che ci portò nell’Euro. (…) Ci sono però due differenze importanti rispetto a quel periodo. La prima è che, al contrario di quel periodo, la politica monetaria non è più decisa in via Nazionale, ma a Francoforte. La seconda differenza è più importante: le relazioni industriali si sono fortemente deteriorate negli ultimi 30 anni. Sindacati confederali e Confindustria, le due anime degli accordi del luglio 1992 e 1993, sono sempre meno rappresentative del mondo del lavoro e non gestiscono più la contrattazione collettiva per una larga parte della forza lavoro. Ci sono quasi mille contratti nazionali che si sovrappongono tra di loro stabilendo minimi salariali diversi per lo stesso insieme di lavoratori. Un caos che impedisce ai lavoratori di sapere a quale compenso minimo hanno diritto e ai giudici quale è il salario equo da far valere in caso di contenzioso. Inoltre molti lavoratori sfuggono completamente alle maglie della contrattazione collettiva (e due terzi dei lavoratori dipendenti hanno il proprio contratto scaduto). Insomma, oltre al problema del potere d’acquisto dei lavoratori c’è un problema di potere del sindacato e delle associazioni di categoria, ed è difficile capire chi potrebbe prendere impegni in termini di politiche salariali e incrementi di produttività compatibili con un dato obiettivo di inflazione. (…)
I sindacati fanno fatica a definire una strategia unitaria, ognuno sembra camminare per recuperare identità e trarre ispirazione da un passato totalmente diverso da quanto succede oggi in Italia e nel mondo. Dario Di Vico in “Tormenti del mondo aperto”, sul Corriere della Sera” sofferma l’analisi su tre punti:
- Democrazia, trasparenza. Sarebbe necessario rimettere in piedi una cultura politica della mediazione sociale e non delegare al populismo la rappresentanza dei diseguali
- Cambiamenti Il sindacato deve essere cosciente di non avere più il monopolio nella propria funzione
- Volontariato Decisivo è il Terzo settore, che svolge anche un ruolo di supplenza delle istituzioni
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